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Breve storia della Tavola Osca di Capracotta


Tavola Osca Marinelli
Una riproduzione della Tavola Osca realizzata dalla Fonderia Marinelli.

Duemila e cinquecento anni fa circa, gli abitanti del Dekmanio (Circoscrizione amministrativa della tribù sannitica dei Carecini, che si era stabilita nel territorio sullo spartiacque fra Sangro e Verrino-Trigno), volendo rendere pubblico con un documento duraturo che sancisse la sacralità del luogo riservato al santuario, e volendo regolamentarne i riti, i sacrifici e le offerte nelle feste religiose dedicate alle divinità locali, stabilirono di fare incidere sopra una lamina di bronzo il calendario annuale delle ricorrenze festive, dedicate a 15 divinità, e di affissarla ad un arco per renderla ben visibile agli abitanti, pastori e contadini che frequentavano il santuario, perché fosse, di perenne ricordo e dettame di vita.

La vita politica e civile della tribù, infatti, si svolgeva secondo le regole delle tradizioni religiose e contadine, poiché la religione offriva a tutti i componenti della comunità i modi per affrontare sia l'ambiente naturale e familiare, sia la più ampia rete sociale, economica e politica.

La gente dei campi registrava con il calendario delle feste religiose, anche i cicli della natura: il giorno e la notte, le fasi lunari, l'anno solare, i cicli vitali degli animali e delle piante, creando rituali e consuetudini legate al succedersi degli equinozi, della semina, della germinazione, della raccolta; tendeva, inoltre, a istituire localmente specifici luoghi sacri, templi e divinità; cui ricorreva per rendere omaggio secondo il calendario stabilito e, in tempo di crisi, per scongiurare le minacce più gravi per i campi: siccità, grandine, invasione d'insetti.

Per circa due secoli la vita delle tribù sannitiche si svolse seguendo questa duplice tradizione legata al culto delle divinità ed al lavoro dei campi, nonostante le tre guerre contro i Romani con sconfitte, vittorie e tentativi per migliorare i propri diritti civili ed ottenere, come gli altri popoli italici, la cittadinanza romana.

Nel 83 a.C. scoppiò, però, la guerra civile tra Silla e Mario: i Sanniti mantennero la neutralità tra i contendenti, ma ciò non piacque a Silla, il quale, provando contro di essi un odio implacabile, minacciò loro punizione, morte, confisca e sterminio su larga scala, se fossero dalla parte di Mario (così scrisse lo storico greco Appiano).

Di fronte a questa prospettiva minacciosa, che non teneva conto della neutralità, non restava che schierarsi veramente dalla parte di Mario e combattere per impedire l'ascesa di Silla. Ma nella battaglia di Porta Collina del 1° novembre 82 a.C., i Sanniti furono sconfitti non da Silla, ma da Crasso, accorso in suo aiuto; avevano combattuto e perso la loro ultima battaglia, non rimaneva che la feroce vendetta di Silla, il quale perpetrò con sanguinaria brutalità il massacro di quel popolo la cui storia rimane una delle più appassionanti dell'antichità.

I Romani non sentirono in alcun modo il bisogno di riconciliarseli, come avevano fatto con gli altri Italici; Cicerone stesso (in "Pro Balbo") li escluse dalla lista dei popoli italici incorporati a formare lo stato romano: i Sanniti furono confinati nell'oscurità ed ignorati con sdegnosa indifferenza fino a quando l'assimilazione compisse tra essi il suo corso.

Nella devastazione generale del territorio, anche la Tavola Osca di Capracotta andò dispersa come un detrito, tra le macerie del santuario.

Giacque così per oltre due millenni, in mezzo a due grandi massi, coperta di terra con «l'arpione attaccato ad uno dei massi quadrati, che formavano un muro costrutto di pietre egualmente riquadrate, unite insieme con calcina. La sua grossezza è di circa sei palmi, onde pare che appartenesse a qualche grandioso edificio, che da molti indizi ed in ispecie dal soggetto del nostro bronzo, risulta dover essere un tempio, nel cui recinto doveva star sospeso da un muro a tutti cospicuo il bronzo medesimo».

Dopo due millenni, nel marzo del 1848, un certo Pietro Tisone, bovaro della masseria di Giangregorio Falcone di Capracotta, per caso, scavando una fossa presso la Fonte del Romito, trovò la preziosa lamina di bronzo e la consegnò al suo padrone.

Saverio Cremonese di Agnone, che, per commercio, faceva raccolta di monete, di vasettini, di scodelline fittili e di altre reliquie antiche, fece pressante richiesta della lamina al Falcone. A stenti e non prima di quattro o cinque mesi, nonostante una «invida persona» si opponesse alla cessione, così testimonia lo stesso Cremonese, la lamina passò nelle mani del richiedente, il quale non riuscendo a venderla al governo italiano, che gli offriva mille lire, la cedette per circa duemila lire al British Museum di Londra (Cat. of Bronzes 888. Autopsia effettuata nell'agosto 1977); non solo intascò le duemila lire per un reperto archeologico che non era suo, ma usurpò anche il nome, facendolo chiamare, nello scambio della vendita: "Tavola osca di Agnone".

Insigni studiosi con obiettività ed alto senso di giustizia, hanno denunciato il furto del reperto e del nome, diventato ormai vulgato: il prof. Antonio De Nino (già citato) afferma in "Notizie degli scavi d'antichità", che «non Bronzo d'Agnone dovrebbe chiamarsi, ma capracottese»; Maria Grazia Tibiletti Bruno in "Abruzzo", ripete: «...e si continuerà a parlare del "bronzo" o della "tavola di

Agnone", in realtà si dovrebbe dire "di Capracotta"».

Anche l'Amministrazione comunale di Capracotta, allora, con l'orgoglio che la caratterizza, dovrebbe rivendicare il nome del reperto archeologico, ma soprattutto non dovrebbe rinunciare al diritto di recupero, anzi, a nome di tutta la cittadinanza, dovrebbe (come hanno fatto gli Umbri nel caso della biga etrusca), chiedere al British Museum, insistendo presso le Autorità dei Beni Culturali del nostro Paese, la restituzione del prezioso reperto.

Soltanto così la Tavola Osca di Capracotta finirà di girovagare e potrà avere la collocazione definitiva nel suo territorio d'origine, dove è stata prodotta per svolgere un ruolo importante di cultura.


Antonio De Simone

 

Fonte: A. De Simone, Breve storia della Tavola Osca di Capracotta, in «Voria», I:1, Capracotta, luglio 2007.

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