Villa San Giovanni (fino a 60 anni fa si chiamava San Giovanni in Bieda) è un ridente paese di 1.200 anime poggiato a 329 m.s.l.m. sui colli della Tuscia, in provincia di Viterbo, nel quale si svolge dal 1993 nientemeno che la sagra della Pezzata, una grande festa culinaria che almeno nel nome pare richiamare quella, più celebre, che si svolge dal 1962 a Capracotta, a 1.573 metri di altitudine.
In effetti anche a Villa San Giovanni in Tuscia la sagra della Pezzata è sì legata alla carne di pecora ma, in misura molto minore, al fenomeno della transumanza. Questo piatto povero, infatti, veniva offerto ai cosiddetti carosini (addetti alla tosatura degli ovini) e, sostanzialmente, serviva per "svecchiare" le greggi, in quanto di solito venivano abbattuti gli animali più anziani.
A differenza di quella capracottese, la ricetta della pezzata sangiovannese prevede uno spezzatino di pecora finemente lavorato, sgrassato, cotto per molte ore e servito su un letto di pane bruscato: alcune varianti prevedevano, per rendere il piatto più nutriente, l'aggiunta di patate.
A Capracotta la pezzata nacque invece come autosostentamento dei tantissimi pastori transumanti i quali, quando una pecora era troppo vecchia o malata per proseguire il viaggio fino in Puglia, finiva in pentola a bollire, aromatizzata con le erbe del tratturo. È risaputo che i pastori "approfittavano" del periodo transumante per fare incetta di carne, un alimento a cui non avrebbero potuto altrimenti accedere. E in virtù di ciò le pecore diventavano vecchie od azzoppate alla bisogna... ed anche quando partorivano, al massaro non venivano consegnati tutti gli agnelli nati, perché qualcuno era stato cucinato dai pecorai per saziare l'atavica insaziabile fame.
Nonostante le differenze tra la Pezzata di Capracotta e quella di Villa San Giovanni, sarebbe bello pensare a una qualche forma di compartecipazione tra le due comunità in occasione di quella che è - e sempre sarà - la miglior festa italiana della pecora.
Francesco Mendozzi