Rade volte risurge per li rami
l'umana probitate; e questo vole
quei che la dà, perché da lui si chiami.
[Dante, "Purgatorio", canto VII, 121]
La citazione di Dante, nella terzina del Purgatorio della Divina Commedia, rivela che «l'umana probitate» e il talento dei genitori rivivono nei figli, vanno dal tronco ai rami. Lo vuole Dio, da cui la virtù ci è data in dono, non si creda di averla ricevuta in eredità solo dai padri.
Il talento e le virtù di Nicola D'Andrea "risorgono" e rivivono nel figlio Marino e nei nipoti Ermanno, Nicola, Maria Bambina e Antonio. Il figlio Marino ha avuto la prima intuizione del brevetto, il nipote Ermanno ha prodotto le "teste rosse" e il "sistema modulare", esportati in due milioni di esemplari in tutto il mondo. «Occhio, orecchio, cervello, estro e naso», per dirla con un lessicologo di professione, Mario Cannella, sono "mediatori" di inventiva e creatività, trasmessi dal nonno, Zì Culìtte. L'occhio vede e coglie l'originalità, l'orecchio capta la realtà, il cervello sa analizzare, semplificare e riassumere con chiarezza, il naso fiuta e intuisce l'importanza di un termine, l'estro e la fantasia aiuta a creare e inventare.
La limpida vena della poesia, ricca di toni, di movenze e di risonanze petrarchesche di Nicola D'Andrea, si colloca tra la vivacità coloristica del sentire capracottese e la concisa fermezza del poeta artigiano. Facilità dei sentimenti semplici, gusto della bella parola nel suo effetto di sonorità sono l'eco fedele e l'interprete armoniosa del popolo sannita, ricco di passioni e nutrito di quella forza morale che produce intelletti sani e genera buone qualità.
Poeta autodidatta e falegname di professione, artigiano inventivo, fotografo e creatore di versi di taglio petrarchesco: questo il profilo sintetico di Zì Culìtte. Il "petrarchismo" indica un fenomeno letterario di imitazione del Petrarca, che ripropone modi stilistici, temi e forme ispirati alla produzione lirica del grande poeta. Anche Nicola D'Andrea ha subito l'influsso, il fascino e l'attrattiva.
La lavorazione del legno nella bottega di famiglia e la parola, curata e modellata nella lettura dei testi poetici, impiegavano gran parte della giornata ed ispiravano le sue poesie. Sempre attento e vivacemente curioso guardava la vita e le persone con chiaro realismo, cauta ironia e benevolo sarcasmo. Una bottega, la sua, che portava l'impronta del suo spirito inventivo e concreto, fornita di attrezzi e oggetti del mestiere e... in un cassettino "Il canzoniere" di Petrarca, la guida spirituale, ispiratore e modello delle sue poesie. Quando parlava di poesia e di argomenti di alta spiritualità, «gli occhi si accendevano e la voce vibrava di emozioni. Con l'occhio intento all'opera e col pensiero rivolto ai misteri insondabili dell'Universo e le nascoste profondità dell'animo umano», scriveva Domenico D'Andrea.
Le sue poesie sono pervase da sano realismo e soffuse di sottile ironia, animato sempre da spirito di ricerca e di inventiva. Scritte di notte, al buio, per non disturbare e non essere disturbato, in piena e pacata ispirazione. Nelle pause di lavoro si dedicava alla lettura, leggendo di tutto. Il libro e il giornale erano i suoi "migliori amici". Negli ultimi anni, inforcati gli occhiali, «si assorbiva nella lettura fino a tanto che prendeva sonno e si appisolava reclinando il capo sul vecchio banco, divenuto ormai il suo leggio».
La storia del paese, i personaggi più in vista e meno noti, i fatti più significativi, le vicende più strane sono la materia del suo poetare. Sempre col coraggio di affrontare le varie situazioni, con l'umiltà di non sentirsi superiore a nessuno, il coraggio di affrontare le varie situazioni della vira, la saggezza di tacere di fronte alla stupidità dei chiacchieroni.
Natura, cultura del territorio, memorie del passato e attenzione al presente si fondono in un intreccio indissolubile e in armoniosa sintesi. Osservatore attento della vita e delle abitudini dei suoi paesani usa la parola semplice per farsi capire, anche quando tratta temi religiosi. Nei suoi versi risuona l'anima della sua gente, suscitando emozioni e sensazioni condivise. Rinsaldano il legame con la comunità di Capracotta per il valore di umanità che contengono. Partecipazione empatica, ironia sottile, umorismo gentile, senso della misura accompagnano le sue descrizioni e i suoi personaggi.
Essenziale e stringato il linguaggio riesce a trasmettere partecipazione e condivisione. I suoi versi traducono sentimenti e passioni comuni, valori morali radicati e vissuti. Trasmettono la sua affettuosa attenzione, quasi la compiacenza e la tenerezza, con cui trascrive l'umile realtà che fu anche la sua. I vocaboli scelti posseggono ricchezza espressiva, calore umano, proprio della parlata capracottese. L'uso di qualche termine dialettale viene scelto per dare maggiore risalto al tema trattato. Arguzia e sapienza popolare, insieme a tormenti e sofferenze, affiorano nei suoi "quadretti" di vita paesana. Scritti da un artigiano che ama la vita semplice, i valori e le passioni di ogni giorno, traducono ricchezza espressiva, calore e significato del "sentire" del popolo schietto e semplice.
Molte poesie tratteggiano persone di spicco e gente semplice con ricchezza di particolari e con sapido humour all'inglese. Fra i personaggi noti e stimati ricorda Mario Conti, Leonardo Falconi, Ruggero Santilli, Gregorio e Claudio Conti. Una particolare poesia è dedicata a don Giacinto, il più acuto e caustico dei fratelli Conti, in risposta ad una provocazione.
Un brano poetico, di intonazione sacra e soffusa di grande rispetto, è dedicato a padre Placido, un francescano "tutto di un pezzo". Predicatore dotto e forbito, originale servitore della Parola di Dio, consigliere saggio e fidato, educatore empatico, maestro di vita e testimone fedele del Vangelo. Ha ricoperto vari incarichi nei conventi francescani, dove ha prestato il suo servizio.
Una poesia degna di essere ricordata perché evoca la sofferenza e le privazioni della guerra, "Tristi ricordi", lo sfollamento e i disagi della "cacciata" da Capracotta, la sorpresa dei saccheggi e... il disagiato ritorno.
Una poesia semplice e soffusa di amore paterno, "Una cara memoria", è dedicata al figlio Marino, «amante del bello e inventore», geniale sempre e... «con qualche nuova idea... ha posto in alto l’onor dei D'Andrea».
Nel concludere questa modesta introduzione, desidero riportare il giudizio da me pienamente condiviso, di Domenico D'Andrea, suo nipote e acuto insegnante di scuola primaria. «Perfetto accordo, dunque, in te, fra le facoltà precipuamente pratiche e quelle speculative: la visione scientifica del mondo... si conciliava compiutamente con quella romantica e poetica».
Osman Antonio Di Lorenzo