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LABRANCOTEQUE

di Tommaso Labranca (1962-2016)

– Che consigli ti sentiresti di dare a chi, in un'epoca di profonda crisi economica, vuole intraprendere la carriera di scrittore/saggista?

– Durante la mia ultima e pessima esperienza editoriale ricevevo inediti di persone che sognavano di pubblicare il loro romanzo. Nelle lettere di presentazione, oltre ai segnali di sicura mitomania («Il mio è il romanzo che l'Italia attende, perfetto nella trama come nello stile») scrivevano che da vent'anni lavoravano come dirigenti delle Ferrovie, medici, avvocati.

Qualche volta ho anche risposto, dicendo: «Gentile signore, lasci perdere. Tenga duro fino alla pensione e poi si dia ai viaggi organizzati». Crisi o non crisi il mio consiglio è lasciare perdere. O meglio, se si crede che basti scrivere un librino per diventare ricchi, darsi subito allo spaccio di droghe. Se poi si sceglie comunque un'esistenza di umiliazioni, di difficoltà, di collaborazioni mal pagate con i giornali, allora fatelo. Ma non dite che non vi avevo avvertito.

– Parli spesso di immigrati di lusso che si lamentano di Milano, ma lo sai che sono le stesse persone che quando tornano al paesello dicono quant'è figo svolgere qualche professione del sottoproletariato intellettuale (in genere chiamandola con il termine in inglese) nella mitica Milano guardando dall'alto in basso noi che siamo rimasti nel paesello?

– Certo che lo so! Gli stessi che quando arrivano qui iniziano a dire: «E questa sarebbe una metropoli?» e magari arrivano da Capracotta. Non riesco a capire cosa si aspettino. Forse il sindaco che va a riceverli in stazione?

Poi, di ritorno al paesello si lamentano: «Ma è già tutto chiuso? A Milano a quest'ora siamo ancora a bere sui Navigli!».

  • T. Labranca, Labrancoteque, Gog, Roma 2023, p. 334.

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