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Il caciocavallo sannita


Franco Di Nucci
Franco Di Nucci coi suoi caciocavalli (foto: S. Furlanetto).

L'Appennino, si sa, è territorio di pecore e pecorini, ma nella zona del Sannio sono i formaggi vaccini a farla da padroni: su tutti, il caciocavallo. Il Sannio è l'area, tra Molise e Campania, dove duemila anni fa si erano insediati i Sanniti: una popolazione italica nata dal Ver Sacrum (Primavera Sacra) compiuto dai Sabini in seguito alla vittoria sugli Umbri. Il Ver Sacrum era un rito di ringraziamento verso gli dèi, durante il quale veniva promesso in sacrificio tutto quello che sarebbe stato prodotto nella primavera successiva; anche i bambini nati in quella primavera era donati alla divinità: compiuta la maturità sarebbero stati espulsi dalla comunità e, guidati da un animale sacro, avrebbero colonizzato nuove terre. I Sanniti Pentri seguendo il bove arrivarono alle sorgenti del Biferno e lì sorse la città di Bovaianum, l'attuale Bojano. Forse è proprio a causa dell'importanza dell'animale sacro a Marte che, qui, cominciarono a produrre i formaggi vaccini.

Oggi, nell'Alto Sannio si trova il parco archeologico di Pietrabbondante, dove si può ammirare il teatro-tempio, il più importante luogo della civiltà sannita. Tra le comodissime sedute - di quello che fu un vero e proprio senato per le popolazioni sannite - venne usata per la prima volta la parola "Italia". Non distante, ad Agnone, sorge un altro tempio: il Caseificio Di Nucci, dove dal 1662 si tramanda l'antica arte casearia.

La famiglia Di Nucci, originaria di Capracotta, da ben undici generazioni tramanda l'arte dei formaggi a pasta filata. Franco Di Nucci è il meddíss (capo-guida dei popoli sanniti) dell'azienda; dopo gli studi in storia e filosofia ha deciso di continuare la tradizione di famiglia nonostante il parere contrario del padre. Per lui non c’è nulla di più coerente: «Gli uomini che hanno fatto le grandi scoperte dell’agricoltura sono sostanzialmente degli intellettuali» e il caciocavallo è una di queste grandi scoperte. La lavorazione a pasta filata nasce nell'Italia del Sud, dove le alte temperature inacidiscono il latte che non può più essere usato per i formaggi. Il genius loci ha fatto sì che a qualcuno venisse l'idea di versare dell’acqua calda nel latte acidificato: ed ecco la pasta filata!

Franco si muove tra prodotti e processi di lavorazione come un vero professore: la passione per il suo lavoro ci rapisce. Tutto il processo inizia dal territorio e dalla raccolta del latte, una materia prima valorizzata da un sistema di pagamento che premia l'alta qualità. Questo sistema "a premi" oltre a stimolare la crescita degli allevamenti permette la lavorazione del latte a crudo, fondamentale per preservare tutte le caratteristiche di profumo e sapore dei pascoli dell'Alto Sannio. Franco è a tratti poetico nell'esprimere il suo amore per la natura, non perde occasione per elogiarla con il suo sapiente uso della parola: «i nostri pascoli formano un alimento che, in questo meraviglioso laboratorio che sono gli stomaci delle vacche, viene lavorato e si trasforma in un fantastico prodotto: il latte».

Per creare la pasta filata a latte crudo, viene aggiunto un siero innesto (che ha una parte di latte acido) che attiva la fermentazione grazie a «i microorganismi del territorio, delle erbe, dei fiori, degli animali, ma anche quelli delle nostre mani e della nostra presenza» racconta Franco. Per controllare la qualità della cagliata, usa il cucchiaio ereditato da suo padre. Quello stesso cucchiaio, quando verrà il momento, passerà al figlio Francesco che sta seguendo le orme del padre all'interno del laboratorio. Con il cucchiaio, simbolo della tradizione familiare, ci mostra la trasformazione della cagliata che, messa nel siero ad 83 °C, diventa in pasta filata. E così, grazie ad un'antica sapienza, dall'impasto malleabile, trasformabile e plasmabile, si va a creare un gomitolo di pasta filata in forme che favoriscono la fermentazione e la stagionatura dei formaggi.

Le mani di Franco si muovono dolci e sicure creando meravigliosi prodotti come la manteca (una sfera di burro profumatissimo avviluppato dalla pasta filata), le scamorze (se ne trovano anche di arricchite con tartufo o peperone dolce) o la straordinaria stracciata (un filo di mozzarella vincitore di numerosi premi). Il vero capolavoro però rimane il caciocavallo: in un sapiente gioco di prestigio Franco arrotola la pasta filata fino a creare l'inconfondibile forma a pera con la testina. Come se lo vedesse per la prima volta,  ci dice: «Guardate che capolavoro, mio padre è un artista e anche mio figlio Francesco è un artista». Sicuramente anche Franco lo è, aggiungiamo noi.

Una volta che il caciocavallo ha preso forma viene appeso, in coppia, a "cavallo" di una pertica, da cui il nome. Dopo essersi raffreddato, viene passato in acqua salata dove si "asciuga" e per poi venire sottoposto a stagionatura. Fino a due/tre mesi si parla di un caciocavallo semi stagionato, se si va oltre si ottiene il caciocavallo stagionato di Agnone: un capolavoro! La stagionatura, come per i grandi vini o salumi, avviene in una cantina speciale - una sorta di caveau. Entriamo quasi ossequiosi in questa stanza, ricavata dalla roccia rapillo e ricoperta da caciocavalli appesi ad aspettare il momento giusto per essere gustati. Franco accarezza le muffe che si sono formate sulla scorza ormai arancione e ce ne fa sentire l'odore: un bouquet di profumi unico. Le muffe che hanno colonizzato questo ambiente sono le stesse dei formaggi erborinati come il gorgonzola o il roquefort: con la trasformazione chimico-fisica penetrano lentamente nel caciocavallo che resta a stagionare per almeno 6-8 mesi.

Franco ci racconta degli innumerevoli premi vinti dal suo caciocavallo stagionato: persino quello delle olimpiadi del formaggio in Svizzera: «Quando sono salito sul palco con la banda svizzera che suonava l'inno italiano è stata un'emozione unica. È stato come vincere una finale dei mondiali».  A proseguire la tradizione di famiglia, oltre al figlio Francesco, ci sono Antonia e Serena. Mentre il padre Franco la guarda orgogliosa, Antonia ci spiega che in moltissimi che vengono a vedere «questi matti che fanno i formaggi da 350 anni».

Forse le fonti e le ricerche storiche non ci daranno ragione, ma a noi piace pensare che i sapori delle erbe, delle muffe e del latte sprigionati da questo straordinario formaggio siano un lascito di quella popolazione che per prima colonizzò l'area del Sannio. Per questo motivo, per noi, il caciocavallo di Agnone rimarrà il Caciocavallo Sannita.


Francesco Sabatini

 
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