Di solito, e salvo qualche eccezione, i soci del C.A.I. vanno in montagna per godere quel senso indefinibile di appagamento che la montagna offre a chi le si avvicina con civiltà, amore, umiltà.
E non è necessario essere Emilio Comici, Reinhold Messner, Giusto Gervasutti o Cesare Maestri per essere soddisfatti di aver posato il piede sulla cima del Taburno, della Gallinola, e del S. Angelo; e, da quelle cime, bearsi di vedere l'alba ed il sorgere del sole dopo che la notte nel sacco a pelo ha regalato il pulviscolo della Via Lattea e la fissità dell'Orsa Maggiore.
La vista, sempre nuova ed affascinante, della sfera di luce che si eleva nel cielo ci ripaga dal tormento subito per tutta la notte dal duro e bitorzoluto sasso che ha insistito sulla costola e dal libero transito delle formiche sempre a caccia di qualcosa.
Ma chi, come noi, ha contratto con la sezione di Napoli un "matrimonio" da appena 50 anni, non credo, in tutta onestà, possa ancora avere di queste ambizioni.
Al massimo, ci è dato raggiungere - quando è possibile - solo la collina del tramonto, da cui, a volte, è consentito cogliere il fasto ingannevole del calar del sole.
In ogni caso, grazie per l'attenzione e la cortesia che avete voluto riservare sia a questi "vecchiacci" e sia alle cinque aquile d'oro che la Sezione ha riunito questa sera.
Dopo avervi ringraziato di cuore e con un punta di commozione (che non guasta), chiedo il permesso di poter affermare che il decennio dal 1945 al 1955 fu una stagione bellissima ed irripetibile per quantità e qualità di giovani che si accostarono al C.A.I. di Napoli. Non ho mai saputo spiegarmi perché, in quegli anni, tanti giovani si accostarono alla montagna. Oggi, azzardo qualche ipotesi.
Perché uscivamo da una guerra che ci aveva visti sconfitti con umiliazione (almeno per noi che eravamo stati allevati, a parole, all'arte della cultura militare, al culto dell'invincibilità, al traguardo della vittoria - o morte, ma solo per ipotesi).
Perché assaporavamo per la prima volta nella nostra vita la libertà vera.
Perché ci apprestavamo a rimboccarci le maniche, con amore e sacrifici, per ricostruire l'Italia distrutta.
Perché stavamo scoprendo il significato, liberatorio e quasi evangelico della scritta «Libertà dal bisogno» stampata su uno dei quattro angoli delle AM Lire (la carta moneta emessa dal Governo militare alleato) oltre alle altre tre libertà: Religione - Parola - Associazione.
Non a caso ho detto che fu un decennio irripetibile. Mi auguro di sbagliare ma sono persuaso che la nostra sezione non abbia mai più registrato tante iscrizioni di giovani che della montagna non solo temevano e rispettavano le tormente ed i furori improvvisi ma che allo stesso tempo erano capaci di amare ed apprezzare i silenzi, le albe, i tramonti, il cantare in coro "Stelutis Alpinis", praticare la solidarietà montanara cioè quella che accomuna i componenti di una cordata e quella più modesta, silenziosa e meno appariscente che sbocciava nel mio paese - Capracotta - quando dopo una nevicata che aveva seppellito le case sotto un manto di 2-3 metri di neve, stimolava i giovani validi del paese a portare il loro aiuto alle persone anziane o bisognose sotto forma di pane, sale e buone parole.
Molte di quei giovani che allora s'iscrissero alla sezione di Napoli hanno lasciato una traccia (e qualcuno anche la vita) nella storia sezionale.
Consentitemi di ricordarne qualcuno chiedendo venia ai dimenticati. Oltre a Renato De Miranda, vorrei citare i nomi di Nino e Peppino De Crescenzo, i vincitori del Salto di Tiberio, ascensione che prevede il superamento di un passaggio di V grado superiore, Paolo Pagano, Aurelio ed Italo Lucchini, Francesco Guerrini e Miriam Kuehne, Renato Castagneto, Raffaele Lombardi, Glauco Izzo, Alma Danneker (Pallina), Aurelio Spera e Pasquale Monaco - volati dal Cervino nel 1956 -, Maria Spada, Imma Boccadamo, Franco Piedimonte, Enrico Treichler, Franco Leboffe, Manlio Bagnasco, Tonino e Nicoletta D'Amore, Adolfo Ruffini, Mandella Gaetani, Salvo Zeuli, Gigi Amirante, Peppe Boris, Franc'Armando Lardinelli Becci e tanti altri.
Questa nidiata ebbe una chioccia amorevole ed impagabile: Pasquale Palazzo e per fratelli maggiori aquilotti che rispondono ai nomi di Emilio Buccafusca, Manlio Morrica, Cioccio Castellano, Gianni Perez, Tonino Amitrano, Carlo De Vicaris, Giacomo Sangiorgio.
Tutta gente che dava del "tu" alla montagna e che, discorrendo del Trofeo Mezzalama, il mitico Mezzalama, poteva dire - come i veci della Julia - «c'ero anch'io».
Credo di fare cosa gradita citando i versi di due poesie di Emilio Buccafusca, pura intelligenza partenopea prestata alla medicina, che elargiva scampoli della sua arte poetica e pittorica senza la spocchia di alcuni maîtres à penser di oggi. Dalla "Preghiera dell'Arrampicatore":
Signore delle vertigini
dei precipizi veloci
delle morti oblique
fa che la notte ci doni
sempre benigna le sue stelle
ed il sole ci baci sulle cime.
Benedici Signore a tutti gli scarponi del mondo
fammi venire in Paradiso con le pedule.
[e da cantare in coro]
Perché cantiamo talvolta intorno ai bivacchi
le nenie e i cori che salgono caldi dal cuore?
Forse per le fanciulle o per le cime
che tutte vestite di sole e di bianco sembrano andare spose
sotto ghirlande di nuvole.
Forse per le anime nostre che l'altezza fa divenire più pure.
Forse.
Eppure un vecchio alpino mi confidò che un giorno
dietro la porta di un rifugio
sorprese un' angela bellissima addormentata.
Era venuta giù dal Paradiso
innamorata della sua penna e del suo canto.
I 50 anni di sodalizio con la sezione del C.A.I. di Napoli non conferiscono né a me, né ad altri, alcun diritto, precedenza, agevolazioni, ma solo un privilegio: quello di poter formulare ai giovani di questa sezione l'augurio di un futuro montanaro come quello che noi vecchi abbiamo avuto la ventura di poter raccontare.
Grazie.
Vincenzo Potena
Fonte: V. Potena, Brevi riflessioni e ricordi a... perdere sui nostri primi 50 anni di C.A.I., in «Notiziario sezionale del Club Alpino Italiano», I:96, Napoli, maggio 1996.