La cappella posta a nord del transetto della Chiesa Madre, in cornu Evangelii, è dedicata alla Madonna Addolorata, con il piano dell'altare sovrastante la teca del Cristo morto. Le due porte ai lati dell'altare sono state realizzate nel XX secolo per dare accesso alla sagrestia e al coro. Anticamente una balaustra chiudeva la cappella come per l'omologa, ancora presente, del Sacro Cuore in cornu Epistulæ, e l'accesso al coro e alla sagrestia avveniva tramite l'altare maggiore tramite un passaggio mimetizzato da armadio che dava accesso anche al locale da cui parte il passaggio alla scala della cantoria.
Pochi sanno che nel coro è conservato un magnifico orologio a pendolo con pesi di pietra ancora funzionante, proprio accanto al varco verso l'altare del Sacro Cuore. Solo recentemente il coro arcipretale della Collegiata onorifica di Capracotta, magnifico monumento ligneo, è stato rivalorizzato dopo essere stato per anni adibito a magazzino.
Nel Venerdì Santo, quando il meteo lo consente, la dolorosa Madre e il Figlio esanime vengono portati in processione fino al cimitero in un simbolico cammino che unisce la comunità alle spoglie mortali dei propri antenati. Segue poi al rientro in chiesa il canto del tradizionale Stabat Mater da parte del coro "Il Principalone". Una delle prime rievocazioni di questo canto, per tanto tempo caduto in disuso, avvenne poco dopo la costituzione del coro in una suggestiva cerimonia dove i coristi presero posto negli stalli sotto l'organo, dando voce alla melodia che sembrava scaturire dalle profondità remote dell'altare maggiore come avveniva in passato.
La credenza popolare ci mostra una scena di Maria piangente con il Figlio in grembo: la Pietà tanto raffigurata e venerata da qui voglio offrire alcuni spunti di riflessione sui giorni della Passione.
Dedicatomi per tanti anni all'egittologia e al mondo mistico-spirituale dell'antico Egitto ho cercato umilmente di esplorare anche la spiritualità giudaica e cristiana che è figlia dell'Egitto dei faraoni e leggere gli studi tesi a verificare la veridicità dei testi sacri. Spunti che hanno anche alimentato lo studio della simbologia nella musica sacra antica senza poi dimenticare la mia formazione medica e scientifica.
Abituati a scorrere le scritture come un bel racconto fin dall'infanzia, non riusciamo a coglierne il senso e le notizie in esse nascosti. Abbiamo dimenticato il concetto di semantica e di come gli scrittori dell'antichità utilizzassero parole e sinonimi: certamente non solo in termini estetici come facciamo noi ma per descrizioni estremamente precise.
Recenti osservazioni sul papiro Magdalen, conservato nell'omonimo College del Regno Unito, ed il frammento 7Q5 di Qumran, l'uno attribuito al Vangelo di Matteo e l'altro al Vangelo di Marco, fanno retrodatare la loro composizione ad una epoca precedente a quella attualmente ritenuta e di pochissimo successiva alla crocefissione, al punto pensarli redatti da "testimoni oculari" del Cristo. Pertanto riferimenti storici, geografici e di costume, interpretati con lo studio linguistico, archeologico-antropologico e medico-scientifico, ci fanno occhiolino tra le righe fatte salve le esigenze narrative. Vediamo qualche indizio tra i tanti.
Possiamo così dire che il pianto di Maria con il Cristo sul grembo non si è mai verificato: il morto di morte violenta con spargimento di sangue e "appeso" era impuro. Bisognava impedire che passasse la notte sulla croce e venire a contatto col suo sangue significava per gli Ebrei contaminarsi e non poter celebrare la festa imminente (la parascève). Da qui la rottura delle ginocchia (crurifragium) operata in alcuni casi dai romani per accelerare la morte, che però per Gesù già morto non fu necessaria. Ecco allora la sepoltura veloce solo con i balsami e senza lavare ritualmente il cadavere come prescritto dalla Legge. Curiosamente la Sindone ci mostra un corpo sepolto con questa modalità e, particolare interessante rilevato da indagini fotogrammetriche, manipolato come se parte del tessuto fosse stato usato a mo' di "presina", come attestano alcune impronte digitali lasciate in prossimità delle tracce lasciate dai piedi del morto, afferrandone i talloni.
Se per alcuni la scena della spugna imbevuta di aceto data da bere al Crocifisso possa essere solo un espediente narrativo per rievocare un passo dei profeti (Sal 68,22) potrebbe essere realmente accaduta. I soldati romani, cui era affidata l'esecuzione, utilizzavano una bevanda rinfrescante durante il servizio, la posca, che era composta di acqua e aceto. Inoltre si sapeva che dar da bere ad un uomo sulla croce significava accelerarne la morte. Pietà o crudeltà? Così il subitaneo alto grido e la repentina morte dell'Uomo per il dolore lacerante di un infarto miocardico iperacuto in un soggetto già estremamente provato dai precedenti supplizi. Infarto miocardico con rottura del cuore e sedimentazione del sangue; ecco perché il colpo di lancia al costato perforando il pericardio fece uscire prima «sangue», le cellule ematiche sedimentate in basso, e (poi) «acqua»: il siero che era rimasto in alto.
– Dio mio, Dio mio...
– Ecco, chiama Elia!
In realtà Gesù stava recitando la preghiera per i morenti, per se stesso, ma la pronunciava in aramaico occidentale, la sua lingua, poiché galileo, ma Gerusalemme era in Giudea e con un dialetto differente: il fraintendimento di chi era in ascolto è evidente. Notate allora come piccoli particolari, che consideriamo in termini quasi favolistici, diventano materia di riflessione. E sono tantissimi!
Gli apostoli, al sepolcro del Risorto, si «chinano» a guardare: la tomba ebraica era bassa e scavata nella roccia. Vedono le bende ed il sudario «piegato a parte». Una recente revisione del termine greco per questa espressione fa notare che in realtà stessero osservando il velo che avvolgeva la testa del Risorto, che appariva non afflosciato, ma irrigidito dai balsami versati, rimasto gonfio come un palloncino mentre il capo al suo interno era svanito. Esattamente come la Sindone, dove il corpo contenuto era diventato «fisicamente trasparente».
Guarderemo ancora gli antichi scritti con gli stessi occhi di prima?
Francesco Di Nardo