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Antonio da Capracotta e il problema di Dio


Montagne di Capracotta

Dio è per l'uomo un problema. E risolvere un problema di siffatte dimensioni è l'aspirazione di ogni buon cristiano. Questo pensa all'alba frate Antonio da Capracotta mentre, scalzo, se ne va in giro per le contrade a sillabare il Verbo e a imbrattar col sangue le nevi primaverili del Capraro. Guarda i prati e gli alberi, le cime innevate oltre la valle, le fiere d'ogni misura, i suoi simili, quasi sempre indaffarati, e si chiede in che modo la realtà circostante possa esser stata creata e perché possieda quelle forme e non altre.

L'idea d'un Dio creatore, fattoSi uomo per la nostra redenzione, è cristallina ma inaccessibile. D'altronde Dio che se ne fa della nostra adorazione? Esige forse la deferenza degli inferiori al pari d'un volgare feudatario? E a quel punto, data l'inutilità delle nostre lodi, potremmo forse fare a meno di Dio? Senza di Lui, pensa Antonio, quale sarebbe il senso di un'esistenza umana che non si discosterebbe di molto da quella delle aguzze pietre del Campo? Stringe il cilicio, frate Antonio, lo avvince alla vita, cosicché il dolore gli sia di monito e di carezza.

La Fede è la risposta ad ogni interrogativo, la risposta che le Scritture e i Padri della Chiesa ci han lasciato in eredità. Ma la fede non si vede, non si tocca, non si prova. Datemi un tomolo per misurarla, erompe Antonio, e vi farò vedere quant'è grande la mia.

– Ma che dico? Pecco di vanità... la mia fede non è superiore a quella di nessuno. Anzi, devo credere ancor di più. Ma come posso, se persino Gesù Cristo, esanime in croce, gridò «Eloì, Eloì, lemà sabactàni»? Anch'Egli dubitò del Padre, anch'Egli provò il terrore, umano, di finire.

Cristo morì ma non finì. Due giorni dopo resuscitò ma non si presentò al mondo, né ai potenti o alle tribù, trasecola frate Antonio. Si fece vedere dai Suoi accoliti. La Resurrezione, pecca Antonio, sembra un affare di pochi. E per pochi. Antonio, invece, vorrebbe aver coscienza della propria fine. Vorrebbe compendiarla nell'ars moriendi.

Il momento del trapasso, unico e irripetibile, diverso per ognuno eppure sempre uguale, è il suo pensiero principe che si presenta con veemenza nella fase che precede il sonno. Può durare pochi minuti come può durar delle ore: il terrore dal collo gli fascia in fretta la nuca.

– Penso a coloro che mi hanno lasciato qui e a coloro che presto nasceranno. Mi rivedo sul letto quando sarà la mia ora e immagino le parole da dire in quel momento. Mi contorco e capisco che non è questo a terrorizzarmi bensì la paura dell'attesa di svegliarmi sapendo che sarà tutto confortevole, come oggi, e sarà tutto diverso, come domani.

La morte resta lì, cancello del giardino d'un'isola lontana, oltre il quale non si vede niente, nemmeno la foschia, che pure sarebbe rinfrancante. Vista da qui, riflette frate Antonio, la morte è solo una realtà in potenza, che si farà concreta quando un giorno mi appresterò a oltrepassare quell'inferriata.

– Cosa troverò? Dio. Sarò ancora? Io.

Mentre la giornata si illumina d'un sole vivido, Antonio piange, e per un attimo dimentica di essere un frutto e non l'albero.

Frate Antonio interrompe allora le orazioni e rimembra le agiografie d'Ilarione di Gaza e Malco di Maronia, eremiti d'oriente che vissero agli albori del Cristianesimo, e che aveva letto nell'edizione di san Girolamo quand'era a Monte Sant'Angelo. Il loro distacco dalle passioni terrene è un esempio affinché la materia umana non reiteri se stessa nel tempo, da per sempre simile a sé nei secoli dei secoli. Digiuna e si sferza, Antonio.

E poi la sofferenza, che attanaglia l'intero corso dell'esistenza: subirla è tribolare, superarla non vivere appieno. Frate Antonio nella sofferenza si crogiola, il suo è un animo per niente ozioso o rinsecchito, figuriamoci avaro; la sua condizione di assoluta libertà è sigillata dalla propria fede. Egli non ha più una storia precedente che lo condizioni, ne è slegato. Non ha più padri e madri, fratelli e sorelle, nemmeno Capracotta a fargli da patria. Dio è il suo fabbro.

– Ma perché mi affanno tanto – si chiede Antonio – a cercare una soluzione al problema di Dio? Lui non fa compromessi con la contemporaneità: Dio è il Classico.

E allora frate Antonio, col saio logoro e unto, giunto alla Fonte dell'Orso proprio mentre il sole è alto in cielo, sciorina la sua metafisica a un istrice che s'è fermato un poco a fissarlo.

– Siamo ombre, sempre agganciate al Padre, a volte compresse, altre volte distese. Ma, quando il Sole, nel suo giro attorno al mondo, ci è a perpendicolo, le ombre spariscono: così noi svaniamo di fronte alla grandezza di Dio quando Lo adoriamo. Diventiamo un tutt'uno con l'Uno. Ahimé, quella sensazione dura un attimo appena, difatti non appena il grande astro vitale comincia la sua naturale discesa che lo porterà al tramonto, ecco riapparire le ombre. La fede in Dio deve essere costante affinché la contemplazione di Lui duri il tempo d'un battito d'ali a mezzodì.

Dopo un attimo di interdizione l'istrice riprende il cammino, non prima di aver lasciato un aculeo sul terreno. Antonio lo raccoglie e, mentre la luce si offusca, scoppia a ridere:

– Ho risolto il problema di Dio.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • G. Cattaneo, L'uomo della novità, Garzanti, Milano 1968;

  • E. M. Cioran, Sommario di decomposizione, trad. di M. A. Rigoni e T. Turolla, Adelphi, Milano 1996;

  • S. da Milano, Annali dell'Ordine de' frati minori cappuccini, vol. III, libro II, trad. it. di G. da Cannobio, Frigerio, Milano 1744;

  • A. Di Napoli, I cappuccini di Capitanata in epoca moderna tra slanci riformatori e contaminazioni eterodosse, in R. Parisi, Compagni/e di viaggio. Le associazioni laicali nelle religioni, Angeli, Milano 2020;

  • G. T. Fechner, Il libretto della vita dopo la morte, trad. di E. Sola, Isis, Milano 1921;

  • Girolamo (san), Vite di Paolo, Ilarione e Malco, trad. di G. Lanata, Adelphi, Milano 1975;

  • F. Nietzsche, Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è, a cura di R. Calasso, Adelphi, Milano 1969;

  • F. Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, trad. di F. Masini, Adelphi, Milano 1978;

  • M. Sgalambro, Dialogo teologico, Adelphi, Milano 1993;

  • R. Walser, La passeggiata, trad. di E. Castellani, Adelphi, Milano 1976.

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