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Capracotta, l'eroe ucronico di Enrico Brizzi


Enrico Brizzi Capracotta

«Cosa sarebbe successo se il regime fascista avesse vinto la guerra?».

È da questa domanda che prende spunto lo stupendo romanzo di Enrico Brizzi "L'inattesa piega degli eventi" (2008). Il giornalista sportivo Lorenzo Pellegrini viene infatti inviato dal quotidiano "Stadio" in Africa Orientale - oramai Repubblica Associata assieme a Libia, Albania, Corsica, Malta ed Egeo - per seguire da vicino il campionato di calcio della cosiddetta Serie Africa, parallela alla Serie A disputantesi sul sacro suolo d'Italia.

L'autore utilizza l'espediente dell'ucronia (un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale) per raccontare le mirabolanti avventure di Pellegrini in terra africana, che si svolgono in un ambiente periferico, ovattato, lontano dalla politica e dalla propaganda "repubblicana" di Roma ma in cui non mancano le rivendicazioni di etiopi, eritrei e somali, organizzatisi in gruppi sovversivi.

Nell'assistere ad Addis Abeba al match decisivo per l'assegnazione del trofeo, Lorenzo Pellegrini ascolta il racconto di Federico Quaglia sulla guerra del 1936 e sulla storia di un soldato molisano chiamato Capracotta, morto come un disgraziato durante un assalto abissino. Quaglia rivela a Pellegrini che «il nostro plotone era caduto in un'imboscata nel Goggiam, ed eravamo riusciti a scappare solo in tre: io, il Sergente e un molisano di appena diciott'anni che chiamavamo Capracotta. Gli amici al paese gli avevano fatto firmare per scherzo la richiesta di partire volontario. Credeva di fare richiesta per la riserva, e invece gli è toccato partire insieme a noi».

Insomma il Capracotta di Enrico Brizzi rappresenta il cittadino italiano che non conosce la guerra ma che, suo malgrado, si ritrova a combatterne una per incoscienza, per miseria, per ignoranza, a migliaia di chilometri da casa. Capracotta rappresenta tutti i contadini e i pastori del Meridione che furono mandati a morire in Africa, in Iugoslavia, in Russia. Brizzi dimostra di conoscere la nostra cittadina e la nostra regione, dimostra di sapere quanto la provincia ruralissima abbia contribuito alla "carne da cannone" fascista.

Quello che segue è il dialogo tra Pellegrini, Quaglia e il Cavaliere sulla morte del povero Capracotta:

Ormai ci avevano scoperti. Capracotta tremava così tanto che non riusciva a reggere il fucile, e a me restava un solo proiettile. "Fuori da qui!" gridò il Sergente, ma ormai il diavolo di prima stava agitando lo sciotèl, la loro sciabola a mezzaluna, e gridava di gioia come avesse scovato delle buone prede. Il degiacc si fece precedere alla porta dall'altra guardia, un negro altissimo coperto da un mantello bianco come un fantasma. Sparò entrando di corsa col moschetto spianato, sparai anch'io, e quel gigante cadde all'indietro. Preso in pieno! Quello che ci aveva visti per primo saltò attraverso la finestra, e si gettò addosso al povero Capracotta. Rideva, mentre gli affondava in pancia lo sciotèl fino all'impugnatura, e la punta gli uscì da qui –, spiegò indicandosi il plesso solare. – Porca lercia. Il Sergente sparò in testa al negro, poi gli aprì la gola con la baionetta. Uno schifo, dottore, e intanto Capracotta era steso in un lago di sangue... Chiamava la mamma con una voce da far accapponare la pelle... Poi ci fu uno schiocco come di una trappola che scatta. Sentii una frustata alla spalla e vidi il degiacc Girma Zamanuel che entrava gridando nel tucul, con i denti rossi e la criniera di leone intorno alla fronte. Nella destra gli fumava ancora la pistola, mentre con l'altra mano ci agitava contro lo scacciamosche segno del suo rango. Doveva avere combattuto molte guerre, perché era coperto di cicatrici. Urlava le sue maledizioni nella lingua dell'inferno, e prima che potesse sparare di nuovo, il Sergente gli scaricò in faccia il Novantuno. Che macello –, commentai senza troppa delicatezza. È la parola esatta. Gli Abissini erano morti, io avevo un confetto da nove millimetri nella spalla e il povero Capracotta perdeva le trippe dalla pancia come una bestia. Ormai era bianco in faccia, e ci implorò di portarlo a morire all'aperto, lontano da quelle carogne. Mi spiace –, dissi mentre mi saliva la nausea, e Quaglia rivolse un saluto romano all'orizzonte. Camicie nere dell'82°... Presenti! – gridò sotto il cielo dell'altopiano. Quel povero ragazzo faceva il pastore, al suo paese –, riprese il suo racconto. Era piccolo ma di fibra robusta, e ci ha messo un po', prima di morire. Con la paura che arrivassero altri Abissini a cercare il degiacc, non l'abbiamo neppure sepolto. Dovevamo raggiungere i nostri prima del tramonto, altrimenti eravamo spacciati. Però, prima di incamminarci alla ricerca del nostro battaglione, il Sergente fece qualcosa di terribile… Cosa? – domandai dopo un po' che si era interrotto e sembrava mi studiasse. Ce l'avete presente il Sergente? – domandò il Cavaliere. Annuii. Il vostro allenatore? Certo. Che il seguito di questa storia resti in Africa, dottor Pellegrini. D'accordo –, concessi. A casa aveva una moglie e tre figli. Era una persona normale. Però fece l'errore di rientrare nella capanna, e con lo sciotèl del negro che aveva ucciso Capracotta cominciò ad accanirsi sui cadaveri –, spiegò Quaglia con la voce piena di vergogna. Di fronte ai caduti, bisogna fermarsi. Lui invece voleva mostrare agli Abissini che era fatto di una pasta peggio della loro. Quando uscì da quella maledetta capanna era coperto di sangue come un morto che cammina... Aveva il Novantuno a tracolla, lo sciotèl in cintura, e reggeva qualcosa nella destra. All'inizio pensai che fosse una zucca. Infatti lo era –, affermò il Cavaliere divertito. Solo dopo un attimo capii che era la testa mozzata del degiacc Girma Zamanuel, con gli occhi ancora accesi e la barba impiastrata di sangue.

Nonostante "L'inattesa piega degli eventi" sia un romanzo di fantasia, Vi farà riflettere e commuovere, Vi esalterà o Vi farà forse disperare. Ma sono certo che, se amate la letteratura, questo è un libro che non dimenticherete facilmente.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • S. Brioni, Fantahistorical vs. Fantafascist Epic. "Contemporary" Alternative Italian Colonial Histories, in «Science-Fiction Studies», XLII:2, Greencastle 2015;

  • E. Brizzi, L'inattesa piega degli eventi, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008;

  • A. Del Boca, Le guerre coloniali del fascismo, Laterza, Bari 2006;

  • N. Labanca, Oltremare. Storia dell'espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna 2002;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • H. Serkowska, "Cosa sapevo della Serie Africa? Niente di niente. E molto poco dell'Africa nel suo insieme". La storia coloniale italiana nel racconto ucronico-sportivo, in S. Contarini, G. Pias e L. Quaquarelli, Coloniale e Postcoloniale nella letteratura italiana degli anni 2000, Presses Universitaires de Paris Ouest, Paris 2012;

  • Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, Torino 2009.

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