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Amore e gelosia (XIX)


Amore e gelosia

XIX

Il fidanzamento, ormai ufficializzato in tutte e due le famiglie, andava avanti tra alti e bassi.

Don Antonio Avigliano, giudice di corte di appello nonché padre di Elisa, poco aveva capito di quello che era accaduto dopo il pranzo tra il prete e sua moglie: aveva anche chiesto spiegazioni, ma era stato licenziato con frasi generiche, da donna Silvia Falcone, sua moglie, e da don Alessandro, il parroco, che si era trincerato dietro ad un farfugliare quasi sconnesso infarcito da parole strane, tipo peccatori, scribacchini napoletani, femmine scollacciate e via dicendo.

Il giudice aveva sospettato che il prelato ce l'avesse con il suo futuro genero, ma non gli era stato chiarito nulla.

Alla fine, a malincuore aveva consentito che la sua unica bella figlia si fidanzasse con Salvatore Di Giacomo, ma una certa ostilità nei confronti del suo futuro genero gli era rimasta dentro, e non gli passò mai, neanche dopo il matrimonio.

Il matrimonio: ecco il vero dramma che dovettero affrontare i due innamorati. Fidanzati ufficialmente nel 1906, i due, in verità specialmente Elisa, avrebbero voluto coronare il loro sogno d'amore, come si suol dire, e niente sembrava potesse impedirlo.

Infatti che cosa mancava ai neo fidanzatini, che tutto sommato provenivano da famiglie benestanti e non mancavano di un lavoro certo?

Don Salvatore godeva ormai di una fama sempre più crescente, non solo come poeta, ma anche come drammaturgo.

Inoltre, aveva un lavoro fisso, ben stipendiato presso la biblioteca nazionale di Napoli. Elisa, una volta diplomata al Magistero, si diede all'insegnamento, lavoro che poi fece per tutta la vita.

In quanto a proprietà, ai due proprio non mancavano: non tanto lui, per quanto lei. La madre di Elisa proveniva da una famiglia benestante di Capracotta, con proprietà sparse un po' dappertutto. Il padre, giudice di corte d'appello, non mancava di certo di beni economici da reddito e da rendite, ed Elisa era figlia unica.

Eppure, il matrimonio tardava: passarono prima i mesi, poi i mesi si fecero anni, e la data veniva sempre spostata in avanti, avvolta in una nebbiosa certezza che: si farà, si farà! ma quando?

I due si amavano, questo è un dato di fatto: Elisa si recava spesso a Napoli a casa di Salvatore, in via Marinella 23, e ormai tutta la città sembrava conoscerla bene.

Poi, insieme si recavano al Gambrinus, il caffè preferito dal poeta, e lì si inoltravano in discorsi fatui, risate, complimenti e rapporti con la borghesia di Napoli, ansiosa di tenere il famoso poeta all'interno della sua cerchia.

Tutta Napoli sapeva che don Salvatore stava scrivendo un'opera teatrale importante: chi aveva avuto la fortuna di leggerne qualche scena, parlava di un vero capolavoro, e gli attori napoletani dell'epoca non vedevano l'ora di cimentarsi con quel lavoro. Se ne conosceva solo il presunto titolo, un nome di donna: "Assunta Spina".


Francesco Caso



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