La mia ricerca sulla Biblioteca Altosannita prosegue imperterrita e quest'oggi investe un paese piccolo e spesso relegato in un oblio forse riconducibile al suo stesso nome, che è appendice d'un altro. Mi riferisco a S. Angelo del Pesco, remoto presidio umano medievale, un tempo chiamato Sant'Angelo in Grifone. Per i suoi antichi strettissimi rapporti amministrativi, demografici ed economici con Pescopennataro, si vide "costretto" a mantenere nel toponimo quel pesculum di latina memoria.
Al netto dei libri di storia bellica e dei saggi di ecologia, il paesino di Sant'Angelo sembra non aver avuto molto spazio nella letteratura italiana, eppure c'è stato almeno un momento di riscatto. Nonostante la picciolezza, S. Angelo del Pesco è entrato trionfalmente nel giro della grande letteratura internazionale grazie al vate Gabriele d'Annunzio (1863-1938), il primo poeta italiano che fece della vita stessa un'opera d'arte, rappresentando l'oltre dell'arte. Egli incarnò il trionfo della vita ed esaltò il gesto guerresco, il piacere fisico, il bello universale, il prodigio della tecnica, finanche la tradizione pastorale. D'Annunzio, infatti, non è soltanto il folle trasvolatore, l'amante insaziabile, il vessillo dell'italianità: egli è primamente il figlio prediletto dell'Appennino abruzzese, il cantore delle acque adriatiche, il poeta-massaro della transumanza appenninica.
Tra i tantissimi componimenti, odi e poesie del vate, ai miei occhi spicca un carme inserito nelle "Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di morire" edito da Mondadori nel 1935: il "Carmen votivum". Inestricabilmente legato alla tradizione neoclassica, il carme dannunziano può - e deve - essere considerato un vero e proprio testamento, in quanto il poeta, che sentiva vicina la propria fine terrena, inserì in questa poesia non soltanto il proprio (super)io, ma l'intero suo Es, il doppio sé nascosto e bizzoso, tradizionale e bambino, certamente inconsueto nella produzione dannunziana degli anni '30.
Ma appare superbo davvero d'Annunzio quando, per vezzeggiare la sua amata - la Piacente diva Elena Sangro (1897-1969) - utilizza il fiume a mo' di metafora, quel «gentil Sangro» già cantato da Giovan Battista Palma oltre due secoli prima nella canzone per Giovanna Caracciolo. Ora, basandomi sull'edizione manoscritta del "Carmen votivum", riporto:
Tu parli: «Io generata fui diurna
dal fiume che dà il nome alla mia gente.
Tal fiume non il cubito su l'urna
preme, né torvo guata la corrente.
Con mille volti e senza volto arride
a quel che vede e a quel che mai non vide.
Sovvienti: un tempo era nomato Sangue
il Sangro. Sotto il ponte del Crudele
scorre. Alle mie due bocche allude? Lambe
le soglie di Sant'Angelo del Mele.
Chiara al sole, s'intorbida alla nube;
e s'increspa più lene del mio pube».
Io dico: Figlia del tuo chiaro fiume,
Elena Sangro, all'ombra dell'alcova
nelle mie braccia sei color di fiume
turbato appena dalla prima piova.
Fatta sei di quell'oro avido e fresco
che passa per Sant'Angelo del Pesco.
Anche passa turbato sotto l'erte
rupi de' Marsi, recusando il cielo.
Ma il sasso per te figlia si converte
in quel marmo ineffabile che a Delo
incensatrice unto di flavo unguento
facea le iddie colore di frumento.
In conclusione, l'oppidum Sancti Angeli de Pesculo, cuneo dell'area sannitico-frentana, uno dei 63 piccoli comuni dell'Altosannio - da sempre uno dei meno popolosi - può vantare una menzione letteraria di tutto rispetto e da lì ripartire per una maggiore coscienza di sé e della propria cultura, affrancandosi dai terribili ricordi della guerra e dalla preoccupante tendenza allo spopolamento, un dramma in corso che riguarda l'intera regione abruzzo-molisana.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
AA.VV., Comuni d'Italia. Molise e appendice: testimonianze sui Sanniti, Ist. Enciclopedico Italiano, Acquaviva d'Isernia 1998;
G. d'Annunzio, Libro segreto, Mondadori, Milano 1935;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, voll. I e II, Youcanprint, Tricase 2016-2017;
G. B. Palma, Canzone in lode dell'ill. ed eccma signora Giovanna Caracciolo, Roselli, Napoli 1693.