5:50. Tititi titititi tititititi.
Come tutte le mattine, anche in quella gelida giornata d'inverno la sua sveglia suonò puntuale alle 5:50. Adorava restare altri dieci minuti sdraiato nel suo letto, da sveglio, a guardare il giorno che nasce.
Indossò la camicia bianca stirata con perizia, i pantaloni blu, il maglione altrettanto blu con scollo a V, le scarpe nere perfettamente lucidate. Ogni mattina che si sedeva alla guida della sua corriera sognava di essere l'autista di un0auto "importante". Così diceva lui. Fosse stata importante l'auto o chi c'era dentro, poco importava. Ed invece era lì, su quel sedile cigolante ad accontentarsi di una corriera azzurra, mezza scassata e completamente vuota! La sua Corriera.
Aveva superato i cinquant'anni, viveva solo con sua madre in una piccola casa all'inizio del paese, aveva un gruppo di amici maschi, tutti scapoli, la mattina guidava la Corriera ed il pomeriggio faceva la "passatella". A Capracotta dicevano che era un buono a nulla, uno sfaticato che viveva sulle spalle della povera vecchia madre; lui non aveva mai reclamato di fronte a tali commenti, lasciava correre. Tanto era certo che a Capracotta era nato e lì avrebbe trascorso fino all'ultimo dei suoi giorni, nonostante le malelingue.
Tanti anni prima, appena finita la scuola, sua madre aveva provato a mandarlo a Roma da una vecchia zia, ma dopo tre settimane di lacrimosissime telefonate era tornato indietro, forse per paura della grande città, forse per un senso di riconoscenza nei confronti della solitudine di sua madre, o forse, semplicemente, perché lui era di Capracotta e lì voleva stare. E fu così che iniziò
a fare l'autista della Corriera.
Erano passati ventisei anni da quella famosa mattina di "inizio carriera"; il precedente autista era andato in pensione e nessuno voleva quella tratta: Capracotta-San Pierto Avellana Stz.
Nessuno voleva guidare una corriera che portava non più di dieci passeggeri al giorno, se tutto andava bene, nessuno voleva andare in una stazione dove dai treni non scendeva mai nessuno, nessuno voleva trasportare pacchi anziché cristiani, a nessuno interessava scarrozzare quel piccolo trabiccolo su per le impervie curve di una dissestata strada di montagna. Ma a lui piacque l'idea, tanto più che era un tipo solitario e silenzioso. Nessuno rimase sorpreso nel sapere che fu l'unico candidato per quel posto di lavoro.
Mise in moto ed attese qualche minuto prima di partire, in inverno il motore fa fatica a compiere bene il suo lavoro se non gli si dà quel minuto per scaldarsi un po'; così lui ebbe il tempo di osservare con attenzione il cielo, era ancora buio ma già si potevano notare i nuvoloni carichi di neve. Sperò in una copiosa e concitata nevicata, magari addirittura in una bufera! E sì! La bufera!
A Capracotta la bufera era temuta come la carestia, come un'epidemia, come la più acerrima di tutte le nemiche. La gente provava paura e fastidio per questo fenomeno atmosferico. In tanti erano andati via da Capracotta proprio per questa ragione perché, dicevano, i disagi dovuti alla bufera erano troppi. Lui non aveva mai appoggiato quest'idea, anche perché la bufera, oramai era diventata spettacolo raro, rarissimo. Ed in quelle rare volte che accadeva, tutti i mezzi del Comune venivano spiegati per liberare le strade dalla neve, come fosse pieno agosto.
A lui la bufera era piaciuta da sempre, sin da quando, piccolino, la guardava da dietro i vetri che tremavano per l'impetuoso vento. Con gli anni imparò che il posto migliore per godersi la neve soffiata dal vento era Prato Gentile, o meglio, la pista di sci di fondo. Non era un gran campione ma sciava tutti i giorni che poteva farlo. E quando c'era la bufera era una gioia per lui essere su quella pista con i suoi sci ai piedi.
I due soliti studenti dell'Istituto Agrario erano già a bordo, infreddoliti e assonnati come sempre, il Forestale era in malattia da qualche giorno e lo sarebbe stato anche oggi, Lei saliva alla fermata "sotto la Posta". Eccola! C'era!
"Ora sale... che le dico??? La neve...? Il freddo...? Come stai...?" Pensò lui. Ma, mentre si chiedeva cosa dirle, Lei era già comodamente seduta nel suo posto, dietro di lui vicino al finestrino. Lui la osservava dallo specchietto retrovisore e Lei fingeva di dormire; quando Lei improvvisamente si svegliava, lui voltava gli occhi e guardava dritto la strada. Accadeva così, tutte le mattine e tutti i pomeriggi che Lei saliva sulla Corriera.
Ma quella mattina era diverso, si sentiva carico come le nuvole di neve. E tra se e se si promise: "Se oggi fa la bufera le parlo, glielo dico. Solo se fa proprio una bella bufera!".
Lei era piccolina, non più tanto giovane, portava gli occhiali e i capelli corti sempre in ordine, spesso indossava i pantaloni scuri, era timida e parlava a voce bassa. Anche Lei viveva con la madre e aveva solo amiche donne, tutte zitelle. Amava ballare quei balli popolari alle feste di piazza ed ai matrimoni, faceva sempre coppia con una delle sue amiche. Non era bellissima ma a lui piaceva da morire. Erano ventisei anni che voleva dirglielo.
La seggiovia era chiusa, c'era ancora poca neve e pochi avventori infrasettimanali; dalla fontana un sottile filo di acqua gelata ne simulava il flusso, le pale eoliche giravano, qualche grande cane, che una volta doveva esser stato bianco latte, sedeva sul ciglio della strada, e poi solo curve fino alla stazione di San Pietro Avellana, il piazzale antistante. La larga curva per fare manovra.
La corriera frena. Si aprono le porte. I passeggeri si alzano. Si salutano. Scendono.
Quel pomeriggio, al ritorno, i due studenti non c'erano, erano già tornati a casa perché le scuole le avevano chiuse per mal tempo. Chiuse in tanti comuni lì intorno, meno che a Capracotta! Un controsenso!? O forse no! Comunque, accadeva spesso così!
Il cielo era rimasto immobile, le nuvole grigie, leggeri e costanti fiocchi di neve durante la giornata, il termometro stabile appena sotto lo zero. Niente bufera. Addio promessa.
Dopo qualche minuto Lei salì a bordo avvolta in una colorata sciarpa-cappello, si dissero un "Ciao" frettoloso. Lei si mise a sedere e lui, delusissimo per la mancata bufera, mise in moto e iniziò la risalita verso il paese.
Durante il tragitto la nevicata pian piano si fece più intensa, i tergicristalli si affannavano sul grande vetro, l'aria calda spruzzata sul cruscotto tentava di aiutare gli stanchi tergicristalli affinché la neve non chiudesse gli occhi della Corriera. E faceva un gran rumore. Lui iniziò a crederci, ora ci sperava davvero nella bufera, era felice ed immaginava addirittura di sorridere. Il rumore dell'aria calda lo aiutava a prepararsi un ipotetico discorso.
E poi eccola, finalmente arrivò! La bufera arrivò. Una bella bufera! Lei fingeva tranquillità, seduta nel suo solito posto, ma aveva una gran paura. Lui scese un attimo dalla Corriera e finse di dover controllare chissà cosa ma lo fece solo per farsi dare un po' di coraggio dal freddo della neve che scendeva.
E poi di nuovo in marcia: l'Osservatorio, il Bosco, i fratelli Fiadino, la seggiovia, "meglio passare dalla strada di sotto” ragionò lui. La Madonnina. La Scuola.
Sentiva il cuore battergli fortissimo nel petto, lo sentiva muoversi, sentiva il suo rumore nelle orecchie.
Fermata "sotto la Posta" , la Corriera tirò dritto, Lei balzò in piedi e disse, quasi ad voce alta:
– Hai dimenticato la mia fermata!
– Ti prego, stai seduta. Tra poco ti riporto a casa. Guarda com'è bella la bufera!
Arrivarono dritti a Prato Gentile, senza troppi problemi. Ventisei anni alla guida della Corriera lo avevano reso esperto. Fermò la Corriera. La prese per mano e scesero nella bufera, assieme. Le fece il discorso più bello che avesse mai pronunciato in vita sua, non ricordava di conoscere tante parole diverse. Poi si rese conto che a causa del forte vento Lei non aveva potuto sentire niente. Scoppiarono a ridere, si abbracciarono e lei gridò:
– Finalmenteeeeeee!
Esattamente un anno dopo era una serena serata d'inverno, un po' di neve a terra, il cielo pieno di stelle e il termometro ancora fisso sotto lo zero.
Una schiera di amici scapoli ed amiche zitelle presero a ballare in coppia al loro matrimonio.
Michela Notario
Fonte: M. Notario, La Corriera, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. II, Proforma, Isernia 2012.