XXI
Tornato a casa, don Salvatore era ancora tutto agitato.
Buttò il cappello sulla seggiola nell'ingresso, il bastoncino nel portaombrelli e si recò direttamente nella sua stanza, senza passare, come era solito fare, in cucina, dove sua madre era certamente in attesa che lui si ritirasse.
Si buttò sul letto e fu subito preda dei suoi pensieri: la sua esasperata sensibilità di artista lo teneva in pugno, in lui la normalità assumeva subito la veste sgargiante del dramma, della disgrazia, dell'esaltazione, della gioia immensa o dell'infelicità estrema, ed era a quei sentimenti possenti che attingeva per scrivere poesie e canzoni che travolgevano letteralmente il popolo napoletano, di per sé teatrale e amante del gesto forte e del coinvolgimento eterno nell'amore, fino alla morte.
L'uomo Don Salvatore era consapevole che l'attrice Adelina Magnetti aveva scherzato parlando di Elisa, per pungolarlo a scrivere per lei: il poeta Di Giacomo, invece, era ormai preda del dubbio, della paura e della gelosia.
Che cosa stava facendo la bella nocerina? Stava a casa sua o era in giro con le amiche e con... amici?
Si erano visti due giorni prima, lei era venuta a Napoli, e avevano trascorso ore bellissime, poi lui l'aveva riaccompagnata alla stazione, un ultimo bacio, una stretta di mano e il treno era partito.
Il prossimo incontro era previsto per sabato, sarebbe andato lui a Nocera, avrebbe dormito a casa della zia di Elisa a San Giovanni in Parco e per due giorni sarebbe stato con la sua bella.
Ma ora due giorni erano troppi, una enormità, una vastità di tempo insopportabile: come avrebbe fatto scorrere tutte quelle ore?
La porta si aperse e la voce trepida della madre risonò nella stanza:
– Giacumì, sei tornato? e non sei venuto a salutarmi? non ti senti bene?
– No mammà... è che... sono stanco, è stata na matinate faticosa, 'o teatro, gli attori, 'e pensiere... aggia scrivere assolutamente coccosa per donna Adelina Magnetti e nun sacce addo aggia accumincià...
– Nun ce penza', stamme a senti'... fai una cosa: fatti un'ora di sonno e poi vieni a mangiare. Ti svegli che stai meglio e forse ti viene pure 'a vena poetica pe scrivere. Io vache in cucina a dare una mano, statte buone figlio mio!
La porta si chiuse lentamente e delicatamente e, senza che l'uomo se ne rendesse conto, il sonno calò sulle palpebre e si addormentò.
Fu un sonno agitato: volti noti e facce sconosciute si alternavano sul palcoscenico dei sogni di quell'ora tormentosa.
Elisa, Elisa... poi la figura di Elisa sembrò dissolversi e ritornare, ma stavolta qualcuno la chiamava ad alta voce con un altro nome. Assunta, Assunta...
Francesco Caso