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MARINO D'ANDREA

(Capracotta, 29 giugno 1913 - 27 agosto 1966)

Inventore e industriale

Maggio 1947: l'acqua era la più grave preoccupazione dell'Amministrazione comunale. Dalla distruzione del apese, l'impianto di sopraelevazione del Verrino non funzionava più: uno dei vecchi motori, riparato in un'officina di Napoli, alla prova risultò inefficente; era stato ordinato al Tecnomasio, in seguito a suggerimento, dopo un sopraluogo, di un perito, un nuovo motore soltanto (per tutti e due la spesa sarebbe stata troppo forte!), ma intanto l'acqua già cominciava a mancare! Fu allora che l'assessore sig. Marino D'Andrea tenne al sindaco un discorsetto breve quanto mai: intendeva il Sindaco affidargli l'incarico di interessarsi della cosa? Aveva fiducia nella riuscita? Egli, Marino D'Andrea, desiderava soltanto esser lasciato tranquillo fino a lavoro compiuto. Il Dott. Carnevale, ben sapendo quali fossero le risorse di capacità e di intelligenza del D'Andrea, non esitò un attimo: ​«Bene - rispose - occupatene tu». E fu così che Marino D'Andrea, che in vita sua non aveva mai toccato un motore elettrico, si accinse ad un'impresa che, quando fu nota apparve pazzesca. Marino intanto non perdeva il suo tempo in chiacchiere: amava i fatti! Andò a Roma, acquistò quei pochi pezzi che a suo criterio erano indispensabili, ritornò, e si trasferì subito a Verrino, nella casetta… dei motori! Passa un giorno e passa un altro… e di Marino nessuna notizia! Venti, trenta, trentanove giorni! Che fa Marino? Chi lo ha visto? Ma resta laggiù pure la notte? Nessuno era in grado di dar qualche ragguaglio, e la curiosità, dopo ben trentanove giorni era addirittura esasperante. La famiglia del D'Andrea e il Sindaco, che pur dovevano saper qualche cosa, tacevano. In piazza, ogni sera, commenti e discussioni fino a notte inoltrata. Ognuno diceva la sua. Molti facevan voti pur di far subire uno scacco all'amministrazione, che l'acqua non arrivasse mai. Sorse così l'alba del quarantesimo giorno, la troppo lunga attesa cominciava ormai troppo a pesare. Sull'imbrunire, in piazza, i soliti gruppetti. Come dovunque (tutto il mondo è paese!), chi riferiva le notizie del giorno, chi le interessanti novità dei quotidiani pettegolezzi, chi picchiava ancora sul solito chiodo del solito Verrino… quando la bomba, improvvisa e inattesa, scoppiò fulmineamente: ​«L'acqua, l'acqua! È arrivata l'acqua al serbatoio». E c'era arrivata davvero. Marino D'Andrea era dunque riuscito a rimettere in funzione i vecchi arrugginiti motori, ed un potente getto d'acqua arrivava, limpido e fresco, al serbatoio. La notizia si diffuse in un baleno fra la popolazione festante: tutti corsero ad aprire i rubinetti… e dai rubinetti aperti sprizzò fuori quel getto d'acqua tanto atteso, tanto sospirato. Il miracolo s'era compiuto davvero e i motori, dopo anni di silenzio, fecero sentir di nuovo il loro benedetto, ritmico ronzio, che mai da allora si è arrestato. Il motore di riserva è sempre là, nuovo, inoperoso,pronto per ogni evenienza. Fu dunque merito, onore e vanto di Marino D'Andrea se la popolazione ebbe di nuovo, e in abbondanza, il prezioso elemento. Egli aveva dato una prova superba delle sue capacità eccezionali. Pago dell'opera sua, rifiutò ogni compenso: gli bastò la soddisfazione immensa di aver fatto un bene immenso al suo paese. Nulla chiese; non solo: ma rifiutò persino l'offerta del Sindaco, che faceva insistenze acciocché accettasse almeno il compenso per le 40 giornate dedicate al Verrino. Sempre modesto, evitò i rallegramenti. Gli avversari e gli increduli, sbalorditi del miracolo, ammutolirono. Fu anche invidiato, e ben a ragione. E la riconoscenza della popolazione onesta fu generale… Un giorno si racconterà che nel lontano 1947 per la ferrea volontà di un uomo Capracotta riebbe la sospirata acqua; quell'acqua che ancora continua ad avere in abbondanza, perché quei motori, ai quali Marino D'Andrea aveva infuso nuova anima e nuova vita, cantano ancora la loro ritmica, benedetta, ronzante canzone.

  • La battaglia dell'acqua vinta da Marino D'Andrea, in «Il Messaggero», Roma, 16 settembre 1951.

Leggendo le lettere, che, come detto all'inizio, hanno ispirato questa narrazione, si viene a sapere che l'illuminazione, perché proprio di questo si tratta, la ebbe una sera d'aprile a casa, durante una serena pausa di riposo. Nata l'idea, si mette al lavoro per tradurla in atto: il risultato è un piccolo congegno dotato di un gran numero di delicati ingranaggi, il cui funzionamento, perfettamente sincronizzato, a rotazione eccentrica, avviene a macchina in moto: la testata per alesare. Costruito il primo esemplare, parte per Milano per esporlo in quella fiera campionaria. È la primavera del 1952. Il primo giorno di fiera davanti al suo apparecchio non si ferma nessuno. Il povero espositore è preso da sconforto. A sera finalmente si ferma un ingegnere e promette di tornare con degli industriali. Marino esulta e scrive alla moglie: «C'è speranza, però ti giuro che io tremo». L'apparecchio suscita interesse. Non vi sono omologhi in commercio e l'inventore si affretta a brevettarlo. Vengono le prime ordinazioni. I primi apparecchi li fa costruire a Roma, nell'officina Ranieri, per poter seguire personalmente la lavorazione. Apprezzamenti e richieste giungono da parte di grandi aziende industriali quali la Fiat, l'Ansaldo, la Michelin, la Snia. Comincia così il lento, faticoso cammino dell'alesatrice. Viene esposta a Torino e anche lì riscuote consensi. Pieno di entusiasmo, Marino scrive alla moglie: «Ho la strada aperta. Tecnici e dirigenti approvano il mio lavoro. Se mi fermo adesso, vuol dire che non valgo niente».

  • D. D'Andrea, Storie capracottesi d'altri tempi, D'Andrea, Lainate 1995, p. 61.

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