Principessa di S. Buono; Duchessa di Castel di Sangro; Marchesa di Bucchianico; Contessa di Schiavi, di S. Vito, di Capracotta, & c.
Si sovra il basso stil tento inalzarmi
Ne' miei pensieri, e di sì bei colori
Mandarli adorni a le future genti,
Che d'alta Donna i più riposti onori,
Accolti in guardia di ben degni carmi,
Per volger d'anni non rimangan spenti.
Voi che movete il Ciel superne menti,
E i vaghi lumi per gl'immensi giri
Reggete il mio pensier, che senza oltraggio
Per sicuro viaggio
A questo nuovo Sol d'intorno giri,
E da' begli atti, e dal divin sembiante
Tragga forme immortali, e lume prenda,
Onde poi scorto ascenda
E sovra Olimpo, e sovra il mauro Atlante,
Lasciando dietro a se le nubi, e 'l gielo,
Ed oltre passi poi di Cielo in Cielo;
Così mio dir per lui fatto sublime
Basti a portare i suoi gran pregi in rime;
Che ben s'affida a brievi, e tarde piume,
Per far d'illustre nome adorni i mari,
Chi senza diva scorta a volar prende
La vè tutto di raggi ardenti, e chiari
Sfavilla intorno il bel celeste lume.
Ei, ch'ogni voglia a vera gloria accende,
Soverchia il capir nostro, e infermo il rende;
Come raggio divino occhio mortale.
Ben talor vacillando ivi s'affisa
Mente audace, e s'avvisa
Mirar sceso dal Cielo spirto immortale,
Che d'un candido vel manto si face;
Ond'in bel foco di desire accesa
S'attenta a l'alta impresa,
E 'l volo scioglie oltre il costume audace;
Ma poi delusa il van pensier disperde,
E de l'altezza ogni speranza perde;
Ch'anzi di fornir l'opra il vol si stanca,
E spesso rompe a mezo il corso, e manca.
Ma io per Voi con piena aura seconda
Già lieve fatto, ecco m'inalzo, ed ergo;
E qual'Aquila fermo in quel bel Sole
Altero il guardo, onde m'affino, e tergo.
Così miro, com'ei virtù n'infonda,
Virtù, che da' bei rai discender suole,
E veggio quai pensieri, atti, e parole
Crea, e com'ogni cor torne gentile.
Il bel seren, che da sua vista muove
Tal dolcezza in noi piove,
Che ben sembra tutt'altro infermo, e vile.
Ne così nebbia d'arto umor terreno
Al Sol dinanzi si dilegua, e fugge,
Come si sperde, e strugge
Al raggiar del suo vago, e bel sereno
Ogni turbato, ond'è 'l pensiero oppresso.
L'aria, l'acqua, la terra, e 'l Cielo istesso
S'allegra da' suoi rai, ch'un più lucente
Aprono al mondo, e più chiaro oriente.
Io più m'interno, e 'l ben conforme corso
Scorgo del nuovo Sole, e 'l carro ornato,
U' son gli eccelsi suoi atti dipinti,
Sol d'onor veggio, e di virtù formato;
E con destrier non mai ristrosi al morso
Scorrere il miro sovra i mostri estinti,
E trionfando altri menarne avvinti;
Pur come invitto, e glorioso Duce.
Talché Lui, che ne spiega il chiaro giorno,
Invidia preme, e scorno,
E par chiuda nel duol l'alma sua luce;
Ch'altro Sole, altro corso, e d'altro intesto
Che d'ostro, e d'oro scorge un più bel carro.
Ma dove son? che narro?
Già paventa il pensier, ch'era si desto,
E si conturba in se stesso discorde;
Dunque nuovo furor deste, e concorde,
E molcia, e tempre le mie parti interne;
Date nuov'aure al vol virtù superne.
Quest'almo Sol, ch'in tanta gloria siede
In sì bel carro, e fuor d'errore, e d'ira
Per vie sublimi, e non segnate ancora
Lo muove, e regge, ed a sua voglia gira;
Ben sovr'ogn'altro n'apre eterna fede
De l'increato ben, che 'l mondo adora;
Che più chiaro, o simil non tornò fuora
Giammai altro splendor da l'alta, e pura,
Eterna luca, ond'ogni bel deriva,
E s'informa, ed avviva
L'alma che fora tenebrosa, e impura.
Però a qual mente il Ciel grazia comparte
Fissarsi oltre nostr'uso al bel splendore,
Non pur d'alto stupore
Carco, e di gioja indi il pensier si parte;
Ma più leggiadra, e nobil forma veste;
Anzi in quel, ch'ivi appar del ben celeste,
Ogni vaghezza sua ferma, ed acqueta,
Ned altro objetto mai di se l'asseta.
Dappoi che 'l Fabbro eterno a formar tolse
Si bel lavoro, in ch'Ei segnato scopre
De l'infinita sua mente superna
Il gran concetto, e sue mirabil'opre,
Tra le forme, che varie in se raccolse,
Ebbe egli eletta, a dar lui vita interna,
La più sublime, e l'alta imago eterna
Quasi più chiara, e viva in lei scolpio;
Indi l'accose in sì leggiadro manto,
Che già più vago, o tanto
Non sà, né può bramar nostro disio.
Giovanni Battista Palma
Fonte: G. B. Palma, Canzone in lode dell'Ill. ed Eccellentiss. Signora Giovanna Caracciolo, Roselli, Napoli 1693.