Pescara.
A Serafino Di Tanna capitava di pensare alle sue pecore lasciate a Capracotta nel Molise e ai tratturi, anche lì in Ohio, all'America, nei pochi metri della baracca del campo di prigionia in cui era rinchiuso, dopo essere stato catturato in Africa durante la guerra. Sua sorella, Carmela, che all'America c'era finita trent'anni prima, l'andava a trovare una volta al mese. Gli portava da mangiare e qualche maglia di lana per riparasi dal freddo crudele del Midwest.
Non gli portava il cheese, quel formaggio americano troppo giallo e molle, che non sa di formaggio, Carmela, una sartina di paese che era andata maritata a un altro abruzzese (non si faceva differenza, allora, tra abruzzesi e molisani di montagna: stessa razza), Rocco Giagnacova, figlio di contadini di Villamagna, emigrato anche lui da ragazzo in Pennsylvania, che lavorava nelle ferrovie, con il legno e l'acciaio dei binari da mettere insieme per collegare un pezzo dell'America a un altro: dall'est verso l'ovest. Sentieri grigio-neri di ferro che tagliavano l'oro e il verde di quelle pianure che a Carmela ricordavano quelle della Puglia dove, ogni anno alla fine dell'estate, Serafino scendeva con il gregge e i pastori abruzzesi, lasciandosi alle spalle il paese sotto un cielo plumbeo e gravido di presagi dell'inverno.
Serafino era lo zio di mio padre, ma questo non conta. Conta, invece, che era un pastore, uno di quei pellegrini che per secoli hanno percorso i tratturi, le piste della transumanza delle greggi.
Dalle montagne dell'Abruzzo e del Molise verso le pianure della Puglia, alla fine dell'estate per sottrarre le pecore al freddo. E in senso inverso, in primavera, per riportarle nei pascoli in altura.
La tappa del Giro d'Italia che parte oggi da Lucera in provincia di Foggia per concludersi all'Aquila, si muove lungo questo percorso di ritorno che i pastori abruzzesi e molisani hanno affrontato a piedi fino agli anni Settanta, quando hanno iniziato a trasportare le greggi con i camion.
Ce n'erano due, di principali, che portavano dall'alto Tavoliere all'Aquilano. Il tratturo L'Aquila-Foggia, chiamato anche Tratturo del Re o Tratturo Magno, con i suoi 244 chilometri è il più lungo.
Parte dal piazzale della Basilica di Collemaggio all'Aquila, scende lungo la valle dell'Aterno-Pescara passando nei pressi di Sant'Elia, Bazzano, Onna e San Gregorio. Superato Poggio Picenze, il sentiero risale verso l'altopiano di Barisciano e si inoltra nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Quindi, seguendo le orme dell'antica via Claudia Nova raggiunge l'antica Peltuinum. Il Tratturo Magno attraversa poi la piana di Capestrano, supera il valico di Forca di Penne, scende verso il Chietino dirigendosi verso Lanciano per raggiungere la costa vicino alla foce del fiume Osento. Qui si interna di nuovo nella pianura di Vasto per costeggiare di nuovo l'Adriatico alla foce del fiume Trigno ed entrare nel Molise. Raccolte, qui, le greggi del Molise, il sentiero della transumanza costeggiava la vecchia ferrovia Foggia-San Severo per poi raggiungere Foggia, dove aveva sede la Dogana delle pecore, vicino alla chiesa delle Croci.
L'altro tratturo è quello che la tappa del Giro di oggi ricalca a tratti. Quello che partiva (e approdava) dalla campagna alle porte di Lucera e finiva a Castel di Sangro snodandosi per 130 chilometri. Si chiama il Tratturo della Zittola, dal nome del torrente: a Castel di Sangro corre quasi parallelo al Pescasseroli-Candela e con esso costituisce una delle coppie di direttrici longitudinali più importanti. Prima di approdare al ponte sulla Zittola, il sentiero passa per Campobasso e poi, nell'alto Molise, prima di attraversare il Sangro, Forlì del Sannio, Pescolanciano e Carovilli.
Era questo il tratturo di Serafino. Lungo quel sentiero, tante tappe notturne. Il cibo era quello povero della transumanza: latte, ricotta, formaggio. Il passaggio delle pecore su questo e sugli altri sentieri era una prova di forza per il fisico. I fardelli economici non c'erano più, almeno quelli imposti dallo Stato.
Per secoli le finanze del Regno di Napoli e delle Due Sicilie s'erano sostenute anche sulle tasse che gravavano sui pastori. Re Alfonso I d'Aragona nel 1447 aveva istituito la Dogana per la Mena delle pecore in Puglia, una sorta di finanziaria ante-litteram che stabiliva che le terre di pascolo erano del Demanio regio e si potevano utilizzare solo pagando la "fida", un canone annuo, fissato in rapporto al numero delle pecore. Nel 1465 erano 600 mila le pecore transumanti. Un secolo dopo, 1.137.064. Il culmine fu raggiunto all'inizio del Seicento con 5 milioni e mezzo di capi, di proprietà per il 98 per cento di pastori delle montagne d'Abruzzo. Quel pesante sistema di tassazione fu abolito solo all'inizio dell'Ottocento da quando Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, abolì le servitù sul Tavoliere di Puglia.
Tornò dalla prigionia nel 1946, Serafino Di Tanna, e riprese la sua vita fra le estati che somigliavano a primavere dell'alto Molise e i miti inverni del Tavoliere.
D'estate lo stazzo, nella campagna fuori Capracotta, era presidiato dai cani. Pastori abruzzesi feroci con gli estranei, con chi si presentava senza essere accompagnato da Serafino o da altri pastori. Bastava farsi scortare e quelle furie bianche si placavano fino a farsi anche accarezzare. Lì Serafino ti scodellava in un piatto la ricotta fresca e, se ne aveva voglia, superando il pudore della fatica, poteva capitare che ripescasse dalla memoria un brandello o due di quell'epopea chiamata transumanza.
Giuliano Di Tanna
Fonte: G. Di Tanna, Sugli antichi sentieri della transumanza, in «Il Centro», Pescara, 19 maggio 2010.