130 prigionieri italiani vengono impiccati a Hildesheim, cittadina nei pressi di Hannover.
Accusati di aver raccolto da terra qualche scatoletta di cibo, passando davanti al magazzino alimentare della Wehrmacht distrutto dalle bombe. Impietositi gli stessi soldati li invitano a raccoglierle, non rendendosi forse conto che, così facendo, li stanno condannando a morte. Al rientro nei lager dai quali erano stati fatti uscire proprio per andare a sgomberare le macerie in città, tutti i prigionieri trovati in possesso anche di una sola scatoletta vengono giudicati colpevoli di sciacallaggio e immediatamente giustiziati per ordine delle SS.
Testimonianza dei figli di Francesco Paolo
Nostro padre si chiamava Francesco Paolo e nacque a Capracotta nell'anno 1910 da Leonardo e Maria Giuseppa Sozio. Terzo figlio dei sette: sei maschi ed una donna di nome Erenia, l'unica ancora vivente, di anni 89. Fu chiamato alle armi, per la prima volta, all'età di anni 21, ossia nel 1931 e rinviato in congedo provvisorio illimitato per aver due fratelli in servizio militare. Nell'anno 1939 fu richiamato alle armi per esigenze militari di carattere eccezionali e partì per l'Albania, alla quale l'Italia aveva dichiarato guerra. Nell'anno successivo (1940) ritornò per una breve licenza ma fu costretto a ripartire per la Grecia, perché l'Italia aveva dichiarato guerra anche a quest'ultima. Trascorse un lungo periodo tra la Grecia e l'Albania, interrotto da brevi ritorni a casa, e ai confini tra queste due nazioni si trovava il 3 settembre, insieme ad altri soldati italiani, sbandati e abbandonati, e senza ordini dal comando militare, perché Badoglio aveva firmato la resa dell'Italia con gli Inglesi e gli Americani. Tra il 9 e il 20 di settembre, invece, arrivarono i tedeschi che lo fecero prigioniero. Deportato in Germania, fu internato in un campo di concentramento, dove nostro padre incontra il compaesano Igino Paglione, destinati ai lavori forzati. I due lavorarono come internati militari in una miniera per l'estrazione del ferro: nostro padre all'aperto, mentre Igino era in miniera alla profondità di 120 metri. La miniera si trovava nella cittadina di Peine, da dove poi furono trasferiti in quella di Hildesheim, a nord della Germania, vicino ad Hannover. Il 22 marzo 1945 la città fu bombardata dagli Americani e dagli Inglesi e furono colpiti essenzialmente le vie di comunicazione e i depositi di cibo. Gli italiani internati furono chiamati a collaborare per aiutare i feriti, a dissotterrare i morti dalle macerie del bombardamento, a ripulire le strade. Nell'ambito di questi lavori, il 26 marzo, era la Settimana Santa, furono portati a sgomberare i resti di un magazzino di viveri della Gestapo. L'edificio era stato completamente distrutto ed i generi alimentari erano divenuti inservibili a causa dell'incendio. Per questo motivo, gli stessi soldati tedeschi che erano di guardia al deposito, avevano autorizzati gli abitanti del quartiere e gli internati militari italiani a prendere le scatolette di formaggio, visto che erano a digiuno da qualche giorno. Nel tardo pomeriggio i soldati italiani, mentre facevano ritorno ai loro alloggi, si imbatterono in pattuglie di polizia, Gestapo e SS, dalle quali vennero perquisiti, portando in prigione tutti coloro che furono trovati in possesso delle scatolette di formaggio, in base alla legge marziale allora in vigore per la quale ogni azione di "sciacallaggio" era punita con la morte. Nell'azione di controllo fu sorpreso anche nostro padre, il quale, pur essendo stato avvertito da qualche soldato della presenza della polizia, proseguì per la sua strada con le scatolette di formaggio in tasca, con la convinzione di non aver commesso nulla di male. Ma le sue buoni ragioni non fecero cambiare idea e comportamento alle SS e allo Gestapo, che lo presero e lo portarono, insieme ad altri, alle carceri che si trovavano vicino al cimitero. Dove, alcuni vi rimasero e fra essi, forse, anche nostro padre, accatastati nelle gabbie di ferro, altri furono portati sulla piazza del mercato della città. Ecco come il prof. Loreto Di Nucci, sulla rivista "Il Mulino", in "Ultimi fuochi di ferocia nazista. Il massacro degli internati militari italiani di Hildesheim nel marzo 1945" ricostruisce ciò che avvenne in piazza e poi nella prigione:
Nella piazza del mercato, dove si era radunata una piccola folla plaudente, incominciarono le impiccagioni, con modalità raccapriccianti. I prigionieri venivano fatti sdraiare faccia a terra, in attesa di andare al patibolo. Quando arrivava il loro turno, prima dovevano partecipare al recupero della salma di chi li aveva preceduti e poi erano costretti a salire su un bidone alto sessanta centimetri. A questo punto, un funzionario della Gestapo, o lo stesso Huck (un componente delle autorità locali del regime nazionalsocialista) metteva loro un cappio intorno al collo, il bidone veniva spostato e iniziava l'agonia del condannato. Per velocizzare le operazioni, un aiutante del boia tirava i prigionieri per le gambe. Gli ultimi cadaveri vennero lasciati penzolare dalla forca, con un cartello in cui era scritto: "Chi saccheggia muore".
Comandante Lupo
Fonte: https://www.combattentiereduci.it/, 28 marzo 2019.