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De Maio avverso Falconi, Santilli ed altri


De Maio Deliceto
Vico De Maio a Deliceto (FG).

All'eccellentissima Corte di cassazione di Napoli.

Vincenzo de Maio, propr. domiciliato in Deliceto, ed Elisabetta de Maio, autorizzata dal marito consigliere Francesco Paolo d'Ambrosio, proprietaria domiciliata in Trani, rappresentati dal sottoscritto avvocato espongono.

Nella causa tra essi de Maio ed i signori Stanislao Santilli, Angelo e Serafina Santilli fu Sisto, quest'ultima autorizzata dal marito Giovannangelo Sammarone, Cesarina Antoldi, ved. di Pasquale Santilli fu Sisto, Eustachio Monaco, Agostino e Croce Conti fu Antonio, Filippo Falcone fu Francesco, Francesco Falcone fu Agostino, Filippo e cavaliere Ruggiero Conti fu Giampietro, e questi due anche come eredi del defunto Gregorio Conti, Gerardo, Ettore, Eugenio, Silvio ed Ortenzia Conti fu Raffaele, quest'ultima maritata a Nicola d'Onofrio, Francesco Buonanotte fu Salvatore, Vincenzo Buonanotte di Francesco, Pasquale e Donato di Tella fu Vincenzo, Eufrasia Conti, madre e rappresentante i figli minori Raffaela, Sebastiano ed Innocenzo, procreati col defunto marito Vincenzo di Tella, Vito e Sebastiano di Tella fu Domenico, Leonardantonio Falconi, Pasquale, Domenicangelo ed Agnese Fantozzi fu Giuseppe, Caterina Fantozzi fu Vincenzo, Mariannina Carugno ved. di Michelangelo di Loreto, Remigio, Salvatore, Luigi, Tito, e Lindoro Conti fu Giovanni, e costoro come eredi della defunta loro madre Carolina Falconi, nonché quali succcessori del testè defunto fratello Cesare e tutti nella qualità di eredi del sig. Carlo Conti, Filippo, Ferdinando ed Alfonso Monaco fu Gaetano, Pietro Labbate fu Francesco, Giuseppe Castiglione, Tito di Ciò fu Giuseppe in nome proprio e quale gestore di negozio del germano Giacomo, Pasquale di Rienzo e Benedetto di Rienzo, autorizzata dal marito Eugenio Vizzoca, e costoro quali eredi del defunto loro padre Agostino di Rienzo fu Saverio, Pasquale e Sebastiano Carnevale, figli della fu Angela di Rienzo, Francesco Rosa figlio della fu Mariantonia Paglione, Giovanni e Giacomo Bucci fu Emiliano, Princiano e Francesco Monaco fu Angelo, ed il primo come tutore pure dei minori Angela e Teresa Monaco, fu Mariano, eredi del defunto avv. Michelangelo Monaco per l'interposta persona della loro madre defunta Chiara Monaco, Pietro e Raffaele di Nucci fu Amicantonio, dom. tutti in Capracotta ad eccezione di Salvatore Conti dom. in Carovilli, la Corte di appello di Napoli in 1ª sezione ha profferito a 18 febbraio 1800novantuno e pubblicata a 6 aprile detto anno la seguente sentenza:

Uditi i procuratori delle parti, senz'attendere alle dedotte eccezioni d'inammessibilità e di nullità che rigetta, provvedendo sull'appello proposto da Pasquale Fantozzi, Stanislao Santilli ed altri con atti diciasette e diciotto settembre 1800novanta avverso la sentenza del tribunale d'Isernia de 14-22 agosto 1800novanta, respinte tutte le altre istanze ed eccezioni, ordina che i signori Primiano e Francesco Monaco fu Angelo Ruggero e Filippo Conti fu Giampietro, Pietro Raffaele di Nucci, Filippo Falcone fu Francesco, Francesco Falcone fu Agostino, Gerardo, Ettore, Eugenio, Silvio ed Ortensia Conti fu Raffaele, Leonardantonio Falcone, Cavalier Cesare, Remigio, Salvatore, Luigi Tito e Lindoro Conti fu Giovanni e Giuseppe Castiglione fra il termine di giorni sessanta dalla pubblicazione della presente esibiscono a mezzo della cancelleria i titoli di particolari acquisti che assumono aver essi fatto dei fondi dei quali fu loro ingiunto il rilascio con l'apposto precetto. E riserba all'esito dell'esibizione ed esame di siffatti titoli i diffinitivi provvedimenti in merito dello appello per quanto riguarda i predetti individui. Rigetta poi lo appello nel rapporto di tutti gli altri, ed ordina che la impugnata sentenza sia contro di essi eseguita. Condanna questi ultimi alle spese del presente giudizio che col relativo onorario di avvocato saranno tassate dall'estensore della presente. Le riserba nel rapporto degli altri appellanti all'esito del disposto mezzo istruttorio.

Contro la trascritta sentenza, registrata uff. atti giudiziari di Napoli al numero 4600, non notificata, gli esponenti propongono parziale ricorso per cassazione per i motivi che saranno indicati dopo sommaria esposizione del fatto.

Nel 1828 Vincenzo de Maio, seniore, istituì giudizio di revindicazione contro alcuni detentori dell'ex feudo di S. Croce in Capracotta. Nel 1829 simigliante domanda libellò contro altri detentori dello stesso ex feudo. Con sentenza 28 gennaio 1830 il tribunale di Molise pronunziando su questa seconda domanda in contumacia dei citati li condannò al rilascio delle porzioni occupate, ed alla restituzione dei frutti disponendo mezzi istruttorii per la liquidazione. Con altra

sentenza 23 novembre 1830 lo stesso tribunale pronunziando sulle opposizioni prodotte contro la contumaciale, sull'altra istanza del 1828, e sull'intervento del Comune di Capracotta, dichiarò inammessibile in quanto al rito l'intervento, rigettò le opposizioni alla contumaciale, condannò gli altri detentori citati nel 1828, al rilascio delle altre porzioni occupate, si riserbò di pronunziare sui frutti in esito dei disposti mezzi istruttori, e condannò gli opponenti e tutti i convenuti nelle spese. Nel 1837 produssero i condannati appello da ambedue le sentenze. Nel 1856 Giuseppe de Maio, erede di Vincenzo ne domandò la perenzione. Una decisione del 1860 la profferì nel rapporto del Comune, la rigettò nell'interesse degli altri possessori. I quali dal 1864 lungi di promuovere la discussione dell'appello limitaronsi ad interromperne la perenzione, riassumendo l'istanza degli appellanti nella qualità di eredi alcuni, e di aventi causa altri. Nel 1888 per irritualità dell'atto notificato nel 1886, gli eredi di Giuseppe de Maio, Vincenzo ed Elisabetta, rinnovarono la domanda di perenzione. E con sentenza della Corte di appello di Napoli dei 23 novembre 1888, confermata la sentenza della Corte di Cassazione dei 12 aprile 1890, fu dichiarato perento l'appello. Notificate le sentenze del 1830 e 1836, precettaronsi a 30 e 31 luglio 1889 pel rilascio delle rispettive porzioni coloro che avevano riassunta l'istanza in qualità di eredi ed aventi causa dei condannati. Il precetto fu opposto con atto dei 12 agosto 1889. Il Tribunale d'Isernia rigettò con sentenza 14 agosto 1890 le opposizioni. E sulle appellazioni la Corte d'appello pronunziò la sentenza su trascritta, che mentre conculca il diritto dei ricorrenti viola la legge per i seguenti Motivi:

  1. Deducono i ricorrenti l'inammissibilità dell'appello per inosservanza delle forme prescritte dall'articolo 703 cod. proc. civ. in ordine al termine a comparire, e per inappellabilità della sentenza in quanto rigettava eccezioni di nullità di procedura e di forma, ai termini dell'articolo 702 n. 3 cod. proc. civ. La sentenza impugnata mentre non ha dubitato nel fatto dell'irritualità della citazione a comparire nel termine di un mese, del rigetto di eccezioni di nullità di procedura e di forme, ha ritenuto inapplicabili al rilascio forzato degli immobili gli articoli citati relativi agli appelli da sentenze pronunziate nei giudizi di spropriazione. Ma se il rilascio forzato degli immobili costituisce una esecuzione, se in nessun altro luogo il Codice regola la materia, se l'applicazione delle norme comuni avverserebbe il fine della legge, la celerità richiesta dal sociale interesse, non potea negarsi l'applicazione al rilascio forzato degli immobili delle suddette disposizioni. Violazione degli articoli 703, 702, n. 3, fallace applicazione dell'art. 153 e violaz. dell'art. 56 cod. proc. civile.

  2. Ritenendo la Corte l'inefficacia dei giudicati del 1830 e 1836 nel rapporto degli aventi causa a titolo particolare abilitò alcuni degli appellanti ad esibire i titoli di acquisto. Ma la dottrina, che afferma e non dimostra, si ribella ai più certi canoni del dritto. Il successore a titlo particolare rappresenta l'autore, ed il giudicato reso con quest'ultimo non può non avere autorità ed efficacia contro il primo. Violazione 360, 361 e 517 proc. civile, violazione degli articoli 1350, 1351 cod. civ. e delle leggi 9 p. 2 lire, 11 p. 9 e 10 e legge 22 ff de essep rei judic.

  3. Ma non era questa la questione della causa. Bisogna esaminare, ed a questo esame fu formalmente invitata la Corte con capo speciale di conclusione se gli aventi causa potessero reputarsi terzi dopo aver riassunta l'istanza degli antichi appellanti. Seguita la riassunzione essi divennero parte del giudizio, ed in loro contraddizione furono dichiarati dal giudicato 23 novembre 1888 cosa giudicata le sentenze 1830 e 1836. Onde l'esame dottrinale intorno la efficacia dei giudicati verso i successori a titolo particolare era accademico ed esaurito. Ha osservato la Corte che colla riassunzione non avesse potuto venir meno la qualità di terzi acquirenti. Ma o rinnega l'effetto della riassunzione, quelli cioè di render comune l'istanza a chi la riassume, o fraintende l'eccezione ed omette di motivare. Ritenendo pure la qualità di terzi acquirenti eran parti nel giudizio ed il giudicato profferito in loro contraddizione dove a sortire effetto. Violazione degli art. 519, 360, 361, 262 e seg. c. p. civ., 1350 e 315 c. civ.

Per tali motivi chieggono i ricorrenti accogliersi il presente ricorso, costarsi la sentenza nei capi impugnati, rinviarsi la causa per nuovo esame ad altra sez. della corte d'app. di Napoli, restituirsi il deposito e condannarsi i resistenti nelle spese. Fatto con ampia salvezza di ogni altro dritto nel più ampio senso.

Napoli, 30 gennaio 1892.


Vincenzo Gennarelli

 

Fonte: V. Gennarelli, Inserzioni a pagamento, in «Gazzetta Ufficiale», 68, Roma, 21 marzo 1892.

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