L'arte di scrivere le prefazioni non è tanto comune, soprattutto le prefazioni alle opere degli altri. Inutile dire perché... La lode che l'autore s'aspetta non può essere posta nel dimenticatoio: e del resto la verità esige di comparire in qualche modo alla luce. Allora si dà un colpo al cerchio ed uno alla botte; quando si è poi uomini come Francesco d'Ovidio si ha ogni mezzo per soddisfare la propria coscienza e l'altrui desio... Ecco qui una raccolta di folk-lore: Oreste Conti, "Letteratura popolare capracottese", con prefazione di Francesco d'Ovidio (Napoli, Piero, 1911). Capracotta per chi non lo sapesse (e questo può darsi senza infamia, perché il nome non è celeberrimo) è terra del Sannio, patria comune al Conti e al d'Ovidio: il primo dei quali ha raccolto con amorosa cura locuzioni e modi di dire, usi e costumi, proverbi, indovinelli e novelle del paese; il secondo si è preso l'amichevole incarico di accompagnare il nuovo libro per il mondo sotto l'egida del suo nome e della sua dottrina. Ed ha scritto la prefazione. Dove si dice e non si dice, si loda e non si loda. Per es.: «Oreste Conti, gentile d'animo come d'aspetto, ha un'innata disposizione alla poesie ed alle lettere»; «Non si può conoscerlo... senza deplorare che egli non sia stato avviato agli studi classici»; «L'opera sua è condotta alla buona»; «Non ci mancherebbe altro che io facessi, al buono e valente compositore di questo libro spigliato ed amabile, il tiro di renderglielo pesante e ruvido!». Attenuazioni, limitazioni, lodi a volte eccentriche (nel senso etimologico); dal complesso resulta qual è il giudizio d'un uomo di alta competenza. Perché Ferdinando Martini ha detto che le prefazioni si saltano a piè pari? A volte, si leggono soltanto quelle...
Giuseppe Ulivi
Fonte: G. Ulivi, Cronachetta bibliografica, in «Il Marzocco», XVI:32, Firenze, 6 agosto 1911.