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Da Mazzini a Mussolini


Quando Mussolini non era il Duce
Il saggio di Emilio Gentile.

La mattina del 23 marzo, "Il Popolo d'Italia" pubblicò una intera pagina con il titolo Plebiscito per la nostra adunata, che sovrastava sei colonne fitte di lettere e telegrammi, provenienti da varie regioni d'Italia, formanti un coro di entusiastica adesione. Precedeva una nota, nella quale si confermava l’'dunata per le ore 10 in piazza San Sepolcro n. 9, precisando che «le prime file di sedie, saranno riservate ai delegati di associazioni venuti dal resto d'Italia e ai combattenti. Il resto del salone al pubblico degli amici e consenzienti muniti di regolare biglietto d'ingresso. La stampa è ammessa. Sono già arrivati molti amici da varie città d'Italia».

La serie delle lettere e messaggi iniziava con il biglietto di un veterano del patriottismo risorgimentale e dell'irredentismo trentino, Ergisto Bezzi, mazziniano e garibaldino, il quale telegraficamente dava la sua adesione tramite Mario Gioda, incaricato di «portare la mia adesione all'adunata di domani. Sono un trentino del Brennero e non di Salorno». Seguiva un commento, probabilmente di Mussolini, che arruolava il patriota risorgimentale «col battaglione dell'arditezza adunato attorno a questo foglio», contro i rinunciatari: «La nostra adunata non poteva ripromettersi maggiore onore quale quello che le viene con l'adesione di Ergisto Bezzi», che aveva «cospirato con Mazzini e combattuto con Garibaldi per la libertà d'Italia», mantenendo una fede incrollabile nell'attendere «la nuova ora d'Italia, l'ora del ritorno di Mazzini che in oggi la muta rinunciataria ha addentato per inscriverlo socio onorario in qualche club croatofilo».

Vi erano altri «superstiti delle prime battaglie del Risorgimento italiano», come un circolo di veterani di Castiglione delle Stiviere, che si professavano «immutabilmente inspirati alle Sante Dottrine del Grande Maestro che vigila a Staglieno, ed ai generosi sentimenti dell'Eroe che aleggia a Caprera, con fede ardente nella vita nuova di redenzione sociale e d’operosità feconda», mentre da Venezia il presidente di un circolo garibaldino esprimeva la «piena solidarietà» della città, che «auspice Daniele Manin dittatore profeta, prepara ormeggi al naviglio del dominatore antico del nemico di ieri, apre alla storia pagine nuove di vita nazionale». Da Roma, un avvocato aderiva dichiarando: «Democrazia vuol essere creazione e non distruzione di valori. Mazzini è ancora presente ed è sulla via segnata da lui che gli uomini di buona volontà da qualunque parte vengano possono trovarsi insieme, senza pregiudiziali fossilizzate e senza appetiti più o meno mascherati». E un amico massone telegrafò da Firenze: «Ove sono trinceristi aleggia spirito libertà. Contami fra i tuoi ora presente. Lotte future».

Il motivo risorgimentale, direttamente o indirettamente collegato alle rivendicazioni territoriali dell'Italia e alla esaltazione della libertà dei popoli, echeggiava in molte adesioni di reduci interventisti, combattenti, mutilati, invalidi, che provenivano da ogni parte d'Italia. Da Capracotta, piccolo comune del Molise, il presidente del Circolo «Cesare Battisti» telegrafò: «Invalidi e combattenti capracottesi aderiscono entusiasticamente adunata 23 corrente». Un invalido «interventista della prima ora, combattente entusiasta sugli Altopiani, sul Carso ed al Piave» dava la sua «incondizionata e fiduciosa adesione ai Fasci di Combattimento: saranno di esempio ai timidi, di monito ai vili e sapranno trascinare la parte sana e virile della Nazione nella lotta di pensiero e di azione contro la razzamaglia bolscevica». Un caporale in convalescenza, interventista e volontario «per la guerra rivoluzionaria», si diceva prontissimo a rinunciare alla licenza «per combattere in una guerra italo-jugoslava», «qualora i diritti d'Italia e delle genti non vengano riconosciuti dalla cricca diplomatica», e aderiva «con tutta l'anima e con tutta la forza» all'adunata, alla quale avrebbe partecipato personalmente.

Il motivo prevalente nelle adesioni, soprattutto dei giovani, era, insieme con la difesa della guerra e della vittoria, l'esaltazione dei combattenti come la nuova classe dirigente dell'Italia nuova, che doveva spodestare la vecchia classe dirigente. Da Catania, studenti e reduci aderivano con «pieno entusiasmo», formulando l'augurio che «da un alto e sereno dibattito possa sorgere quel vigoroso e sano indirizzo politico, che abbia come punto essenziale di programma la "smobilitazione" della invalida e lercia burocrazia e la conquista dei poteri pubblici da parte di tutte le forze vive e fattive della gioventù combattente». Ai giovani di Catania facevano eco da Firenze Ernesto Rossi e un gruppo di amici fiorentini, fra i quali il pittore futurista Primo Conti, che si dolevano di non poter partecipare all'adunata, ma inviavano la loro «entusiastica adesione», dicendosi «certi che dalla sincera ed appassionata discussione fra giovani, ché solo i giovani potranno rispondere all'appello del Popolo d'Italia, verrà nuovamente una parola di Fede Italiana contro la voce ormai rauca dei nostri vecchi cristallizzati nella loro inutile saggezza». Da Roma, il capitano degli arditi Mario Carli inviava l'adesione della sezione romana dell'Associazione degli arditi, pronti a dare «addosso alle nuovissime congiure clericali camuffate di patria, addosso alle vecchie congiure pussiste e giolittiane camuffate di umanità! Fiuto odore imminente di polvere. L'anima esplosiva che rugge in noi, nostalgici guerrieri, è scossa da una grande speranza di lotta».

Quasi tutte le adesioni erano indirizzate personalmente a Mussolini. Alcuni erano vecchi compagni di lotte politiche, dal socialismo all'interventismo, come il «vecchio amico» Celso Morisi, proveniente dal sindacalismo rivoluzionario, interventista volontario combattente nella Legione garibaldina prima dell'entrata in guerra dell'Italia, che nella lettera di adesione, parlando di sé come «chi è stato per non breve tempo, prima in carcere, poi in trincea, sempre e soltanto per un'alta idealità», descriveva il tipo dei più ferventi collaboratori mussoliniani:

Da più di quindici anni ho combattuto per le mie idee rivoluzionarie e come organizzatore e come uomo di parte, ho sempre cercato di dare tutto quello che potevo e non ho mai chiesto nulla a nessuno. Tutto ciò affermo non per vanagloria personale; io rifuggo sempre dalle pose e dalla falsa modestia, ma soltanto perché in questo momento in cui si richiede continuamente il foglio di servizio, si sappia che alla tua adunata non aderiscono gli ultimi arrivati.

Un romagnolo di Meldola, che aveva partecipato al Fascio interventista ed era stato volontario di guerra, scrisse a Mussolini: «Versai il mio sangue per il diritto delle genti e il riscatto delle italiane terre, aderisco e approvo fin d'ora tutte le deliberazioni che saranno prese nel convegno indetto dal battagliero Popolo d'Italia, dispiacente di non potere intervenire».

Così un capitano smobilitato gli scriveva da Milano: «Come durante la neutralità, come per 40 mesi di trincea, così sono e sarò sempre con voi, con la mia anima, col mio cuore, con i miei pugni. Voglio intervenire al vostro convegno». Un avvocato scriveva di aderire «con tutta l'anima a quanto il popolo italiano, da Lei radunato in Milano, delibererà per la nuova grandezza d'Italia». Ex combattenti da Santa Maria Capua Vetere telegrafarono la loro adesione: «Plaudiamo nobile tuo apostolato augurando che nostra Terra di Lavoro segni magnifico movimento destinato a redimerla da servitù politica».

Alcune lettere di adesione designavano in Mussolini l'interprete e la guida della rinnovazione dell'Italia. Da Udine, un volontario e ferito di guerra e un mutilato di guerra, profughi entrambi, non potendo intervenire, inviarono «un saluto fraterno e la solidarietà incondizionata ed entusiastica al nobilissimo e storico convegno», delegando Mussolini a «rappresentare i volontari friulani dell'America, gli invalidi e mutilati di guerra, e la gioventù friulana tutta. Viva il nostro Popolo d'Italia!». Il sindaco di un comune dell'Abruzzo aderiva «per la elevazione morale e materiale del nostro popolo e per la redenzione dei nostri fratelli Dalmati», ed elogiava Mussolini perché, proclamando «la concordia nel popolo dopo la disgrazia di Caporetto, voi avete contribuito ad infondere nuovo vigore ed eroismo nell’Esercito, che vittorioso ha salvato la civiltà latina dalla barbarie teutonica; confido che con l'odierna azione inspirerete nei cittadini la fermezza nell'esigere dagli altri Stati maggiore rispetto per la nostra Italia e dal nostro governo giustizia e diritto al lavoro, e nel provvedere a che nelle pubbliche amministrazioni sia tenuta in rilievo la differenza fra i combattenti che hanno versato il sangue per la patria ed i vampiri che l'hanno succhiato». Da Novara, un sergente maggiore degli arditi, invalido di guerra, dopo esser stato interventista e volontario, scriveva a Mussolini, conosciuto nel 1915: «Aderisco anch'io e sarò presente all'adunata. Ai trinceristi occorre una mano sicura che li guidi a rinnovare l'Italia così come vittoriosamente debellarono il nemico esterno. Tu devi essere quella mano».

La pagina plebiscitaria delle adesioni si chiudeva con una breve nota non firmata, ma certamente di Mussolini:

Questa magnifica pagina di adesioni, non ha bisogno di essere illustrata o commentata. È chiara. È eloquente. È decisiva. Basterà rilevare: 1. che le adesioni ci sono giunte da tutta Italia; 2. che sono numerosissime; 3. che rappresentano il fior fiore della nuova generazione italiana, poiché si tratta nella maggior parte dei casi di combattenti o ex combattenti. Ci sia concesso di dire che la realtà ha superato le nostre aspettative. Rimane sul banco un altro mucchio di adesioni individuali e collettive. Le daremo domani, insieme con quelle che ci arriveranno durante l'adunata. Davanti a così vasto e vibrante movimento, possiamo gridare che l'interventismo è ancora capace di impegnare una nuova e vittoriosa battaglia!

Emilio Gentile

 

Fonte: E. Gentile, Quando Mussolini non era il Duce, Garzanti, Milano 2020.

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