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Capracotta e la rivoluzione italiana


Pilade Bronzetti
L. Toro, "La morte di Pilade Bronzetti a Castel Morrone", 1885, olio su tela.

Ho già avuto modo di esprimere la mia idea secondo cui quel lungo processo storico-politico, promosso dalla carboneria, mediato dai grandi intellettuali del tempo e ottenuto in termini subottimali dalla dinastia sabauda, che va sotto il nome di Unità d'Italia, per quanto concerne la nostra cittadina, da sempre marginale rispetto ai grandi eventi della Penisola, fu perlopiù un susseguirsi di episodi quantomai folcloristici quando non espressamente patetici.

Non fraintendetemi. Non faccio parte della schiera di sciocchi nostalgici del Borbone che rileggono la storia d'Italia alla luce dell'occupazione piemontese e che magari benedicono pure il brigantaggio, mettendone in risalto il ruolo antimperialista piuttosto che il fine criminale. L'Italia è una e santa, ma quando si parla di Capracotta nel periodo 1848-1870, dove pure si contano feriti e morti in seguito agli scontri tra guardie e briganti, tra liberali e reazionari, è necessario fare qualche precisazione che non rende merito all'Unità. Vi sono infatti due aneddoti che fanno, letteralmente, sorridere: il primo riguarda il patriota Pilade Bronzetti (1832-1860), il secondo il rivoluzionario Raffaele Piccoli (1819-1880).

Molti sapranno che Pilade Bronzetti partecipò alla battaglia di Milazzo, durante la quale si distinse per un'azione piratesca nel catturare due vapori borbonici nel porto di Messina. Bronzetti morì due mesi e mezzo dopo a Castel Morrone, durante uno degli ultimi combattimenti del Risorgimento italiano, quello della battaglia del Volturno. Alla fine di quel sanguinoso ed eroico scontro caddero quattro borbonici e sedici garibaldini, tra cui il suddetto capitano dei bersaglieri. Fatta l'Italia molti patrioti corsero sul campo di battaglia di Castel Morrone alla ricerca delle spoglie mortali dei più illustri caduti, per tributar loro i dovuti onori. A rinvenire il corpo di Bronzetti fu Matteo Renato Imbriani (1843-1901), che poi lo custodì nella sua casa per circa quarant'anni, prima di consegnarlo alla città di Trento.

Tuttavia, prima che Imbriani entrasse in possesso dei resti mortali di Pilade Bronzetti, si diceva nella ristretta cerchia dei cultori che questi venissero conservati «in sacro deposito» a Capracotta, in casa del patriota Matteo Forte, un personaggio minore della sterminata galassia garibaldina. Questo manteneva evidentemente contatti molto stretti nella nostra cittadina (amici fidati, compagni d'armi o parenti acquisiti) ai quali aveva affidato il presunto cadavere del martire bersagliere. Ma quando gli comunicarono che Imbriani aveva ritrovato il vero corpo di Bronzetti, «il Forte dette di volta al cervello».

Vi avevo anticipato pure di un secondo caso, quello di Raffaele Piccoli.

Piccoli aveva partecipato alla spedizione dei Mille ma, fortemente deluso dalla piega monarchica del processo unitario, subito dopo il 1861 decise di organizzare, sotto la bandiera repubblicana, «un gruppo di briganti che combatterono contro gli invasori sardo-savoiardi». L'azione del Piccoli, partita dalla Calabria natia, lo portò in breve tempo ai confini settentrionali dell'ex Regno delle Due Sicilie, dove egli pensò bene di «continuare nel Molise montuoso quella rivoluzione che per ragioni varie era fallita in Calabria». Non ancora ricercato dalla polizia, nonostante avesse già ripudiato il Regno d'Italia, da Isernia giunse a Carovilli dove rubò stola e cotta e, fintosi sacerdote, approdò a Vastogirardi. Qui, sull'onda dell'entusiasmo, «spedì corrieri ai capitani della Guardia Nazionale di altri comuni», al fine di coinvolgere nel suo progetto quelle forze dell'ordine che erano nate col preciso intento di sradicare il sentimento antagonista postunitario.

All'adunata di Vastogirardi si presentò soltanto la Guardia nazionale di Capracotta che, invece di esser collaborativa, sembrò a Piccoli fortemente scettica. Il rivoluzionario e il capitano della nostra milizia litigarono di brutto sul da farsi, con Raffaele Piccoli che alla fine «fece delle esternazioni in chiesa contro Capracotta», costringendo le guardie a trarlo in arresto. Egli riuscì in un primo momento a fuggire, riparandosi in casa della famiglia Salvani da dove, una volta circondata dai militari, ne fuoriuscì un prete - tal padre Manuele - che, fucile alla mano, sparò in direzione delle guardie capracottesi! Dopo mille altre peripezie di tal fatta, Raffaele Piccoli morì suicida in un albergo di Catanzaro.

Insomma, giusto per dire cos'è stata l'Unità in Alto Molise...


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • A. Basile, Raffaele Piccoli liberale calabrese, in «Nuovi Quaderni del Meridione», VIII:32, Fond. "Ignazio Mormino", Palermo 1970;

  • A. Battista, Capracotta e l'Unità d'Italia. Autointervista immaginaria, One Group, L'Aquila 2011;

  • S. Bucci, Molise 1848. Cronaca, personaggi e documenti, Enne, Ferrazzano 2000;

  • O. Conti, I moti del 1860 a Capracotta, Pierro, Napoli 1911;

  • L. Gamberale, Il mio libro paesano, Sammartino e Ricci, Agnone 1915;

  • A. Marra, Pilade Bronzetti. Un bersagliere per l'Unità d'Italia, Angeli, Milano 1999;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • G. Paparazzo, Raffaele Piccoli, La Calabria, Roma 1898;

  • G. Protomastro, Matteo Renato Imbriani-Poerio. Ricordi e aneddoti, Vecchi, Trani 1904;

  • Scuola di Formazione all'impegno sociale e politico "Paolo Borsellino", Identità molisana e Unità d'Italia: frammenti di storia, Gemmagraf 2007, Roma 2012.

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