Eravamo nel 1971 e giù alla marina qualcosa, 'ngrazie a De' (ringraziando Iddio), cominciava a muoversi.
Era stato finalmente asfaltato il primo tratto del lungomare, che era rimasto per lunghi anni al grezzo, era stata realizzata una nuova piazza a sud, non prevista nell'originario progetto, ed erano stati appaltati anche i lavori del prolungamento del secondo tratto, sempre del lungomare, con un nuovo tracciato che iniziava dalla piazza centrale sino ad arrivare a lu muare de Nascie, l'altro mare dei sansalvesi, a confine con Vasto.
Già da qualche anno, inoltre, era stata asfaltata anche via Arenile, (attuale via A. Doria), che non era più quel viottolo in sabbia battuta sull'arenile, da sempre unico sentiero a sud per arrivare al mare, e più a nord, a qualche centinaio di metri di distanza dalla stazione di servizio Agip di Virgilio Cilli, sulla S.S. 16, era stata inaugurata anche via A. Vespucci, a cui l'amministrazione comunale aveva intestato la strada, in continuazione con i nomi di altri illustri navigatori italiani, primo fra tutti C. Colombo, il navigatore per antonomasia, a cui era stato intitolato il lungomare.
Erano sorti, inoltre, i primi palazzoni alle spalle del lungomare.
In realtà il primo in assoluto era stato già edificato qualche anno prima dal riminese Gino Peroni, che lo costruì dal 1965 al 1968, proprio alle spalle dei casotti di Za Vetalene Toricella (oggi "Il Corallo"), di cui era cliente, quando il lungomare era solo qualcosa in più di una strada brecciata.
Seguirono a ruota l'Hotel Milano, costruito da una società milanese, i cui lavori si susseguirono all'incirca nello stesso periodo in cui la Siv, per ospitare i suoi dirigenti, stava costruendo l'Hotel Cristallo a la staziaune (in c.da Stazione) e poi i 5 palazzoni in via A. Doria realizzati dai fratelli don Giulio e don Dino Sciò, di cui i primi 3 ubicati sulla destra entrando dalla S.S. 16, e gli altri 2, gemelli, quasi a ridosso del mare, dove oggi vi è il canale di collegamento del porto verso il mare.
Sempre nello stesso periodo vennero inoltre costruiti anche i 2 palazzi alle spalle del barretto di Zio Emilio, ad opera dell'Impresa F.lli Colecchia di Palata (dove oggi vi è il Beat Cafè) e, dulcis in fundo, perché realizzati per ultimi ed in fondo, all'inizio di via A. Vespucci, altri 6 palazzi (in progetto ne erano 8), costruiti dall'impresa Cravero e Dolente, di Termoli, dove qualche anno più tardi il capracottese Natalino Sozio, aprirà il primo ristorante vero della marina, che chiamerà "La Poppa", a significare che era ubicata come alla poppa di una nave, la cui prua era il mare.
La tipologia di questi palazzoni iniziò a conferire al nostro arenile un primo aspetto di modernità, che ci rendevano ahimé... orgogliosi.
Erano i tempi in cui Ruggero Orlando, inviato Rai negli Stati Uniti, in collegamento satellitare, spesso in differita da New York (non c'erano ancora i satelliti moderni come oggi), mostrava, mentre parlava nei primi televisori in bianco e nero, i grattacieli di New York, tra cui spiccava ogni sera il il palazzo di vetro dell'Onu. Vederne adesso, ad un respiro dal mare, qualcuno che somigliasse, anche se in forma ridotta, a quei grattacieli americani, ci infondeva un senso di grandeur, a cui la stessa vicina Vasto non seppe resistere, con la realizzazione de lu Grattacile (il Grattacielo Paradiso), costruito negli anni '60.
Alla spiaggia, invece, era più o meno sempre la stessa canzàune (canzone).
Nonostante zio Emilio, ad ogni inizio stagione, aggiungesse qualche disco nuovo al suo jukebox, consigliatogli da qualcuno che faceva l'esperto musicale per averlo sentito alla radio alla Hit-parade di Lelio Luttazzi, al Cantagiro o al Disco per l'estate, le giornate al mare trascorrevano lente e monotone, sotto un sole asfissiante, che verso mezzogiorno, rinfrangendo i suoi raggi sulla sabbia dorata, cuciave li pite (scottava sotto le palme dei piedi).
Nel pomeriggio, i giovani, sparsi qua e là sulla spiaggia, cercavano refrigerio all'ombra del muretto del lungomare, come messicani all'ora della siesta, ognuno con il suo fagottino di panni e scarpe a fianco, che tenevano sempre sott'occhio per paura che qualche bontempone, per scherzo o per davvero, lo nascondesse facendolo tornare a casa nudo.
Persino l'asciugamano per molti giovani era una specie di optional. Si asciugavano al sole o arrotolandosi nella sabbia facendosi gnè miscaréte (come maschere di carnevale), riportando a casa, spesso e volentieri, granelli di sabbia che restavano dentro i costumi, che qualcuno indossava addirittura per giorni e giorni, trasformandolo in mutanda estiva.
Vi era all'epoca un solo bagnino, anzi due. Il primo era Ergilio Monaco, da qualche anno arrivato da Arielli perché suo padre lavorara alla Siv, il quale dopo essersi preso il patentino da bagnino alle Naiadi di Pescara, prestava assistenza per conto di tutti quei pochi stabilimenti balneari esistenti e l'altro era un carabiniere che faceva il bagnino della colonia. Un giorno successe che il primo bagnino dovette salvare il secondo, il carabiniere, che si tuffò dal suo moscone di salvataggio per hobby e scoprì di non saper nuotare.
Barzelletta vera a parte, in una situazione della nostra spiaggia, che come dicevo prima era più o meno sempre la stessa canzàune, finalmente un bel giorno, ecco arrivare qualcuno deciso a cambiar musica.
– E chi è? (e chi sarà mai?) – chiesi incuriosito ad un gruppetto di ragazzi, quando in lontananza, sull'arenile, nel secondo tratto del lungomare ancora in costruzione, vidi un gruppo di persone che stava montando sull'arenile 'na specie di casciarmoniche.
– È Valentine, lu frabbicataure (è Valentino, il muratore) –, mi rispose qualcuno tra i presenti.
– E ca da' fà? (e cosa deve fare?) – gli chiesi di nuovo incuriosito.
– Muà... dece ca a da' fà nu tè danzante (dice che deve fare un the danzante, all'epoca così in molti chiamavano una sala ballo) –, mi rispose.
– Nu tè danzante! – esclamai stupefatto.
Mi avvicinai sempre più incuriosito.
Sì, era proprio lui, Valentine lu frabbicataure (Valentino il muratore), ch'avè frabbicate pìure la casa mà (che aveva da poco costruito anche casa mia), tutto indaffarato insieme ad altri a montare una struttura in ferro, a tre passi dal lungomare.
– Ué! Valentì ma chi sti a cumbunè! – gli chiesi.
– Fernà aja fà na cosa fregne (devo fare una cosa eccezionale) –, mi rispose in fretta e furia nel suo dialetto tufillese, mentre continuava a darsi da fare.
– Ma è 'na sale da balle? – gli domandai di nuovo per capire se ciò che mi avevano detto corrispondesse a verità.
– Scì! Fernà, z'abballe pure –, mi rispose nuovamente mentre era tutto affaccendato, – ma ci facce pure lu bar pe' che vè a lu mare, 'na cosa frégne pe stu paese (Sì! Si balla pure, ma ci faccio anche un bar per i bagnanti).
– Come? – gli chiesi di nuovo, quasi a volermi sincerare di aver capito bene.
– 'Na cosa frégne pe stu paese! – concluse sorridente mentre si allontanava.
E Valentino, 'na cose frégne per questo paese la fece davvero.
Realizzò il primo dancing bar sulla nostra spiaggia, una novità inimmaginabile sino ad un attimo prima, una struttura sorretta da pali in ferro con la copertura in lastre di metallo, che somigliava molto da vicino a "La Ciucculella" di Vasto Marina, che forse gli ispirò il modello.
La differenza tra le due strutture era che "La Ciucculella" aveva più una forma di 'na scàgne di ciocchele (un guscio di conchiglia), con la parte ampia e larga che si proiettava verso il mare, mentre quella di Valentino somigliava più a 'na bella casciarmoniche (una bella cassa armonica), anzi a nu casciarmunacàune (grande cassa armonica), avendo altezza regolare, con perimetro e copertura ottagonale.
La struttura era chiusa letteralmente da saracinesche che venivano abbassate la notte e riaperte al mattino. Per non rendere visibile l'interno, una volta alzate le saracinesche, vi aveva messo delle cannezze (cannuccie) a mezza altezza, che ne delimitavano l'intero perimetro.
Fu una vera novità per la nostra spiaggia e subito venne preso d'assalto dalla gioventù e dai bagnanti.
Per onor di cronaca il dancing bar di Valentino, anche se fu il primo in assoluto ad essere realizzato sulla spiaggia, non può essere tuttavia considerato la prima sala da ballo della nascente San Salvo Marina.
Qualche anno prima, infatti, un ortonese, il cui nome era Derna D'Intino, aveva aperto al primo palazzo costruito dai fratelli don Giulo e don Dino Sciò, in via A. Doria, il Bar Lucy, chiamandolo con il nome della sua primogenita Lucia. D'estate, il sig. D'Intino, mettàve balle (organizzava serate danzanti) nel piazzale laterale al bar, anch'esso tutto recintato con cannezze, nel quale aveva realizzato, in fondo, a ridosso della S.S. 16, anche un palchetto per un complessino.
Su quel palchetto, quasi tutte le sere salivo anch'io insieme ai miei amici Ivo Balduzzi, Rino Di Cola e Michele De Filippis (il complessino beat si chiamava FIRM 70 ed erano le iniziali dei nostri nomi: Fernando, Ivo, Rino e Michele, mentre il numero 70 erano gli anni di tutti e quattro messi assieme ed anche l'anno di fondazione). Ricordo che io, salame, suonavo con la mia chitarra Maria Elena, mentre le coppie, che venivano tutte da fuori, ballavano lu lente (lo slow), con le orecchie che spesso j fucujevne (con le orecchie arrossate) e non solo per il caldo, che già di per se faceva, ma perchè ballavano abbraccichiti (abbracciati), ma talmente abbraccichiti, che detto adderétte adderétte (senza mezzi termini), ci mancava poco a 'ngacchiárareze (modo di dire diventare un tutt'uno).
La sera del 21 giugno 1970, finale dei Campionati Mondiali a Città del Messico tra Italia e Brasile, fu un fiasco totale.
Il risultato finale fu un sonoro 4 a 1 a favore del Brasile, ed ebbi mazzate e corne, nel senso che tutt'oggi rimpiango di non aver potuto vedere in TV quella partita.
Ma tornando al nostro Valentino, la sua idea si rivelò giusta.
Chiamò la sua creatura "Dancing Bar Valentino", aggiungendoci alla fine anche il suo nome, azzeccandoci in pieno.
In fondo il suo nome, cioè Valentino, era uguale a quello di San Valentino, che proprio in quegli anni, con il consumismo alle porte, stava passando agli onori della cronaca ed un po' meno a quello degli altari, per essere il protettore degli innamorati. Se a questo aggiungiamo che anche il rampante stilista Valentino, proprio in quegli anni si stava facendo una fama mondiale come creatore di abiti di moda, ecco che il suo nome ci cascava pruprie a fasciole (proprio a fagiolo), per il suo dancing bar.
Ma come gli era venuto in mente, a lui, che tra l'altro era nu muntagnole (un montanaro), essendo nato a Tufillo (così chiamavamo gli abitanti dell'entroterra noi sansalvesi, a partire dai lentellesi), di mettersi a fare tutto d'un tratto il balneatore?
La sua storia, in sintesi, è più o meno questa.
Valentine (al secolo Valentino Ottaviano), sin da ragazzo era stato muratore, così come suo padre Nicola.
Emigrato giovanissimo a diciotto anni in Germania e poi in Francia, al suo ritorno, invece di inseguire un posto fisso alla Siv, così come avevano scelto di fare numerosi suoi coetanei rimpatriati in quel periodo, continuò a fare il muratore, trasferendosi a San Salvo, che con l'industrializzazione, stava iniziando una prima espansione edilizia.
Faciàve lu mastre (era mastro muratore).
Ma ere toste (era durissima) però!
Lo ricordo, ancora giovanissimo, eravamo intorno al 1969, quando costruì la casa mà (casa mia) in via dello Stadio insieme a suo padre Nicola e suo fratello Mario. Le attrezzature all'epoca non erano ancora il massimo per quel lavoro, che era davvero massacrante. Tanto per rendere l'idea li callarelle (le cardeline) li portavano ancora a méne le mannebbele (a mano i manovali) e tutto era basato ancora sulla forza delle spalle e delle braccia. Ricordo che un giorno arrivò un camion che scaricò i travetti dell'Ala per i solai, poggiandoli per terra.
Poverini! Li trasportarono a coppia sulle spalle, fino a farsi scoppiare qualche bolla di sangue, avventurandosi per le scale ancora allo stato grezzo.
Stessa sorte subirono con i solai della Sicap, una fabbrichetta di travetti per solai dei tetti, che era sorta proprio in quegli anni alla Costa Verde, alla marina di Montenero di Bisaccia, dove io ed i miei amici spesso andavamo in trasferta a suonare all'Hotel Strand ed ai campeggi limitrofi, con il nostro gruppetto musicale FIRM 70.
Tornando alla nostra storia e precisamente su come gli venne in mente, a Valentino, di aprire uno stabilimento balneare, secondo me tutto gli balenò nella testa mentre lavorava come muratore a Pescara, frequentando qualche locale da ballo della costiera.
– Ma come! – forse pensò Valentino, – Ma è mai possibile che a San Salvo, ancora a nessuno sia venuto in mente di aprire uno stabilimento balneare, che di giorno sia bar e di notte diventi una sala da ballo? Lo farò io.
Si recò alla Capitaneria di Porto di Vasto, e dopo qualche iniziale tentennamento, dovuto soprattutto alle scarse disponibilità economiche, si avventurò in questa idea, invogliato dallo stesso comandante della Capitaneria, capo Guglielmucci, e dal sindaco pro-tempore Sparvieri, il quale, a parte l'amicizia e l'affetto che nutriva per il giovane Valentino, intravvedeva una prima forma di sviluppo turistico della nostra spiaggia.
L'idea di Valentino si trasformò da subito in un successo, favorito anche dal fatto che agli inizi degli anni '70 ormai la gente si era motorizzata e non era più un problema, se non quello di non consumare qualche litro di benzina, arrivare la sera al mare.
Naturalmente non era solo un dancing. Di giorno funzionava da bar, stabilimento balneare, e la notte, da mezzanotte in poi, alè z'abballave.
Ricordo che la sua ubicazione era a qualche metro dal lungomare. Per accedervi si scendevano cinque sei scalàlle (gradini), che conducevano alla quota di arenile e dopo pochi passi, al buio (essendo il 2° tratto del lungomare ancora in costruzione), si giungeva alla porta del dancing, che aveva sull'uscio una lucetta rossa, che gli conferiva l'aspetto di un night club.
Entrando, al suo interno, a sinistra vi era il bar con un moderno bancone dotato di modernissima macchina da caffè espresso (fu il primo a metterne una seria) e proseguendo un bel palco rialzato su cui suonavano i complessi musicali. Quasi tutto il resto era pista da ballo, a cui tutt'intorno Valentino aveva disposto a cerchio decine tavolini agghindati, nei quali la notte, sedevano le coppie a lume di candela.
I ballerini? Naturalmente quasi tutti forestieri.
Su quel palco si fecero ulteriormente le ossa il gruppo locale L.F.C. (Leone, Fratelli & Compagni), costituito, dopo la mia uscita dai FIRM 70, dal già citato Ivo Balduzzi, che era la L, così chiamato perchè Leone si chiamava suo padre, dai fratelli Vito e Luciano Cilli (i Fratelli), e da Rino Di Cola, Michele De Filippis ed Ergilio Monaco alla chitarra (i Compagni), gruppo musicale che successivamente mutò il nome in Ambassador, quando partecipò nel 1978 al Cantagiro, organizzato dal regista vastese, trapiantato a Roma, Carlo Siena.
Naturalmente l'ingresso al dancing non era libero: costo del biglietto 500 lire e l'obbligo di spendere, durante la serata, almeno una consumazione.
Il giovane Valentino, nonostante, lì dentro, soprattutto nelle giornate afose di agosto, già facesse un caldo asfissiante, era un vulcano, sprigionava idee a tutto spiano.
Gli affari gli andavano bene.
Per farsi maggiormente un nome cominciò a scritturare gruppi musicali di fuori regione (ricordo un gruppo di bravi ragazzi di Orvieto), a cui dava naturalmente, oltre al pagamento della prestazione, anche vitto e alloggio, ed un giovanissimo Angelo Branduardi, che all'epoca stava facendo ancora la gavetta.
L'anno dopo, nel 1972, fece un colpo sensazionale.
Scritturò il gruppo torinese La Strana Società, che proprio quell'anno era in testa a tutte le classifiche discografiche con "Pop Corn", un brano strumentale, super gettonatissimo in tutti i jukebox d'Italia, un vero tormentone.
Ricordo quella sera, come ieri.
I miei vecchi amici della L.F.C, che fecero da spalla al famoso gruppo torinese, invitarono anche me ad esibirmi con la mia chitarra. Intorno a quella serata vi è una leggenda paesana che mi riguarda da vicino e che vorrei sfatare, e cioè che La Strana Società, sentendomi suonare, mi propose di entrare a far parte del loro gruppo. In realtà cercavano solo un chitarrista "bravo" per un'orchestra di loro amici torinesi.
Sull'onda del successone per l'esibizione del La Strana Società, Valentino intuì che quella era la strada giusta ed iniziò a scritturare nomi sempre più di successo.
Calcarono quel palco i Nomadi con il cantante Augusto Daolio che cantava ancora "Dio è morto", gli Homo Sapiens, che proprio quell'anno (1977) avevano vinto il Festival di Sanremo con "Bella da morire", il Rovescio della Medaglia, i Nuovi Angeli, ed altri grandi artisti di successo e fama nazionale.
Ma come succede sempre più spesso ancora oggi, anche il modo di fare musica iniziò a lasciare il passo alla tecnologia che avanzava.
Era iniziata l'era delle discoteche ed i gruppi musicali, che suonavano dal vivo, incominciarono ad esser surclassati dai DJ. Tutto era più facile. Niente più spostamenti di strumenti con i camion. Bastava un buon impianto musicale ed il gioco era fatto.
Valentino, che era un tradizionalista, almeno agli inizi tentò di continuare con la musica dal vivo, ma una sera, anche a seguito di una coincidenza, si adeguò ai nuovi tempi.
Era successo che un gruppo di ragazzi DJ, che avevano preso in gestione un noto locale dancing e balneare di Vasto, non adempirono a tutti gli impegni assunti con il proprietario, al quale a fine stagione gli lasciarono, come rimborso spese, anche un'impianto sonoro da discoteca, con tanto di mixer, altoparlanti ecc.
Non sapendo che farsene, il balneatore vastese, ne parlò con Valentino, il quale si ricomprò tutta l'attrezzatura.
Mancava però il DJ.
Valentino, proprio mentre ne cercava uno all'altezza, se lò ritrovò in famiglia.
Era Mario, suo fratello minore.
Difatti Mario, che oggi è titolare dello stabilimento balneare "La Playa Hermosa", in attesa dell'arrivo di un DJ ufficiale, avè sfelete (aveva incominciato lui a farlo lui) e con ottimi risultati.
Divenne talmente bravo che dopo un po' si iscrisse alla Associazione Italiana DJ, di cui era presidente Renzo Arbore, il quale ogni anno, già prima dell'estate, gli mandava in esclusiva dei dischi non ancora immessi nel mercato discografico, che poi sarebbero diventati dei veri tormentoni estivi.
Ma le serate al Dancing Bar Valentino, non si esaurirono solo con la formula della discoteca.
Sempre con nuove idee che gli fumavano dal cervello, Valentino iniziò a cercare aggangi per le manifestazioni a carattere nazionale, come le selezioni eliminatorie di Miss Italia, che in più di un'occasione si tennero nel suo dancing.
Insomma scrivere tutte le attività artistiche che Valentino si inventava per attirare clienti al suo dancing sarebbe cosa lunghissima, che di per se diventerebbe storia più lunga addirittura di questi miei lunghissimi racconti sul mare.
Vi è ancora da dire, tuttavia, che nonostante la sua attività di balneatore all'avanguardia, non smise mai del tutto il suo primo mestiere di muratore ('mbare l'arte è mettele da parte, impara il mestiere e mettilo da parte, dice un vecchio proverbio locale), diventando in quegli anni, come tanti altri muratori di quel periodo, affermato imprenditore edile.
Molte palazzine residenziali sono state realizzate da lui nel corso degli anni a San Salvo ed in una di queste, in via Montegrappa, vi mise anche la prima discoteca vera di San Salvo capoluogo, a cui diede il nome "Il Danubio Blu".
Insomma Valentino, lu muntagnole, con la tenacia che contraddistingue i montanari, rivoluzionò in un certo qual modo la spiaggia di San Salvo e per questo, credo che gli spetti di diritto, il titolo del primo vero imprenditore moderno del nostro mare.
Oggi Valentino, ha ormai una certa età e non organizza più serate danzati, ne tanto meno concorsi per la selezione di Miss Italia.
Dal 1984, ha demolito la vecchia struttura a noi giovani di quegli anni tanto cara, ed ha realizzato, allo stesso posto il Mirage, lo stabilimento balneare più grande della nostra spiaggia, con ristorante vista mare e centinaia di ombrelloni allineati sulla spiaggia.
I tempi cambiano e tutto si trasforma.
C'est la vie, dicono i francesi.
Non so, però, perché, quando passo lì davanti, dove un tempo c'era il Dancing Bar Valentino, è come se udissi ancora in lontananza, il suono di quella mia vecchia e cara chitarra elettrica, come se non fossero trascorsi quarantanni e passa da quella sera in cui La Strana Società mi propose di seguirli a Torino.
Sarà ca m'arsonne li cece a fresche, gli anni più belli della mia gioventù.
Fernando Sparvieri
Fonte: http://www.sansalvoantica.it/, 19 agosto 2016.