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IL GRANDE VIAGGIO

di Franco Ciampitti (1903-1988)

Sentimmo che la canea ritornava. C'era sulla destra una valletta, coperta di erba alta e folta, con minuscole traccioline di vecchi sentieri. Su uno di questi s'infilò la striscia fulva ma dietro di essa, subito, a breve distanza, apparve il cane basso. Non si capì come avesse fatto a guadagnare tanto terreno, staccando gli altri quattro più grossi che tardavano ad apparire sul sentiero. Sperai che la volpe corresse di più e per un tratto questo avvenne; invece, all'improvviso, uno sparo spaccò l'aria sulla valletta e la vidi fare un balzo, ricadere sull'erba, rimanervi immobile. Povera volpe! Il cane le fu addosso; cercò di morderla ma quella, da stecchita che era, ebbe uno scatto ed azzannò il nemico alla gola.

– L'ha fatto! – esclamò Giacomo. – È inutile: il cane che va avanti è sempre il più fesso.

Le due bestie, dopo alcuni sussulti, stavano sull'erba e arrivarono gli altri cani e abbaiavano e saltavano senz'accostarsi. Poi giunsero i cacciatori, uno alla volta; discutevano, litigando fra loro, pareva che dovessero venire alle mani. La carrozza era ormai al culmine dell'ascesa; le voci irate non si sentivano più: dinanzi a noi s'apriva il valico, il punto più elevato del percorso.

– Guarda –, disse Giacomo, sollevandomi il mento con un dito. – Lo vedi?

Una fila di case bianchissime, forse fatte di neve, sull'orlo di un crinale; dietro quelle case il cielo, il cielo soltanto. La strada cominciò a scendere dolcemente e i cavalli si rimisero al trotto e il tintinnio dei campanelli si fece più allegro, si confuse col rumore delle ruote, con gli scricchiolii dei legni della diligenza, con alcune voci di gente che salutava, uomini issati sui basti di una teoria di muli sporchi, anneriti dal carbone. La carrozza correva di più perché il trotto diventava più vivace e le case bianche ingrandivano: il paese. Eccolo. Com'è bianco! Com'è bello! Socchiudere gli occhi. Palpebre appesantite dalla stanchezza, pupille abbacinate da tanta luce. Essa si trasformava nell'animo in una felicità primitiva, un tremore fuso nel nome, nelle sillabe di un nome che per la prima volta scandivo e che imparavo per sempre.

  • F. Ciampitti, Il grande viaggio, Varesina, Azzate 1971, p. 24.

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