top of page

Capracotta, la Festa della Pezzata (II)


Sagra della Pezzata
Fanciulle in costume tradizionale alla prima Pezzata, il 12 agosto 1962 (foto: A. Rovere).

Ma poi, lentamente, le cose sono cambiate. La pastorizia nomade è andata spegnendosi; i tratturi, le larghissime vie di erba (m. 110 di larghezza costante), che, con andamento quasi rettilineo, scavalcando fiumi e colline, inerpicandosi e scendendo lungo i fianchi scoscesi di monti altissimi, congiungevano gli opimi pascoli della Daunia agli aspri monti del Molise e dell'Abruzzo, sono diventati deserti; la pastorizia è stata anche essa inesorabilmente decimata dallo spopolamento dell'Appennino e si è perfino motorizzata; e di conseguenza la Festa di Prato Gentile ha cambiato forma e significato. Da festa e sagra pagana e poi cristiana è diventata oggi un convegno turistico annuale fissato alla seconda domenica di agosto con la consumazione ormai tradizionale della "pezzata".

Con questo termine viene indicato l'arrosto all'aperto, su immensi mucchi di brace, di carne ovina, servita da gentili fanciulle in costume, entro improvvisati chioschi di vendita, in ciotole di terra cotta appena appena verniciata, recanti il nome "Capracotta" inciso nel fondo, e accompagnate da una rustica forchetta in legno con lo stesso nome impresso a fuoco sul manico.

La carne non è di agnellini lattanti; proviene da pecore, forse cariche di anni, eppure è buona! Dipende probabilmente dal fatto che si mangia all'aria aperta e balsamica dei 1.550 metri di altitudine, oppure dall'appetito che là inevitabilmente si irrobustisce od anche dal boschetto di essenze resinose che circonda il bordo nord del prato, o forse da tutte queste cause messe insieme. Una cosa è certa; che quella carne, così arrostita, è senz'altro un piatto prelibato.

In questi ultimi anni Capracotta ha cercato di sfruttare il Prato Gentile e il fianco di Monte Campo che la sovrasta di almeno 300 metri, come località sciistica invernale, ma con scarsa fortuna, cause le difficoltà di accesso. È stata progettata una funivia di allacciamento alla ferrovia Sangritana; ne è stata progettata un'altra per la Stazione F.S. di S. Pietro Avellana, ma la loro lunghezza eccessiva e i dislivelli da superare pare abbiano scoraggiato un po' tutti. Vi sarebbe però a mio parere una soluzione che potrebbe anche essere quella dell'uovo di Colombo. Le vie del cielo sono le vie dell'avvenire. Ed allora, se non è possibile raggiungere Capracotta e i campi di neve da Prato Gentile per via terra, perché non si tenta di raggiungerli in elicottero? È una idea e potrebbe anche essere quella buona!

Capracotta però, d'estate, è abbastanza frequentata da turisti anche stranieri e il lancio della Festa della Pezzata ha avuto un certo successo. Se ne è impadronito l'Ente Provinciale del Turismo, che nel 1962 l'ha abbastanza propagandato, convogliando da tutta la Provincia larghe masse di turisti e le immancabili autorità per il crisma rituale.

Attratto dai manifesti policromi e dai volantini distribuiti a josa, vi andai anch'io. Raggiungemmo Capracotta. E già prima di arrivare al Paese sembrava di essere saliti nel regno delle nuvole. Dai due lati le vallate del Trigno e del suo affluente Verrino e quella del Sangro sembravano solchi immensi e profondi. Le cime dei monti all'intorno si trovavano al di sotto di noi. Usciti dal Paese, incominciò una scalata da sesto grado sui tornanti di una carrozzabile bitumata di fresco. Il motore dell'auto friggeva sotto lo sforzo. La carrozzeria gemeva e sembrava volesse spaccarsi da un momento all'altro. E la strada continuava inesorabilmente a salire. Ecco quota 1.450, poi quota 1.500, infine quota 1.550. Una scalata di 150 metri in poco più di due chilometri. Una cosa meravigliosa! Le cime dei monti erano ora tutte al di sotto di noi. Soltanto l'arcigno e roccioso Monte Campo sembrava inaccessibile lì davanti. E nelle vallate profonde qualche diafana nuvoletta si dondolava anche essa, spinta da qualche alito di vento, al di sotto della nostra quota.

Prato Gentile era tutto un immenso parcheggio di macchine.

Al centro fumigavano i cumuli di brage ove arrostivano le carni ovine.

Le ragazze in costume erano pronte a distribuirle tra un sorriso e un complimento. Cataste di ciotole e mazzi di forchette, con la scritta augurale "Capracotta", erano accanto a loro. E la gente sfilava, in lunga fila, dinanzi ai chioschi improvvisati, a prendere la propria porzione. Al centro del prato vi era una pedana. A mezzogiorno vi salirono le autorità locali e provinciali. Gli stereotipati discorsi cominciarono a rintronare dagli altoparlanti e l'oratore di turno ricamò il volo pindarico sulle «immancabili fortune di Capracotta», che un immancabile battimani coronò, benedicendolo. Ma tra il rumore assordante degli applausi una amara considerazione mi folgorò la mente. L'immancabile fortuna auspicata a Capracotta non è certo una manna che cade dal cielo. Ed allora da quale parte può essa venire? È comodo e facile pronunziare un discorso e inneggiare alle immancabili fortune. Non costa nulla. È come fare un brindisi in un banchetto nuziale! Però gli sposi, per le immancabili fortune, sono assistiti da genitori e parenti, pronti a dare una mano. Ma a Capracotta chi gliela dà? La notorietà di località turistica in campo nazionale ed internazionale è come una mensa lautamente imbandita e protetta da una invalicabile transenna. Al di qua vi è una folla vociante e ondeggiante che vuole assidersi alla mensa luccicante. A spintoni, a gomitate, forse anche a calci, tutti cercano di farsi avanti, di conquistare la prima fila, di aggrapparsi a qualcuno che li aiuti a scavalcare la transenna. Molti vi riescono. Ma Capracotta, purtroppo, si trova nelle ultime file, e gli oratori, le autorità, gli eletti del popolo, anziché limitarsi ad augurare le immancabili fortune, perché non la prendono per mano, traendola dalla folla vociante e ondeggiante ed assidendola alla mensa luccicante? Capracotta ha buone cose da dare ai turisti nostrani e stranieri. Campi di neve di inverno; frescura, montagne, prati e feste particolari di estate. Vale la pena prenderla per mano. Ma vi è qualcuno pronto a raccogliere questo invito?

L'eco del lungo applauso all'oratore si stava spegnendo e questi miei pensieri svanirono su di esso, facendomi tornare alla realtà.

Salirono in pedana alcuni cori in costume venuti da lontani paesi della provincia.

Cantarono e danzarono.

Ma sulla via del ritorno mi sorpresi a dire a me stesso a bassa voce:

– È bella la Festa della Pezzata. Ma chi dà una mano a Capracotta?


Tarquinio Del Matto


 

Fonte: T. Del Matto, Capracotta, la Festa della Pezzata, in M. Gastaldi, L'Italia centrale, meridionale e insulare viste da centinaia di poeti e scrittori italiani contemporanei, Gastaldi, Milano 1967.

bottom of page