In "Addio alle armi", tramite Frederic Henry e per via del Cappellano, Ernest Hemingway descrive il paese di Capracotta e gli Abruzzi, nell'Italia centrale, in maniera così poetica, vivida ed accurata da convincere qualunque nativo di Capracotta, che i dettagli siano stati forniti da qualcuno con una conoscenza diretta della regione. Nel secolo scorso Capracotta faceva parte degli Abruzzi, divisi poi in due separate Regioni: Abruzzo e Molise. Capracotta fa ora parte del Molise. Questo idilliaco paese, a 1.421 metri sul livello del mare, il più alto degli Appennini a quel tempo, era noto non solo per le abbondanti nevicate e un clima freddo, come descrive Hemingway, ma anche come luogo di pace e bellezza, dove tutti trattano gli altri con rispetto e ospitalità. Queste abitudini, comprese le serenate notturne alle ragazze, erano comuni fino a qualche decennio fa. Hemingway ha catturato tutto molto bene. Tuttavia quando scrisse il romanzo non aveva mai visitato Capracotta o gli Abruzzi, né li avrebbe mai visitati per il resto della sua vita. Pertanto, sorge la domanda: chi fornì a Hemingway i dettagli sugli Abruzzi che avrebbe poi usato così efficacemente nel romanzo? Nessuno dei biografi o dei commentatori di Hemingway ha dato una risposta soddisfacente a riguardo. Nella nostra vasta ricerca attraverso gli archivi italiani e le lettere di Hemingway, abbiamo identificato due potenziali fonti. Uno è un sacerdote, Rodolfo D'Onofrio, ovvero padre Placido, originario di Capracotta, prete-soldato nell'esercito italiano probabilmente sul fronte del Piave. L'altro è Beato Nicola (Nick) Nerone, anch'egli nato negli Abruzzi, trasferito negli Stati Uniti da ragazzo e tornato poi in Italia per prestare servizio nell'esercito italiano durante la Grande Guerra. Uno di essi o entrambi avrebbero potuto fornire a Hemingway le informazioni sugli Abruzzi. Non possiamo essere certi che Hemingway abbia mai incontrato padre Placido, ma i tratti fisici del sacerdote e il suo carattere corrispondono a quelli del cappellano di "Addio alle armi". D'altra parte, sappiamo per certo che Hemingway non solo incontrò, ma divenne amico di Nick Nerone a Milano durante la convalescenza nel 1918. Nel 1921 poi il loro legame si rafforzò durante il periodo in cui Nerone prestò servizio nel consolato italiano a Chicago e Hemingway stava per intraprendere la sua vita di aspirante scrittore in Europa. Nerone è il modello per il personaggio di Ettore Moretti in "Addio alle armi". Nel romanzo, ovviamente, Frederic apprende degli Abruzzi dal cappellano, di cui non è citato il nome e che è uno dei più stretti amici di Frederic (oltre al tenente Rinaldi, il chirurgo, e poi a Catherine Barkley). Nel secondo capitolo, il cappellano invita Frederic a visitare gli Abruzzi durante il suo allontanamento dal fronte nell'inverno del 1916-1917. Tuttavia, dopo il congedo di Frederic, quando torna al fronte nel terzo capitolo, delude profondamente il cappellano dicendogli che non è stato negli Abruzzi, ma nelle città italiane di Milano, Firenze, Roma, Napoli, Villa San Giovanni, Messina, e Taormina, dove apparentemente si era abbandonato ai piaceri sensuali che non avrebbe potuto ottenere invece negli Abruzzi. Eppure il gentile cappellano lo perdona e rimangono amici. Anche se Frederic non sviluppa mai il tipo di fede e di amore per il Signore che ha il cappellano, continua a pensare a lui anche dopo aver disertato l’esercito, durante la ritirata di Caporetto, ed il Cappellano ha nel romanzo l'importante funzione di rappresentare la fede religiosa bilanciando il materialismo razionalista dell'ateo Rinaldi. Questo timido sacerdote è molto diverso dal distaccato prete descritto nel racconto di Hemingway del 1927 "Un idillio alpino", che non risponde al saluto «Grüss Gott» e non risponde mai a nessuno se non con freddo inchino; al contrario, il cappellano di "Addio alle armi" è timido, educato, parla con tutti, sorride anche a coloro che vorrebbero prenderlo in giro, ma è fermo nella sua fede e spiega a Frederic il significato dell'amore.
La maggior parte dei tentativi per identificare la fonte del cappellano si sono concentrati su due persone: don Giovanni Minozzi e don Giuseppe Bianchi. Così come il sacerdote del romanzo, don Minozzi (1884-1959) era abruzzese, ma non di Capracotta poiché era nato ad Amatrice, che a quel tempo era nel nord degli Abruzzi (ora nel Lazio), a circa 200 chilometri a nord di Capracotta. Don Minozzi non poteva avere il tipo di conoscenza dettagliata di Capracotta che il cappellano mostra di avere nel romanzo. Era capitano dell'Ordine dei Cavalieri di Malta e poi, dall'ottobre del 1916, al servizio nell'Intendenza Generale del Regio Esercito Italiano. Lo storico Olin D. Wannamaker lo descrive come «un uomo energico, molto impulsivo, una sorta di vortice», molto diverso dal cappellano del romanzo. Don Minozzi era un uomo d'azione; si muoveva lungo tutto il fronte di guerra, dietro le prime linee, ed era ben noto per aver promosso la creazione di numerose "case del soldato". Più tardi, sebbene non fosse un fascista, ebbe buoni rapporti con il Duce, Benito Mussolini. Inoltre dal suo diario di guerra sappiamo che don Minozzi dal 21 giugno al 7 luglio 1918 non era nella regione del Basso Piave dove si trovava invece Hemingway. Pertanto, è estremamente improbabile che lui e Hemingway possano essersi incontrati e diventati amici. Dovremmo perciò escluderlo dalla nostra considerazione come fonte per il cappellano del romanzo.
D'altra parte don Giuseppe Bianchi (1882-1965), un sacerdote di Firenze, è stata una scelta comune degli studiosi di Hemingway quale fonte per il cappellano, soprattutto perché è probabile che lui e Hemingway si siano incrociati sul fronte italiano. Don Bianchi era tenente del 70° Reggimento Fanteria della Brigata di Ancona (69° e 70° Reggimenti), che si trovava infatti nel Basso Piave durante il periodo in cui Hemingway era colà distaccato. E Don Bianchi doveva occuparsi anche del 69° Reggimento, il cui cappellano, all'epoca, era ricoverato per ferite. E poiché il rapporto cappellani/preti-soldato era all'epoca di 1 a 7, riteniamo che in quella Brigata (69° più 70° Reggimenti) ci fossero altri preti-soldato. Tuttavia, a differenza di Frederic e del cappellano nel romanzo, è improbabile che don Bianchi abbia frequentato la stessa mensa di Hemingway e abbia avuto una intima conoscenza degli Abruzzi. Da Giovanni Cecchin e dal diario di don Bianchi sappiamo che quest'ultimo era a Pralongo (Casa Scrinzi), la sede del comando del Reggimento, a circa sei chilometri da Castelletto (Casa Botter), dove si trovava invece Hemingway, e a sette chilometri da Fossalta di Piave dove lo scrittore fu ferito. Don Bianchi frequentava la mensa degli ufficiali di grado più elevato, mentre la mensa descritta nel romanzo e frequentata da Frederic è quella di un ospedale da campo dove l'ufficiale di grado superiore era solo un maggiore. Giovanni Cecchin racconta che dopo essere stato ferito, Hemingway ricevette il primo soccorso a Fornaci di Monastier e il giorno seguente fu trasferito a Melma di Treviso (ora conosciuta come Silea di Treviso) circa undici chilometri a ovest di Fornaci dove c'era, secondo Richard Owen, un ospedale della Croce Rossa con personale volontario della Repubblica di San Marino. Il cappellano di questo ospedale da campo si chiamava don Giuseppe Guidi, di San Marino. Lo studioso italiano Giovanni Cecchin sostiene che a Fornaci, don Giuseppe Bianchi riconobbe Hemingway e lo battezzò. Il biografo di Hemingway, Jeffrey Meyers, usando come fonte il Cecchin, dichiara: «A Fornaci, un prete fiorentino, don Giuseppe Bianchi, passò accanto ai feriti, mormorando parole sante e ungendoli». Hemingway in seguito dichiarò ad Ernest Walsh di aver ricevuto il sacramento dell'estrema unzione in quel momento, anche se questo è molto improbabile dal momento che Hemingway non era stato ferito mortalmente.
Nel marzo del 1927, durante un viaggio attraverso l'Italia con Guy Hickock, Hemingway fu incaricato dalla futura moglie, Pauline Pfeiffer, di cercare il cappellano che lo aveva battezzato quando fu ferito e riportare la prova scritta del battesimo per potersi sposare nella chiesa cattolica di Parigi. In una lettera a Isidor Schneider del 23 marzo 1927, Hemingway dice che era «su alla Repubblica di San Marino per vedere un prete che conoscevo durante la guerra». Hemingway e Hickok si recarono a San Marino, che si trova a circa 380 chilometri a nord di Capracotta, per incontrare il dott. Amedeo Kraus, direttore dell'Ospedale della Croce Rossa a Villa Varetton, dove Hemingway fu curato per un breve periodo dopo essere stato ferito. Kraus però non c'era, essendosi trasferito. I due, tuttavia, incontrarono don Giuseppe Guidi, il sacerdote dell'ospedale da campo. Così padre Guidi è il sacerdote al quale Hemingway si riferisce nella lettera a Schneider. Comunque nel suo diario di guerra don Guidi, così come don Bianchi, nulla dice dell'incontro con Hemingway né avrebbe potuto avere una profonda conoscenza di Capracotta e degli Abruzzi. Hemingway e Hickok andarono poi a Rapallo per incontrare Ezra Pound. Don Giuseppe Bianchi a quel tempo, dopo essere entrato nell’'rdine dei Frati Benedettini con il nome di "Frate Gerardo Maria", era «priore» del Monastero di San Prospero a Camogli, circa nove chilometri da Rapallo, ma non abbiamo trovato prove in quell'archivio che Hemingway e Hickock si siano ivi recati. Inoltre il diario di guerra di don Bianchi (fra Gerardo Maria) è conservato nell'Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, dove il frate ha vissuto fino alla fine della sua vita, ma non contiene alcuna traccia della storia di Hemingway, nessuna traccia di un incontro tra lo scrittore e il frate, non un certificato di battesimo né una foto dei due. In realtà, nessun certificato di battesimo di Hemingway è mai venuto alla luce. Insomma, non ci sono prove che Hemingway abbia incontrato don Bianchi nel 1927 ed ottenuto un certificato di battesimo da riportare a Parigi. Non c'è nulla che suggerisca una qualche familiarità che avrebbe indotto Hemingway a modellare il cappellano di "Addio alle armi" su di lui.
Noi riteniamo che la fonte più probabile per il cappellano del romanzo sia padre Rodolfo D'Onofrio, nato a Capracotta il 23 agosto 1882 e morto a Roma il 23 aprile 1938. Chiamato alle armi nell'aprile 1903, quando era ancora chierico, con la qualifica di «infermiere», fu congedato nel settembre 1904. Nel giugno 1905 fu ordinato sacerdote (frate cappuccino) con il nome di "Padre Placido da Capracotta". Nel maggio 1915 fu poi richiamato nel Servizio Sanitario della 9a Compagnia di Sanità di Roma con il grado di caporal maggiore e poi di sergente; nel 1918 fu trasferito alla 7a Compagnia di Sanità di Ancona. Sfortunatamente nel foglio matricolare militare non si fa quasi mai menzione della zona di destinazione del soldato, ma compare solo la dizione «in zona di guerra». Non sappiamo quindi dove il sacerdote si trovava; probabilmente nella stessa area del 70° Reggimento della Brigata Ancona nello stesso periodo in cui Hemingway era lì. Inoltre, nel temperamento e nella descrizione fisica, padre Placido è più vicino al cappellano del romanzo di quanto non lo siano don Minozzi o don Bianchi. In "Addio alle armi", il sacerdote è descritto come giovane, piccolo, bruno e timido; arrossisce facilmente ed è antimilitarista.
Nessuno dei sacerdoti presi in considerazione, tuttavia, era tecnicamente molto giovane nel 1918. Don Minozzi avrebbe avuto trentaquattro anni, mentre sia don Bianchi che padre Placido ne avrebbero avuto trentasei. Entrambi sarebbero stati considerevolmente più vecchi del diciannovenne Hemingway. Ma è ragionevole che Hemingway abbia descritto il cappellano del romanzo così giovane per accentuare la sua purezza e innocenza, tratti che si adattano meglio a padre Placido. Dai registri dell'esercito risulta che Rodolfo D'Onofrio era piccolo (163,5 cm.), molto più basso di don Minozzi (179 cm.) o di don Bianchi (176,5 cm.), entrambi più alti della media per il tempo. Inoltre don Minozzi e don Bianchi fecero richiesta per essere nominati al rango di tenente cappellano, ma padre Placido non lo fece, segno della sua timidezza e del suo antimilitarismo.
Padre Placido era un "prete soldato", non un ufficiale, anche se, al pari degli autisti americani di ambulanze, gli sarebbero stati concessi dei privilegi. È più probabile perciò che si sarebbe potuta creare un'amicizia con il giovane Hemingway, che non era nemmeno lui un ufficiale.
Dopo aver lasciato l'Esercito, padre Placido fu nominato segretario della Provincia monastica di Roma e successivamente inviato in Sardegna, forse per ragioni politiche, ovvero perché non gradito al regime fascista, riferiscono i compaesani di Capracotta, un fatto, questo, che potrebbe aver ispirato l'atteggiamento pacifista del sacerdote del romanzo. In conclusione, Rodolfo D'Onofrio sarebbe stato un modello molto più aderente al cappellano del romanzo di qualsiasi altro sacerdote considerato dagli studiosi di Hemingway. Tuttavia, non abbiamo alcuna prova che lui e Ernest Hemingway si siano mai incontrati, quindi la nostra teoria rimane una congettura.
Vincenzino Di Nardo e Michael Kim Roos
Fonte: V. Di Nardo e M. K. Roos, "Addio alle armi": la figura del Cappellano, Ettore Moretti e Nick Nerone, in «Ácoma», XXV:15, 2018.