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Canzone in lode di Giovanna Caracciolo (II)


Giovanni Battista Palma

Così a guardo mortale adorna espose

Questa alta Donna, che cogli atti suoi

È fida scorta a noi

Nel corso incerto de l'umane cose;

Ch'indi s'apprendon pure, e giuste voglie,

Indi eletti pensieri, indi si toglie

L'esempio d'onestà, ch'è in Lei più chiara,

E verace virtute indi s'impara.

Ben'Ei, che l'ampio Ciel mosse, e le stelle,

E trasse il die da cieco orror profondo,

Per sua ministra la natura elesse,

Che producendo empia, e sostenga il Mondo;

Ma serbò a se l'opere grandi, e belle;

Onde a ritirar le sue sembianze espresse

Costei si vaga, e di man propria impresse;

E così varie in Lei mise, e distinse

Le virtù, gli atti vari, e i bei costumi;

Come di vari lumi,

E d'eterne vaghezze il Ciel dipinse.

Taccia la prisca età quelle, ond'accrebbe

Il Ciel di nuovi numi, e d'empietade,

E qual mai d'onestade

In maggior pregio, e di bellezza crebbe;

Che ben Costei lor chiara fama adombra,

E 'l Mondo tutto di sua gloria ingombra,

Ed altr'idee produce a' nostri tempi,

Ed altre meraviglie, ed altri essempi.

Se da' bei giri eterni Ella movea

In quell'età, cui 'l Ciel riposta tenne

La vera fede, e nel futuro involta,

Che poi le carte a illuminar ne venne;

Onde il suo culto, e gli onor suoi volgea

La, vè più scorse alta virtù raccolta;

Che non v'hà gente in suoi pensier s'incolta;

E si barbara, e fera, ove non mette

Raggio ndel suo splendore il Sole eterno;

A Lei, quasi a superno

Nume del Ciel, sì avrebbe il Mondo erette

E statue, e tempi, ed archi eccelsi, e degni,

Che stati foran scarsi al gran lavoro

E bianchi marmi, ed oro,

E stanca l'opra de' più industri ingegni.

E tu Italia sublime in tanta gloria

Veduto avresti a sua eterna memoria

Le meraviglie erette, e 'l tempio indritto

D'Efeso, e l'opre del famoso Egitto.

Ma s'a noi toglie or d'adorar Costei

Santa legge del Ciel, che 'l Mondo ha volto

Al vero culto, per vie certe, e conte;

Pur quasi in ampio, e nobil tempio accolto

Il primo Ver fia, che s'adori in Lei;

E scolpirmela in mezo al nostro monte,

O dove più l'alpestra, e dura fronte,

Ch'al più cocente ciel verna, ed agghiaccia

Il superbo Appenino altera estolle;

E ben sì nobil colle

È degno, che di sé statua a Lei faccia;

Poicché per Lei in tanto pregio ei viene;

Ch'in contesa d'onor via men risuona

Parnaso, ed Elicona,

Nonch'Ato, Olimpo, Atlante, Alpe, e Pirene

Ella qual nuovo Febo in guardia l'ave,

E con sua cetra, in suon chiaro, e soave

L'empie d'onore; e d'alte palme adorna

Il gentil Sangro, e in Ippocrene il torna.

Quanto empierà d'invidia il secol nostro

Color, ch'a più tard'anni il Ciel destina,

Che lor sie tolta, a noi concessa in sorte

La vista, in che virtù se stessa affina,

Di questo altero al mondo, e raro mostro.

Né fia, che speme lor giammai conforte,

Che 'l volger d'anni ugual sembianze apporte;

Con questo suo mirabil magistero

Il Ciel prescrisse a le grand'opre il segno,

E disperse il disegno,

Ch'al bel lavoro finse il gran pensiero.

Qual dunque or fia, che si lontane, e parta

Suoi pensier da virtù, ch'eterna loda

Al ciel porger non s'oda,

Che tanta grazia a gli anni suoi comparta,

Degnandol di mirar si altera Donna,

Vestita appena di terrena gonna,

Speglio d'alta virtute, e d'onor tempio,

Vera laude di Dio, e vero essempio.

Canzon'anco talor Pittore industre,

Se brieve tela i suoi pensier non stringe,

Altri ei colora, altri n'accenna in parte,

E con mirabil'arte

Quasi in lontano altri ombreggiando finge;

Sì ch'al pensier de' risguardanti lassa,

Ch'ov'egli tace imaginando vegna.

S'or mio stil non disegna

Appien costei, e mille onor trapassa;

E in te di Lei il men sublime appare;

Pur fia, ch'indi ciascuno ancor comprenda

Quanto suo merto in sù poggia, ed ascenda.

Giovanni Battista Palma


 

Fonte: G. B. Palma, Canzone in lode dell'Ill. ed Eccellentiss. Signora Giovanna Caracciolo, Roselli, Napoli 1693.

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