Mentre ero alla ricerca di tutt'altro, nello spulciare l'inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Trivento, la mia attenzione è stata attratta da tre ampolline d'argento fuso e ancor più dalla relativa custodia in piombo sbalzato di 47x16 cm., tutte provenienti dalla cosiddetta Collegiata di Capracotta con l'indicazione dell'anno 1838. La mano che le ha realizzate è di un argentiere attivo allora nel Napoletano ma l'Ufficio nazionale per i Beni culturali ecclesiastici e l'Edilizia di culto non ha saputo dirmi chi fosse.
A me che subisco fanciullescamente il fascino della liturgia, pur non essendone un profondo conoscitore, le tre ampolline non sembravano quelle utilizzate per il servizio liturgico all'altare in quanto custodite in una cassetta di piombo, per cui mi si è presentato un indovinello. Gli unici elementi in mio possesso erano le incisioni visibili sul davanti della custodia, ossia "CAT", "CRIS" e "INF". Ed ecco che il piccolo mistero è stato subito risolto.
Probabilmente le tre ampolline contenevano gli oli benedetti: la prima per il catecumenato (CAT), il battesimo degli adulti; la seconda per il santo crisma (CRIS), in occasione di battesimi, cresime e consacrazioni; la terza per l'unzione degli infermi (INF). Evidentemente mons. Achille Conti, arciprete di Capracotta tra il 1836 e il 1846, tirava fuori quella custodia quando battezzava nuovi catecumeni, quando confermava i fanciulli nella fede cattolica, quando giungeva il vescovo o un alto presbitero, oppure la portava con sé quando si recava in casa di qualche malato grave per rafforzarne il credo in vista della lunga sofferenza. Difatti i sacerdoti del capitolo capracottese avevano ben chiara la distinzione tra l'unzione degli infermi e l'estrema unzione - ribadita dalla riforma liturgica del XX secolo - in quanto soltanto la prima rappresenta l'esatta dicitura del sacramento cattolico che avvicina Cristo al malato, mentre la seconda è un involgarimento popolare dovuto al fatto che il prete che giungeva in casa a celebrare l'unzione equivaleva spesso a una sentenza di morte.
L'ultima curiosità su questo gioiellino dell'arte ecclesiastica sta nella vistosa incisione frontale in cui si staglia una capra, con tanto di barbetta e corna, a passeggio su fiamme che paiono fili d'erba: l'indiscusso stemma della nostra cittadina dagli albori del XVIII secolo ad oggi.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
A. Bonanotte, Risposte ai quesiti proposti da sua eminenza reverendissima pro-datario cardinale Spinola per mezzo dell'illustr. monsignore vescovo di Trivento in ordine alla chiesa di Capracotta che s'intende di eriggere in collegiale, Sangiacomo, Napoli 1853;
Catechismo della Chiesa cattolica, Lib. Vaticana, Città del Vaticano 1992;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016.