Così a guardo mortale adorna espose
Questa alta Donna, che cogli atti suoi
È fida scorta a noi
Nel corso incerto de l'umane cose;
Ch'indi s'apprendon pure, e giuste voglie,
Indi eletti pensieri, indi si toglie
L'esempio d'onestà, ch'è in Lei più chiara,
E verace virtute indi s'impara.
Ben'Ei, che l'ampio Ciel mosse, e le stelle,
E trasse il die da cieco orror profondo,
Per sua ministra la natura elesse,
Che producendo empia, e sostenga il Mondo;
Ma serbò a se l'opere grandi, e belle;
Onde a ritirar le sue sembianze espresse
Costei si vaga, e di man propria impresse;
E così varie in Lei mise, e distinse
Le virtù, gli atti vari, e i bei costumi;
Come di vari lumi,
E d'eterne vaghezze il Ciel dipinse.
Taccia la prisca età quelle, ond'accrebbe
Il Ciel di nuovi numi, e d'empietade,
E qual mai d'onestade
In maggior pregio, e di bellezza crebbe;
Che ben Costei lor chiara fama adombra,
E 'l Mondo tutto di sua gloria ingombra,
Ed altr'idee produce a' nostri tempi,
Ed altre meraviglie, ed altri essempi.
Se da' bei giri eterni Ella movea
In quell'età, cui 'l Ciel riposta tenne
La vera fede, e nel futuro involta,
Che poi le carte a illuminar ne venne;
Onde il suo culto, e gli onor suoi volgea
La, vè più scorse alta virtù raccolta;
Che non v'hà gente in suoi pensier s'incolta;
E si barbara, e fera, ove non mette
Raggio ndel suo splendore il Sole eterno;
A Lei, quasi a superno
Nume del Ciel, sì avrebbe il Mondo erette
E statue, e tempi, ed archi eccelsi, e degni,
Che stati foran scarsi al gran lavoro
E bianchi marmi, ed oro,
E stanca l'opra de' più industri ingegni.
E tu Italia sublime in tanta gloria
Veduto avresti a sua eterna memoria
Le meraviglie erette, e 'l tempio indritto
D'Efeso, e l'opre del famoso Egitto.
Ma s'a noi toglie or d'adorar Costei
Santa legge del Ciel, che 'l Mondo ha volto
Al vero culto, per vie certe, e conte;
Pur quasi in ampio, e nobil tempio accolto
Il primo Ver fia, che s'adori in Lei;
E scolpirmela in mezo al nostro monte,
O dove più l'alpestra, e dura fronte,
Ch'al più cocente ciel verna, ed agghiaccia
Il superbo Appenino altera estolle;
E ben sì nobil colle
È degno, che di sé statua a Lei faccia;
Poicché per Lei in tanto pregio ei viene;
Ch'in contesa d'onor via men risuona
Parnaso, ed Elicona,
Nonch'Ato, Olimpo, Atlante, Alpe, e Pirene
Ella qual nuovo Febo in guardia l'ave,
E con sua cetra, in suon chiaro, e soave
L'empie d'onore; e d'alte palme adorna
Il gentil Sangro, e in Ippocrene il torna.
Quanto empierà d'invidia il secol nostro
Color, ch'a più tard'anni il Ciel destina,
Che lor sie tolta, a noi concessa in sorte
La vista, in che virtù se stessa affina,
Di questo altero al mondo, e raro mostro.
Né fia, che speme lor giammai conforte,
Che 'l volger d'anni ugual sembianze apporte;
Con questo suo mirabil magistero
Il Ciel prescrisse a le grand'opre il segno,
E disperse il disegno,
Ch'al bel lavoro finse il gran pensiero.
Qual dunque or fia, che si lontane, e parta
Suoi pensier da virtù, ch'eterna loda
Al ciel porger non s'oda,
Che tanta grazia a gli anni suoi comparta,
Degnandol di mirar si altera Donna,
Vestita appena di terrena gonna,
Speglio d'alta virtute, e d'onor tempio,
Vera laude di Dio, e vero essempio.
Canzon'anco talor Pittore industre,
Se brieve tela i suoi pensier non stringe,
Altri ei colora, altri n'accenna in parte,
E con mirabil'arte
Quasi in lontano altri ombreggiando finge;
Sì ch'al pensier de' risguardanti lassa,
Ch'ov'egli tace imaginando vegna.
S'or mio stil non disegna
Appien costei, e mille onor trapassa;
E in te di Lei il men sublime appare;
Pur fia, ch'indi ciascuno ancor comprenda
Quanto suo merto in sù poggia, ed ascenda.
Giovanni Battista Palma
Fonte: G. B. Palma, Canzone in lode dell'Ill. ed Eccellentiss. Signora Giovanna Caracciolo, Roselli, Napoli 1693.