Noi monache, occasioni per conversare coi soldati, se ne ha poche: quel che non so cerco d'immaginarmelo, dunque; se no come farei? Dovete compatire: si è ragazze di campagna, ancorché nobili, vissute sempre ritirate, in sperduti castelli e poi in conventi; fuor che funzioni religiose, tridui, novene, lavori dei campi, trebbiature, vendemmie, fustigazioni di servi, incesti, incendi, impiccagioni, invasioni d'eserciti, saccheggi, stupri, pestilenze, noi non si è visto niente. Cosa può sapere del mondo una povera suora?
Questo è uno dei dialoghi di suor Teodora ne "Il cavaliere inesistente" di Italo Calvino da cui emerge, con fine sarcasmo, l'estremo paradosso della vita claustrale. La suora di clausura, difatti, da un lato viveva lontana dalle sirene del mondo, dalle sue passioni e nefandezze, s'isolava nella propria unione con Dio, lasciando che solo Questi riempisse il suo cuore dell'unico amore permesso, quello della fede. D'altro canto, ella avvertiva la mondanità e le morbosità in quegli sparuti incontri umani ammessi - che evidentemente assaporava con gusto - o nelle ruote degli esposti, quando prendeva in custodia un neonato abbandonato, spesso accompagnato da una lettera anonima che grondava pena e pentimento. Più spesso ancora, la suora di clausura era tale perché era stata disonorata, il che, il più delle volte, significava che era stata violentata, aveva abortito o aveva essa stessa abbandonato un neonato. Insomma, la donna si era chiusa nella vita monastica perché aveva "conosciuto" appieno il mondo.
Nel sinodo del 2 giugno 1727 il vescovo di Trivento Alfonso Mariconda (1671-1737), «della Congregazione Cassinese dell'Ordine di S. Benedetto, Patrizio Napoletano, per grazia di Dio», uno dei più amati e fecondi pastori della diocesi abruzzo-molisana, emise il XIV editto, diretto proprio alle monache claustrali della sua diocesi. Scrive egli: «Considerando noi i tre monisteri di monache, uno in questa nostra residenza di Trivento, l'altro nella città di Agnone, e 'l terzo nella terra del Rosello, come tanti orti del Signore, custoditi per le delizie del celeste Sposo; affinché le sagrate Vergini siano sante di corpo, e di spirito, con ogni maggior sollecitudine, per tenerle lontane dall'infestazione del demonio, prescriviamo i seguenti ordini».
Insomma, è chiaro che il Mariconda, come tutti gli uomini di profondo spirito religioso, era a conoscenza della dualità insita nella vita claustrale, con queste donne eternamente combattute tra l'amor puro per l'Uno e le pulsioni fisiche di un corpo vivo, fermo restando che - come avvertiva san Girolamo - la verginità la si può perdere anche con un solo pensiero. L'eptalogo contenuto nell'editto prevedeva:
1) Che nessuno ardisca entrare ne' Parlatorii delle Monache, per parlare con esso loro, sotto pena di Scomunica, senza espressa nostra licenza in scriptis, eccettuati solamente i parenti in primo, e secondo grado per due volte il mese; dovendosi registrare ò dal Vicario Foraneo, ò dal Confessore di dette Monache, ogni qual volta i detti congiunti vanno a parlar loro, acciocché non accada abuso, ò abbaglio. Incarichiamo in oltre a' detti Confessori, e Vicarii Foranei, ch'habbiano l'accortezza, che i detti congiunti non siano insieme nella stess'hora a parlare, acciocché si eviti l'occasione, che l'uno parli colla congiuntura de gli altri; ci dichiariamo però, che quanto a gli altri, se si concedesse la detta espressa licenza, non habbia luogo nel tempo del silenzio, quando s'assiste a' divini Ufficii nel Coro, della Quaresima, dell'Avvento del Signore, ne' giorni di digiuno e di Comunione. 2) Datasi la licenza di parlare, non s'intenda mai data a porte aperte, ò avanti le porte della Clausura, ò nelle Ruote, e solamente si parli con quella Religiosa, per cui fu conceduta la detta licenza, e non con altre, che forse si troveranno in compagnia, sotto la stessa pena, e s'intenda la detta licenza di parlare alle sole Grate. 3) Nessun Sacerdote secolare, ò Regolare ardisca celebrar Messa, ò Ufficii divini nelle Chiese de' Monisteri suddetti, senza nostra espressa licenza in questo di Trivento, e ne gli altri, senza la licenza del Confessore, quando vi mancasse la solita Messa in dette loro Chiese. 4) Predicandosi in tempo di Quaresima, ò di Avvento alle Monache, ò in tempo de gli Esercizii, le porte delle Chiese siano chiuse, e siano esclusi dall'entrata tanto i laici dell'uno, e dell'altro, quanto gli Ecclesiastici secolari, e Regolari. 5) La finestrella addetta per la distribuzione della SS. Eucaristia non serva ad altro uso, che del suddetto, e per altre sagre funzioni, solite ivi a farsi, non mai per comodo di parlarvi, ò per sentire le Confessioni, sotto pena di Scomunica. 6) Che nessuno possa entrare nella Clausura, se non per cagione necessaria, e colla nostra licenza, intendendo spezialmente per gli artisti, ed altri, che devono entrarvi per altri bisogni, come anche de' Medici, e Cerusici, a' quali si dovrà rinovare, se si stimerà spediente, la licenza ogni tre mesi, e né questi possono entrare, se non accompagnati dalle Accompagnatrici, le quali devono sonare il campanello, per dar il segno alle Monache di ritirarsi, proibendo a questi il mangiar dentro la Clausura, né divertirsi ad altre cose, né in altri luoghi, se non dove hanno da esercitare il loro mestiere. 7) Che le Monache debbano vestire modestamente, e con semplicità Religiosa, come anche l'Educande non possan vestire, se non abiti modesti, e di color fosco.
Tra i divieti che massimamente stuzzicano le mie curiosità e malizia c'è quello che riguarda «la finestrella addetta per la distribuzione della SS. Eucaristia». Immagino che il vescovo ne abbia vietato ogni utilizzo terzo perché probabilmente erano accaduti fatti spiacevoli o disdicevoli, come trasmissione di posta non autorizzata, scambio di oggetti e alimenti o - peggio ancora! - di baci ed effusioni. Dello stesso tenore è l'indicazione successiva, che precludeva qualsiasi ingresso non autorizzato nei conventi claustrali, «intendendo spezialmente per gli artisti», confermando quel sentire popolare secondo cui «Dio si prende cura di imbecilli, bambini e artisti», ovvero di uomini di genio e sregolatezza, d'infinita sensibilità e d'altrettanto infinita allergia alle regole sociali.
Insomma, tutte queste prescrizioni erano necessarie «affinché le sagrate vergini siano sante di corpo», perché la perdita della verginità, se in gioventù rappresenta un valore, con l'avanzare degli anni può diventare qualcosa di inquietante e peccaminoso.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
I. Calvino, Il cavaliere inesistente, Einaudi, Torino 1959;
G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, vol. XIX, Antonelli, Venezia 1864;
E. Fisher, Clausura. Le nuove testimoni dell'assoluto, Castelvecchi, Roma 2007;
A. Mariconda, Secunda diœcesana Synodus Sanctæ Triventinæ Ecclesiæ, Archiepiscopali Typ., Beneventi 1727;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016.