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LA PECORA CHE MIAGOLA PERDE IL BOCCONE

Presentazione ufficiale dell'opera prima di Antonio D'Andrea

Capracotta, 14 agosto 2019, Museo della Civiltà Contadina

Buonasera a tutti,

siamo qui per presentare l'opera prima di Antonio D'Andrea, anche se ha già scritto numerosi articoli su riviste. Molti di Voi conosceranno "La canzone di Marinella" di Fabrizio De André. Per scrivere quel brano il cantautore genovese si ispirò direttamente a un fatto di cronaca nera. È infatti la storia di una prostituta sedicenne trovata morta nel Tanaro, uccisa da un delinquente comune. Ma, a differenza della realtà, De André volle - parole sue - «reinventarle la vita e addolcirle la morte», cosicché Marinella divenne una principessa che, annegata per un capriccio del destino, lasciava inconsolabile il proprio spasimante, un aspirante re.

A mio avviso Antonio D'Andrea ha effettuato un'operazione simile su Lucia De Renzis, rinnovandole l'esistenza e smussandone gli spigoli. Dirò di più. Lucia, probabilmente una delle persone di più bassa estrazione e di più infima condizione sociale nella Capracotta del XX secolo, è ad oggi il personaggio di cui si è scritto di più e di cui si sono interessate più persone. E questo è un indubbio merito di Antonio e del suo libro.

Il motivo del titolo di quest'opera Ve lo spiegherà l'autore stesso. Io posso però decifrare il sottotitolo: "L'immensa eredità di Lucia di Milione: Strega, Amazzone e Sacerdotessa di Capracotta". Nella concezione del mondo di Antonio, Lucia ha infatti rappresentato queste tre figure.

Il suo essere Strega le proveniva dall'aspetto fisico, oggettivamente sgradevole, dalle sue abitudini quotidiane (su tutte, quella di trascorrere l'intera giornata nei boschi) e dall'utilizzo che si faceva a Capracotta della sua persona nei confronti dei bambini. Lucia era infatti uno spauracchio e le nostre donne, quando dovevano ammonire la prole, erano solite dire, con tono minaccioso: «Adesso arriva Lucia di Milione!».

Nell'immaginario di Antonio, Lucia rappresenta anche l'Amazzone che, al pari delle donne guerriere della mitologia greca, combatte quel mondo patriarcale e maschilista che la circonda e che vorrebbe fagocitarla. Lucia non si fidanza, non si sposa né concepisce figli e, anzi, è sul piede di guerra - perlomeno da un punto di vista morale - quando una qualunque ragazza è braccata, offesa, disonorata, violentata, insultata.

Stando sempre all'interpretazione che Antonio ha dato alla sua biografia, Lucia è infine la Sacerdotessa del nostro popolo, in una posizione sottomessa al cattolicesimo ufficiale ma - potrei dire - laterale. Nelle sue personalissime giaculatorie, nei canti liturgici, nelle sue preghiere, nei pellegrinaggi, Lucia diventa l'indiscussa protagonista del rito religioso, soprattutto grazie alla sua voce tonante, che sovrasta ogni altra e che sembra dare libero sfogo alla vita agra e alle disgrazie a cui ha dovuto assistere.

Lucia nasce infatti nel 1890, in un periodo in cui moltissime donne di Capracotta, poco più grandi di lei, si stanno imbarcando alla volta dell'America, lasciando per sempre il luogo natio. Lucia è troppo povera anche per emigrare.

Nell'arco di pochi anni conosce una interminabile serie di lutti familiari, a partire dal padre Emilio che nel 1910 si toglie la vita per i dolori lancinanti della peritonite. Nel 1920 la seconda sorella Antonietta viene uccisa in casa da un proiettile partito accidentalmente dalla pistola di un carabiniere. Due anni dopo la sorellina Maria Loreta muore a soli sedici anni. Nel 1931 la prima sorella Irene perde il figlioletto Emilio Giovanni e viene abbandonata dal marito, emigrato in Brasile e mai più fattosi vivo. Nel 1943 suo fratello Fiore, assieme al figlio (anch'egli chiamato Emilio), salta in aria su una mina inesplosa tra Colle Cornacchia e la Difesa.

Dobbiamo provare a immergerci nella realtà sociale dell'epoca per tentare di capire quanto sia stato difficile per Lucia diventare capofamiglia in una famiglia di sole donne: lei, la madre Maria Rosa e la sorella Irene. Lucia, che di suo probabilmente non aveva un carattere docile, è costretta a inventarsi qualcosa per sostentare se stessa e la famiglia. Ed è qui che entra in gioco Antonio che, da sempre, è alla ricerca d'una vita alternativa all'insegna del vivere con cura. Ed è per questo che Lucia rappresenta, per Antonio, un punto di partenza e di arrivo. Lucia raccoglie erbe spontanee, funghi e legna per rivenderli in paese, attraverso un'attività "lavorativa" a chilometro zero.

Antonio D'Andrea ci presenta quindi un volume su Lucia De Renzis che contiene tante altre cose: è una guida alla cosiddetta eco-convivialità; è uno spaccato, amaro e divertente, della società e del popolo capracottesi; è una denuncia verso ogni forma di oppressione sociale; è uno studio sulla spiritualità più ancestrale.

Conosco a memoria questo libro perché l'ho curato, coccolato, accudito, e, su preciso mandato dell'Autore, mi sono permesso di correggerne qualche imprecisione, di ammorbidirne qualche posizione troppo intransigente, di renderne fluida la narrazione. Ma ci tengo anche a precisare che questa opera è al 100% di Antonio, è la sua "tesi di laurea", quella laurea che egli non volle conseguire quand’era ragazzo e che adesso sente di meritare.

È chiaro che non sto parlando di titoli di studio ufficiali. Antonio, quando nel 1985 decise di lanciare il Movimento degli Uomini Casalinghi e, l'anno seguente, la scuola eco-conviviale di "Vivere con cura", intendeva creare una scuola parallela a quella istituzionale. Ed è in questa seconda scuola che egli, presentando questa corposa tesi di laurea, viene oggi dichiarato dottore.

Grazie a tutti.

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