Il bringantaggio è un fenomeno antico che ha assunto una marcata impronta politica a metà Ottocento in seguito alla propagazione delle istanze liberali da un lato e di quelle lealiste dall'altro, in merito alla sempre meno taciuta possibilità di unire gli stati della penisola italiana sotto un'unica bandiera. In realtà, però, il fenomento del brigantaggio fu sempre e comunque, prima di ogni altra cosa, mero banditismo, ossia l'unione in bande, squadroni, finanche eserciti, col preciso intento di arricchirsi a danno delle popolazioni, il che portava spesso ad uccidere e/o violentare.
Il bringantaggio nello Stato pontificio fu uno dei più virulenti della storia e, difatti, venne quasi sempre punito con metodi altrettanto forti e definitivi: la pena di morte.
Nei diari e nelle cronache giudiziarie spicca il nome di «Antonio di Arcangelo Fonsetti da Agnone in Regno». A ben vedere, infatti, Agnone era una città estera in quanto apparteneva al Regno di Napoli. Il Fonsetti, dunque, non era solo un bandito ma presentava anche un'aggravante, quella di essere straniero, acuendo il sentimento sciovinista delle popolazioni pontificie.
Egli fu inquisito (leggasi "torturato") finché non confessò i propri reati, ovvero «più crassationi da lui fatte in compagnia di altri in più tempi e strade». Nonostante la confessione estorta con la violenza, il 27 novembre 1665 Fonsetti fu condannato alla pena di morte per impiccagione, quindi condotto sulla «scomparsa piazza di Ponte» - adiacente Ponte Castel Sant'Angelo - «et ivi impiccato et poi squartato per portarsi i quarti a luoghi di delitti commessi». La punizione per i banditi - per lo meno dopo il Sacco di Roma del 1527 - non consisteva infatti nella "mera" uccisione per mano del boia, bensì nel depezzamento dei cadaveri (il più delle volte veniva tagliata la testa) e nella conseguente macabra esposizione dei brandelli di corpo, divisi in quattro pezzi proprio come le bestie macellate, come monito per tutti i passanti. Una delle più antiche tradizioni del popolo romano era proprio quella di dare uno scappellotto ai propri figli quando si era di fronte a un condannato a morte, di modo che quel piccolo gesto di violenza li avvertisse sulla fine che facevano i briganti.
L'agnonese Antonio Fonsetti, dunque, conobbe la morte per ordine di Fabio Chigi, papa Alessandro VII, che comunque non figura tra i pontefici più spietati come i precedenti Pio V e Sisto V.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
G. Gigli, Diario romano (1608-1670), a cura di G. Ricciotti, Tumminelli, Roma 1958;
O. Grossi, I boia di Roma. Crimini, torture e "giustizie" dal Quattrocento a Mastro Titta, Netwon & Compton, Roma 1997;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
M. Moretto, Mastro Titta: il boia del papa re, Polo, Roma 2009.