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Il bovaro Pietro Tisone


La collocazione della Tavola Osca al British Museum (foto: K. Mancini).

(Capracotta, 19 giugno 1809 - 14 ottobre 1862)


Nella Capracotta napoleonica del 1809 era impensabile che uno come Pietro Tisone, persona di umili natali, potesse essere l'iniziatore, seppur involontario, di un dibattito storico-archeologico che ancor oggi non smette di produrre suggestioni e teorie, chiamando a raccolta i nomi di eminentissimi studiosi, da Theodor Mommsen a Wilhelm Henzen, da Nicola Corcia a Luigi Pigorini, da Joshua Whatmough a Edward Togo Salmon, da Adriano La Regina a Valerio Cianfarani.

Pietro Tisone è infatti colui che nel 1848, dopo oltre duemila anni, riportò alla luce la cosiddetta Tavola Osca, una lastra di bronzo del III secolo a.C., rinvenuta presso la Fonte del Romito, appartenente al popolo italico dei Sanniti, nella quale è descritto il sacro recinto dedicato alla dea Cerere e le festività sacre, le cerimonie e i sacrifici che si celebravano in un vicino santuario.

Registrato dall'ufficiale di stato civile nella variante cognomica Tesone, questo modesto lavoratore ha subito le più disparate manipolazioni. Se quella di Antonio de Nino, che parlò di «un Pietro Tirone, bifolco del sig. Giangregorio Falcone», fu probabilmente una svista, lo stesso non può dirsi nel caso di Francesco Saverio Cremonese, che non menzionò affatto il nome del ritrovatore nella sua lunga e circostanziata notizia inviata all'Istituto di Corrispondenza Archeologica, per non parlare della spudorata affermazione di chi, come Giuseppe Gamberale, sostenne che «nessun Tisone risulta mai nato o residente in Capracotta».

Per fortuna il dott. Vincenzino di Nardo, sul finire dello scorso anno, ha dato alle stampe una interessantissima monografia sulla Tavola Osca nella quale descrive, con dovizia di particolari, il luogo e le circostanze del ritrovamento, denunciando il furto di paternità perpetrato negli anni e le possibili macchinazioni che portarono alla vendita del manufatto - l'originale o forse la sua copia - al British Museum di Londra.

E grazie a un articolo di Costantino Castiglione apparso su "Il Mattino" di Napoli nell'ormai lontano 1937, possiamo leggere la testimonianza di Giangregorio Falconi, proprietario della terra in cui stava la Tavola Osca, fedelmente contestualizzata al periodo:

In una sera dell'autunno 1848 il bovaro Pietro Tisone da Capracotta, che era al servizio del Falconi, si recò da lui e gli disse: – Signor padrone, arando oggi il terreno sopra alla masseria presso il vallone di Fonte Romito, il vomere ha urtato e messo alla superficie questo mattone di metallo. Il Falconi esaminò il mattone, si assicurò che non era d'oro e disse al Tisone: – Posalo sul camino perché dopo vedremo di che cosa si tratta. Intanto nel paese e dintorni si sparse la voce che il mattone fosse d'oro non ostante che gli orefici l'avessero smentito. Dopo pochi giorni si vide arrivare a cavallo il signor Francesco Saverio Cremonese, suo caro compare di Agnone che dispensò molti dolci ai piccoli figli del Falconi e dissegli: – Compare, ho saputo che il tuo bifolco ha trovato un pezzo di metallo nelle tue terre della Macchia. Per curiosità, me lo fai vedere? Il Falconi andò a prendere il mattone. Frattanto scese in cucina per far preparare il caffè. Sul tavolo ove il Cremonese faceva le sue osservazioni, aveva posato in precedenza una scatola di legno di circa quaranta centimetri di lato e cinque di altezza, contenente fogli di piombo per calchi. Rientrò il Falconi proprio al momento in cui il compare aveva disteso un foglio di piombo sul mattone per farvi incidere i segni impressi. Ma l'ospite si affrettò a far rilevare che avrebbe fatto decifrare da persone competenti quei segni. Il Falconi non dette alcuna importanza al calco eseguito. Il Cremonese ripartì e tornò dopo una decina di giorni, recando in dono diversi oggetti d'oro alle figliuole del Falconi, al quale chiese poi il mattone per un miglior esame che avrebbe affidato ad abili amici di Napoli. Nessuna difficoltà per la consegna e non se ne parlò più. Il Cremonese fece come aveva detto. Ma il mattone passando di mano in mano, ne trovò delle poco scrupolose, che ne fecero commercio. E si seppe poi che era stata venduta per trecento ducati [...] Gli anziani guardaboschi del paese che avevano avuto occasione di conversare col bovaro Tisone confermano i fatti.

Pietro Tisone aveva sposato Maria Rosaria Venditto, che gli diede quattro figli: Maria Vincenza, Loreto, Angelarosa e Maria Sebastiana. Egli «passò agli eterni riposi» a 53 anni, nel pieno delle forze, e risulta «seppellito in questa Madrice Chiesa». Di certo nessuno potrà mai negare che son state le «callose mani dell'aratore, per la storia, Pietro Tisone» a regalare all'umanità quella piccola iscrizione bronzea che parla di com'eravamo prima di Gesù Cristo.


Francesco Mendozzi

 

Fonte: F. Mendozzi, In costanza del suo legittimo matrimonio. Sociologia del popolo di Capracotta desunta dai registri dello stato civile napoleonico (1809-1815), Youcanprint, Lecce 2021.

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