24 marzo 1946: le mancate elezioni amministrative di Capracotta
- Letteratura Capracottese
- 31 mar
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Aggiornamento: 3 apr

Le prime elezioni dell’Italia liberata si svolsero in cinque tornate: per usare le parole di un padre costituente, Giulio Andreotti, la «vera rivoluzione antifascista e democratica» iniziò il 10 marzo 1946, quando «venne restituita agli italiani l'arma del voto». Le elezioni per i consigli comunali di 5.722 comuni italiani – che riguardarono il 71,6% della popolazione – si svolsero il 10, 17, 24 e 31 marzo ed il 7 aprile. L'Italia avrebbe di lì a poco scelto la forma repubblicana ma, al tempo dei fatti che mi accingo a raccontare, il nostro Paese era ancora una monarchia, guidata dal vecchio e inadeguato Vittorio Emanuele III.
Il Ministero dell'Interno paventò da subito problemi di ordine pubblico, visto che quelle del '46, le prime elezioni in tempo di pace, erano anche le prime da quando il fascismo era caduto, per cui era concreto il timore che la guerra civile che aveva lacerato il Paese si riversasse nei dintorni dei seggi elettorali. La tensione portò il ministro dell'Interno Giuseppe Romita, socialista, a reclutare circa 15.000 uomini, fra cui molti provenienti dai ranghi partigiani, tanto che sui giornali di destra si parlò di «una nuova forma di milizia».
A parte alcuni pur gravi problemi in Toscana, Puglia e Calabria, l'esasperazione la si raggiunse soltanto in Sicilia, a causa del mai sopito separatismo. Tuttavia, le elezioni si svolsero in un clima più che accettabile e la partecipazione al voto, ovunque alta, si rivelò maggiore al Nord (85,4%) che non al Sud (78%) – numeri diversissimi da quelli odierni (62,2% nel 2024), anche se le elezioni amministrative hanno solitamente mostrato affluenze apprezzabili.
Il dato elettorale definitivo del 1946 restituisce la fotografia di una nazione nettamente divisa: la Dc prevalse in 2.034 comuni eleggendo 36.635 consiglieri; le liste di sinistra ottennero circa 2.000 comuni ottenendo 36.508 seggi; nel mezzo tutte le altre sigle, dai liberali ai repubblicani, fino alle liste di destra.
Capracotta e il suo capoluogo, Campobasso, rientrarono nella terza tornata elettorale, quella del 24 marzo 1946. A Capracotta, a fare le funzioni di sindaco vi era allora Salvatore Di Rienzo (figlio di Carmine), classe 1915, insediato l'anno prima dal Governo militare alleato per gestire provvisoriamente gli affari comunali, che riguardavano precipuamente la ricostruzione post-bellica. Nulla, dunque, avrebbe fatto presagire che Capracotta sarebbe diventato un caso nazionale, poiché le prime libere votazioni, di fatto, non ebbero luogo.
Nonostante che le elezioni, stando alle note ufficiali del Ministero dell'Interno, si tennero «nella massima tranquillità» in tutto lo Stivale, «si apprende che nel comune di Capracotta, a causa della accertata assenza di molti elettori, le elezioni sono state rinviate a data da destinarsi». Sull'edizione del 26 marzo 1946 del "Giornale dell'Emilia" (il futuro "Resto del Carlino"), la redazione spiegò che «gli incidenti che si segnalano finora sono di scarsa entità. Il più singolare è quello accaduto a Capracotta (provincia di Campobasso) dove gli elettori [...] per ragioni sconosciute ma certamente di carattere locale non si sono presentati a votare. Capracotta è un paese di montagna, stazione di sport invernali. La popolazione si è allontanata dal paese in massa disperdendosi per la campagna. Il prefetto di Campobasso ha rinviato le elezioni a data da destinarsi».
Per capire cosa fosse successo, bisogna rileggere la lettera spedita da Capracotta al quotidiano indipendente "Il Minuto" e da questo pubblicata il 30 marzo 1946 sotto un titolo decisamente satirico: "Le allegre elezioni di Capracotta". Il comunicato dell'anonimo corrispondente affermava che:
Secondo notizie ufficiali le elezioni, che dovevano svolgersi il 24 marzo sono state rinviate per la presunta assenza di un'alta percentuale di elettori. Nulla di meno esatto: la verità è che una cricca di fascisti locali, nella impossibilità di far trionfare la propria lista, a mezzo di un esposto con non poche firme apocrife, ha fatto presente al Ministro dell'Interno che i socialisti ed i comunisti di Capracotta (quali?) sono temporaneamente assenti per ragioni di lavoro. La popolazione di Capracotta è indignata per il provvedimento, notificato solo qualche ora prima dell'inizio delle elezioni.
L'anonimo redattore, dunque, si diceva sicuro che a far "saltare" le elezioni per il nuovo Consiglio comunale di Capracotta fosse stata «una cricca di fascisti locali», la quale aveva presentato un esposto al Ministero dell'Interno per denunciare l'assenza in blocco dei socialisti e dei comunisti. Non appare più credibile che, se avessero avuto conto dell'assenza degli elettori di sinistra, i presunti fascisti avrebbero avuto gioco facile nel «far trionfare la propria lista»? E perché il corrispondente stesso si chiede, non senza un filo di sarcasmo, quali siano «i socialisti ed i comunisti di Capracotta», aumentando la confusione generata dal suo comunicato?

Il candidato sindaco Dc Gennaro Carnevale (1899-1967), chimico di fama e farmacista di successo, pubblicò allora una controrisposta su "Il Molise" – «Organo indipendente del Movimento Regionale» – per spiegare la propria opinione a riguardo, giacché si desume che egli fu uno dei sostenitori del posticipo elettorale. Carnevale, infatti, era sicuramente addentro agli eventi politici locali del suo tempo e probabilmente conosceva anche chi si celava dietro l'anonima lettera spedita a "Il Minuto". Egli presumeva che a scrivere la missiva fosse stato «uno di quelli che al fascismo si iscrissero solo per convenienza personale, quando già si era capita la via che il fascismo avrebbe seguito, e quando coloro che al fascismo stesso avevano data da tempo la loro onesta adesione se ne allontanarono».
La questione, quindi, appare tutta interna al defunto Pnf o, meglio, al Fascio di Capracotta, che fino a tre anni prima era stato dilaniato dalla battaglia interna tra i due podestà del paese, Gregorio Conti (1871-1943) e Filiberto Castiglione (1889-1973). Questa faida – che rimontava ad inizio '900 e che era definitivamente deflagrata in seno alla Banca di Capracotta, messa in liquidazione il 6 marzo 1937 – aveva diviso per decenni, in modo crudo e crudele, l'intera comunità capracottese, poiché ogni persona, ogni famiglia, ogni azienda, ogni istituzione (persino l'arciprete!), erano in qualche modo affiliate all'una o all'altra fazione. A questo volgare sistema di spartizione del potere cittadino venne dato il nome di quiŝtióne capracuttése (questione capracottese).
Ad ogni modo, nella quiŝtióne erano coinvolti tantissimi personaggi che avevano non solo aderito al fascismo – difficile dire chi per convenienza e chi per convinzione – ma, in virtù di detta adesione, avevano tenuto le redini amministrative ed economiche del paese, che allora contava poco meno di 4.000 abitanti. Il candidato sindaco Gennaro Carnevale, autoassoltosi dalle responsabilità fasciste in quanto autoinseritosi tra «coloro che al fascismo stesso avevano data da tempo la loro onesta adesione [e] se ne allontanarono», nel 1946 scrisse che «la lista degli elettori è di oltre 2.000 nomi [e] il numero degli elettori presenti il 24 marzo non raggiungeva la quarta parte; erano cioè presenti meno di 500 elettori».
A queste parole possiamo dar credito sulla base di alcune specificità locali. Nel mese di marzo, infatti, circa metà degli uomini capracottesi era in Puglia per la transumanza invernale, per cui era fisicamente lontana dal seggio elettorale di appartenenza. Dobbiamo poi ricordare che agli inizi del 1946, ben prima del referendum del 2 giugno, la ricostruzione di Capracotta non era nemmeno cominciata, per cui molti di coloro che erano stati sfollati nel dicembre '44, non avevano fatto rientro in paese (e di certo non sarebbero rientrati d'inverno) per il semplice fatto che non avevano ancora una casa in cui stabilirsi.
Le elezioni del 24 marzo 1946, insomma, furono il primo fallimentare banco di prova della politica locale democristiana alle prese col suffragio universale e con un'Italia che stava rapidamente cambiando, pur restando vittima di quei personaggi che, defilati, avevano fatto il bello e il cattivo tempo nel precedente regime.

La gestione del Comune di Capracotta divenne un affare tutto interno alla Dc, in cui personaggi come Gennaro Carnevale, Nicola Ianiro (1899-1959) e Vittorino Conti (1916-1977) riproposero un correntismo intrapartitico che, a differenza di quello nazionale, aveva ben poco di idealistico. Quello strapotere democristiano, che non fece a meno di metodi autoritari, terminò nell'autunno del 1960, quando la lista dell'Abete, capitanata da un giovane avvocato capracottese, Carmine Di Ianni (1933-2003), a seguito di un risultato elettorale plebiscitario, sembrò rompere gli antichi gangli del potere locale, rimettendo Capracotta sulla strada della democrazia e della modernità.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
AcR, Come ieri si è votato, in «Giornale dell'Emilia», II:81, Bologna, 25 marzo 1946;
AcR, La terza giornata elettorale nei risultati che si vanno delineando, in «Giornale dell'Emilia», II:82, Bologna, 26 marzo 1946;
AcR, Le allegre elezioni di Capracotta, in «Il Minuto», II:82, Roma, 30 marzo 1946;
G. Andreotti, Una forza, in «Il Popolo», III:73, Roma, 27 marzo 1946;
P. L. Ballini, La rifondazione della democrazia nei Comuni: la legge elettorale amministrativa e le elezioni comunali del 1946, in P. L. Ballini (a cura di), Le autonomie locali. Dalla Resistenza alla I legislatura della Repubblica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010;
G. Carnevale, La verità sulle elezioni di Capracotta, in «Il Molise», III:5, Roma, 20 aprile 1946;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
G. Saluppo, I Comuni molisani sotto il simbolo del Littorio. Amministrazioni, podestà e politica nella costruzxione del consenso, La Gazzetta, Campobasso 2015.