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Clipper a cavallo


Clipper Capracotta
Il Clipper fuori strada guidato da Vincenzo Di Rienzo (foto: F. Di Tella).

Era il dicembre del 1973 ed era lunedì. Dell'anno sono certo poiché era il mio primo anno d'insegnamento ad Isernia dove tornavo ad inizio di settimana, ma non ricordo quale lunedì fosse. Per conoscere il giorno con precisione mi vengono incontro Angelina Monaco e Giuseppina Buccigrossi. Angelina, che quel giorno si trovò in viaggio, ricorda bene che era il lunedì 3, lo collega ad un anniversario celebrato in famiglia sabato 1° dicembre. Anche Giuseppina, moglie di Michele Sozio (Cicélla), autista di Clipper, ricorda con certezza la stessa data perché quel giorno lei aveva preparato un dolce per festeggiare il compleanno della figlia Rosanna che ricorreva tre giorni dopo. Al mattino, intorno alle ore 8, estrassi la mia Autobianchi A112 dalla rimessa, con le catene già montate, mi portai alla piazza de re Ferrieàre (attuale via Monte Campo) per rendermi conto della viabilità. Dopo brevissimo tempo giunse Clipper che era diretto a Staffoli. Al suo seguito due autovetture: la Fiat 850 di Michele Conti diretto a Isernia. Nella sua auto c'erano un professore universitario e un'assistente sociale, i quali erano stati a Capracotta per organizzare l'assistenza domiciliare: un servizio che in quegli anni il Comune stava mettendo in piedi. L'altra la Fiat 500 di Enzo Di Ianni che era diretto a Termoli: con lui viaggiavano Aldo Di Ianni e Giampietro Fiadino. Partito Clipper ci accodammo io, con la mia A112, e Bruno Di Rienzo, con la sua Fiat 500, anche lui diretto ad Isernia. Con Bruno viaggiava Angelina Monaco. Lo spazzaneve era guidato dalla guardia municipale-autista Michele Cicélla, a fianco l'altra guardia-autista Ennio Di Nucci e Oreste Ianiro che faceva loro compagnia. Solo dopo ho appreso che Clipper, appena uscito al mattino, seguito dalle prime due autovetture, si era indirizzato verso Castel del Giudice, perché quella strada era più facile da aprire. Pina ricorda che il marito Michele quel giorno era uscito da casa già prima delle ore 5:00 perché l'orario di partenza della corriera diretta a Castel di Sangro era alle 5:30. Ma a quanto pare, quel giorno non uscirono corriere, nessuno dei presenti le menziona. Racconta Enzo che il mattino presto, con lo spazzaneve avanti, procedettero speditamente verso il fondovalle Sangro. Ebbero difficoltà solo in due punti, che lui definisce "le strette", una alle due curve prima della masseria di Concezio, l'altra al Colle Pecoraio. Superati questi due punti, già conosciuti difficili, pensavano che l'avventura fosse finita ed avrebbero potuto tranquillamente continuare il viaggio per le rispettive destinazioni. Giunti sulla statale 558, al bivio tra Sant'Angelo del Pesco e Castel del Giudice, e quando pensavano che il difficile fosse stato superato, ebbero la sorpresa. Inaspettatamente trovarono la strada non percorribile, perché non era stata sgomberata dalla neve, dovettero così arrestarsi. Nessun mezzo dell'Anas era transitato. Dice Enzo:

– Siamo rimasti stupiti in quanto, partiti dai 1.400 metri e arrivati agli 800, ci sembrava ridicolo dover tornare indietro.

Non era possibile procedere oltre con Clipper perché il mezzo del Comune non era autorizzato a percorrere altre strade. Constatato il paradosso, decisero di tornare in paese. Per uscire da Capracotta non c'era altro da fare che tentare di indirizzarsi verso Staffoli. Così lo spazzaneve avanti e noi tutti accodati partimmo verso Staffoli. Enzo dice:

– La tormenta era forte ma eravamo tranquilli perché davanti c'era Clipper.

Devo dire, a onore del vero, che il clima non era poi tanto inclemente, così come lo descrive Enzo. C'era molta neve, soffiava il vento, il cielo era coperto, l'aria era un po' umida, non nevicava quasi più e la temperatura non era poi tanto bassa. Le prime difficoltà le avemmo alle località Fossata e a Iaccio della Vorraina. Punti questi ben noti ai capracottesi per le particolari difficoltà che provocano agli automobilisti. In questi punti la strada è sotto un crinale dove l'accumulo della neve è massimo. Per noi che seguivamo con le nostre piccole auto era un tormento sia per i grossi grumi di neve che ricadevano nel varco aperto dallo spazzaneve al suo passaggio e che bloccavano le nostre piccole autovetture; sia per la neve che il vento alzava, producendo effetto bufera, e che rendeva difficile la visibilità. Per uscirne dovevamo arretrare, "prendere la rincorsa" e superare di slancio quei tratti di strada che risultavano mal puliti. E dice Enzo:

– Il guaio era che questa manovra veniva fatta con visibilità zero.

Tale manovra si ripetette diverse volte, fino a quando entrammo nel bosco di Vallesorda, ove trovammo la tregua. Comunque ci avvicinavamo a Monte Forte e lì ci aspettava il peggio. Superammo con relativa facilità il tratto di strada tra l'uscita dal bosco fino alla cresta esposta a vento di Monte Forte. Appenainiziata la discesa, sotto il crinale verso sud c'era, come immaginato, un accumulo di neve veramente alto. E qui Clipper non riuscì a sfondare. Per aprire un varco nel muro di neve il buon Michele Sozio tentò più volte con lo spazzaneve la manovra dell'arretramento, rincorsa e spinta. Infatti, Clipper arretrava, partiva deciso, "tuzzava" e il vomere si incuneava nella muraglia di neve, arrestandosi. Così facendo più volte, a ogni manovra di andirivieni, sulla carreggiata ricadeva della neve sotto lo spazzaneve, che lui stesso comprimeva al suo ripetuto passaggio. Si formò così sotto la "pancia" di Clipper uno strato di neve, compattata, fin sotto il telaio, al punto che gli impedì di arretrare. Lo spazzaneve si era messo a cavallo (definizione specifica), le ruote non toccavano più il fondo della strada e giravano a vuoto. Il potente Clipper si era adagiato con la parte centrale del telaio sulla neve dura e non andava più né avanti né indietro. Lo scoramento di tutti con le parole di Enzo:

– Ci cascò il mondo addosso perché tutti capimmo che eravamo in una situazione molto critica. La prima cosa che si pensò di fare fu quella di andare a chiedere aiuto.

Michele Conti, Ennio e Oreste con la 500 di Enzo, portando con sé due badili, pensarono di tornare in paese per chiedere soccorso. I tre percorsero qualche centinaio di metri, ma presto dovettero rinunciare. Lì la carreggiata si era già ricoperta e con quella piccola autovettura non ce la fecero. A questo punto io con la mia A112 pensai di andare verso Staffoli. Sperando di bypassare quel tratto di strada ricolma di neve percorrendo la cresta parallela di Monte Forte che era spazzata dal vento e completamente libera dalla neve. Speravo che una volta superato il "muro" di Monte Forte sarei rientrato sulla strada, più avanti, là dove il manto di neve sarebbe stato regolare e meno consistente. In macchina con me vennero Giampietro e Ennio. Ed Enzo dice: – Sopra il colle di Monte Forte completamente sgombro di neve quell'A112 sembrava un fuoristrada.

Infatti, percorremmo circa duecento metri senza problemi ma, giunti là dove pensavamo di trovare un passaggio che ci permettesse di rientrare sulla strada, la neve era alta. Come'era ovvio, dovemmo tornare indietro. Quindi, fallito il tentativo macchina, non ci rimase che andare a Staffoli, sempre noi tre, questa volta a piedi. Ci avviammo spediti, anche se affondavamo abbastanza nella neve fresca. Eravamo giovani, allenati e ben equipaggiati. Il manto di neve, oltre il muro di Monte Forte, era omogeneo, si affondava fino al ginocchio. Arrivammo alla Civitella e pensammo di chiedere aiuto al proprietario della stalla che era lì, verso sinistra, a circa cinquanta metri della strada provinciale. Ci indirizzammo verso quella stalla, io ero avanti e mi seguivano Giampietro ed Ennio. Giunti in vicinanza della stalla cominciammo a sentire dei cani abbaiare. Eravamo certi che c'era l'allevatore. Io mi sentivo protetto perché dietro avevo due giovani forti e avvezzi a ogni tipo di fatica e li ritenevo anche coraggiosi. E qui accadde un fatto inaspettato che smentì la mia fiducia riposta in loro. Camminando lungo il lato sinistro del fabbricato eravamo arrivati quasi all'estremità. I cani si sentivano abbaiare sempre più vicini: io non avevo paura, ma non ero nemmeno completamente tranquillo. Per rinfrancarmi e proseguire, mi girai verso i compagni che erano dietro di me, e la sorpresa fu che i due, su cui io contavo molto, non mi seguivano più. Non li vedevo. Ebbi un momento di smarrimento, cominciai a preoccuparmi. Poi guardando bene li ho visti che erano rimasti indietro ed erano appollaiati, come due rondoni, sotto il cornicione della stalla. Appoggiati al muro della struttura, in verticale, c'erano dei pannelli metallici di carpenteria i quali nel retro avevano dei rinforzi che formavano una scala. Loro si erano arrampicati ciascuno su uno di questi e stavano lì fermi e muti, nel punto più alto possibile. Al che chiesi:

Uagliù che facéte èsse?

E loro due:

Tenéme paura de re chieàne.

E subito, dall'iniziale paura, passai al riso. Dopo qualche minuto, tranquillizzai i due compagni, anche perché i cani si sentivano, ma non si vedevano. Finalmente Giampietro ed Ennio scesero. Proseguimmo e, svoltato l'angolo, apparve l'allevatore il quale allertato dai cani, che si agitavano e latravano, si aspettava una visita. Ci presentammo, gli raccontammo ciò che era successo al nostro spazzaneve e gli chiedemmo di accompagnarci con il suo trattore a Staffoli. Fu consenziente e subito tirò fuori dalla stalla un trattore Fiat gommato, non molto grande e senza cabina, comunque idoneo al nostro scopo. Ci sedemmo tutti e tre sui parafanghi, due da un lato uno dall'altro. In quel tratto di strada verso Staffoli, il vento era attenuato dal bosco e il manto della neve sulla strada era alquanto regolare. Il trattore avanzava tranquillamente e sul nostro viso si sentiva solo l'aria fredda e qualche fiocco di neve mossa dalle ruote del mezzo. Arrivammo a Staffoli oltre mezzogiorno. La strada statale era libera e lì al bivio, parcheggiati, c'erano due mezzi sgombraneve dell'Anas. Subito chiedemmo agli autisti, che erano rifugiati nella casa cantoniera, se potevano "fare uno strappo" e salire con i loro mezzi verso Capracotta per tirare fuori dagli impicci Clipper. La risposta fu perentoria:

– Noi con questi mezzi non possiamo uscire dalla strada statale per nessun motivo.

Il discorso si chiuse lì. A questo punto cominciaia fare delle telefonate. Chiamai subito il 113 raccontando la nostra necessità. Dall'altro capo del telefono mi assicurarono che avrebbero provveduto in qualche modo. L'attesa mi sembrava lunga e non ricevendo risposte ogni tanto richiamavo, e lo feci più volte a distanza di 10-15 minuti. Ogni volta dall'altro capo del telefono mi aggiornavano sul loro operato, ma gli esiti erano sempre negativi. L'ultima volta, era trascorsa circa un'ora dal nostro arrivo, gli interlocutori mi riferirono che non avevano trovato nessuno che ci potesse aiutare, nemmeno i pompieri, per cui loro stessi avevano comunicato al Comune e ai Carabinieri di Capracotta l'arresto di Clipper, annunciandomi che dal paese ci avrebbero raggiunti in qualche modo. A noi tre non restò altro che tornare a monte. Il bravo allevatore col trattore ci riaccompagnò fin dove fu possibile. Arrivò fin sotto il muro di Monte Forte (là dove ora c'è la carrareccia di accesso al campo eolico). Per noi fu breve il tratto da percorrere a piedi per raggiungere lo spazzaneve. Giunti sul luogo della nostra carovana ferma, avemmo una piacevole sorpresa. Clipper era stato liberato. Il bravo Michele Cicélla, aiutato da Oreste e da quel professore, assistiti da Michele Conti, avevano estratto tutta la neve sotto la "pancia" dello spazzaneve tirandolo fuori dall'impaccio ed era pronto per ripartire, ovviamente verso Capracotta. Per Michele Cicélla fu una vera sfacchinata rimuovere la neve compattata sotto lo spazzaneve. Riferì che in certi momenti aveva dovuto scavare con le sole mani. Immaginate la fatica per lui, allungato sotto lo spazzaneve, in quella posizione così disagiata? Una delle conseguenze per Michele fu il congelamento del pollice della mano destra, che gli causò la perdita della sensibilità di quel dito. Menomazione diventata poi permanente. Michele ricordava che anche quel professore ospite, forestiero, "si era dato da fare" e purtroppo Ennio, secondo e giovane autista, aveva deciso di venire a Staffoli e non aveva pensato di aiutarlo a liberare Clipper.

E gli altri passeggeri come trascorsero tutto quel tempo? Lo racconta brevemente Enzo:

– Nel frattempo le ore passavano, si era creata questa situazione: Michele Sozio, Michele Conti e Oreste Ianiro erano in prossimità dello spartineve, per cercare di liberarlo da quella montagna di neve che aveva intorno... noi altri eravamo nelle macchine. Dentro le macchine succedeva che, essendo la strada in discesa, si doveva tirare il freno a mano il quale ogni 20 minuti si ghiacciava con conseguente blocco delle ruote. Si era costretti a muovere le macchine di continuo. Incominciammo a sentire il freddo alle gambe e anche un po' di fame. Qualcosa da mangiare lo avevamo solo Giampietro e io. Mi ricordo che ci dividemmo un pezzo di pane e un paio di mele.

Bruno ricorda che la signora assistente sociale al principio dell'avventura era euforica e diceva:

– Che bello, che bello! – e ancora – Questa notte resteremo qua! – ed Enzo le rispondeva:

– Così domani mattina ci trovano ridendo, – e poi – noi siamo maschi, possiamo andare a urinare, ma voi come farete?

Verso le ore 17:00 circa, invertita la direzione di marcia, ripartimmo verso Capracotta. Poco prima di entrare nel bosco incontrammo la piccola ruspa del Comune seguita dalla campagnola dei Carabinieri che ci venivano in soccorso. Il maresciallo dei carabinieri Mele distribuì delle bustine di cognac. Ed Enzo dice:

– Non dimenticherò mai quanto ho gustato quella bustina di cordiale. Il giorno dopo arrivato a Termoli la prima cosa che feci fu quella di comperare un copripantalone che ho portato sempre in macchina, perché quando cominciano a ghiacciare le gambe è terribile. Mi ero ripromesso che con la bufera non sarei mai più andato verso Monte Forte, invece ci sono ricaduto altre 4 o 5 volte.

Più avanti nel bosco di Vallesorda ci venivano incontro il mitico Marco Potena e il giovane atleta Mario Fiadino. Erano usciti con gli sci da fondo, non sapevano dell'arresto dello spazzaneve. Marco aveva invitato Mario a uscire con lui semplicemente perché gli piaceva stare nella bufera. Ritornammo in paese che era già buio.

Noi tutti tornammo alle rispettive case, ma solo qualche anno fa ho appreso, in un breve colloquio con Pina, che suo marito giunto in paese si trovò a dover far fronte ad un'altra emergenza. Michele era passato sbrigativamente per casa, intorno alle ore 20:00, aveva avvisato la moglie del suo rientro e le aveva detto:

Iètta la pasta ca mó vàie a armétte re spazzanève e viénghe sùbbete.

Invece poi percorse tutt'altra strada. Fu inviato alla Macchia a portare il gasolio per la ruspa di Giovanni Venditti. Il viaggio non fu poi così celere, tanto è vero che tornò in paese oltre la mezzanotte. E Pina dice:

– Ma quando tornò a mezzanotte passata, zuppe zuppe come ne ciéglie, bagnato. Z'avètta cagnieà. Freddo. Stanco morto. Stette male male dopo. A digiuno senza niente, io gli mettevo le mele assai, solo mele mangiava, perché non voleva colazione.


Michele Potena

 

Fonte: M. Potena, Clipper a cavallo, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. III, Proforma, Isernia 2013.

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