8 dicembre 1943.
Piove, paesaggio triste e desolante. Tra movimenti di truppe, da quelle misere case rimaste si riversano sulla strada quelli che erano stati gli abitanti di Capracotta che, con le poche masserizie recuperate dalle macerie, con in braccio i bambini e [...] dai vecchi, percorrono la strada verso la Madonnina dove una colonna di autocarri è in attesa del carico. Nell'interno della chiesetta il saluto alla Madonna di Loreto tra lacrime e abbracci. È quello che potrebbe essere un viaggio senza ritorno. È convinzione comune che Capracotta, da quella mattina, sarà definitivamente abbandonata da quei figli che si stanno avviando verso una destinazione ignota.
Nel giro di qualche ora, il carico sugli autocarri viene ultimato e in colonna inizia il triste trasferimento. Gli automezzi attraversano le strade rese impraticabili dai bombardamenti, dal passaggio di mezzi militari di tutte le dimensioni e anche dalla pioggia. Si attraversano i paesi della valle del Trigno: Chiauci, Civitanova del Sannio, Torella del Sannio e ci si accorge che si va verso Campobasso. La gente di questi paesi guarda attonita questa colonna di autocarri inglesi con un carico di disgraziati provenienti dalle zone dove i tedeschi hanno fatto terra bruciata. Nel pomeriggio raggiungiamo Campobasso: sarà la prima sosta, in un accampamento allestito nella zona dei Cappuccini.
Rifocillati da un frugale rancio, trascorriamo la notte nelle tende. La nonna ottiene il permesso di trascorrere la notte a casa di un cugino residente a Campobasso (Ottaviano Di Nucci), che è venuto nel campo a prenderla. Sarà riaccompagnata al campo la mattina per riprendere il viaggio.
Al mattino si riparte.
La strada è quella delle Puglie. Nel pomeriggio veniamo scaricati alla stazione ferroviaria di Lucera dov'è in allestimento un treno merci con carri bestiame. Proseguiremo con quello: ma fino a dove? È la domanda che ognuno si pone, ma la destinazione rimane ignota. Neanche gli addetti alla stazione conoscono la meta di quel treno. Qualche voce accenna: Lecce, Tunisia, Algeria...
Lucera è sede di molte famiglie di Capracotta (massari, industriali boschivi, commercianti di carbone) per cui, avuta notizia che in stazione erano arrivati gli sfollati di Capracotta, approfittando delle loro conoscenze e amicizie nei vari ambienti, si sono prodigati per farli fuggire, per quanto possibile, a quell'incerto trasferimento.
Infatti in molti, eludendo la vigilanza dei militari inglesi e con l'appoggio del personale di stazione, sono riusciti ad uscire dalla stazione stessa per rifugiarsi presso dette famiglie. Anche i miei sono riusciti a uscire con l'aiuto della famiglia Carnevale (Magnapésce), presso cui hanno trovato rifugio. In stazione, a guardia di quel poco di roba [...] dalle macerie, siamo rimasti io e Fiore, avendo avuto assicurazione che presto sarebbero venuti a far uscire anche noi.
Intanto i militari ci hanno fatto caricare su un carro i nostri bagagli. Sullo stesso carro ci sono altre due famiglie: Eduardo Carugno con la moglie Dorina e due bambine, e Antonino Di Rienzo (Papparóne) con la moglie Maria e i figli, tutti piccoli.
Siamo ormai prossimi alla chiusura dei carri ma nessuno arriva in nostro aiuto. A questo punto non ci resta che una decisione: abbandonare tutto e cercare di uscire. Dalla stazione stanno uscendo gli operai addetti ai lavori della ferrovia. Non ci resta che mescolarci a loro e uscire, ed è quello che facciamo. Prendo soltanto una cassettina in cui sono custoditi i ferri da barbiere di mio padre e, con Fiore, mi infilo nella colonna degli operai. I militari inglesi, addetti al loro accompagnamento, non si accorgono di nulla, per cui, una volta fuori, ci fanno rompere le righe e ci lasciano liberi. Alle due famiglie raccomandiamo, per quanto possibile, la cura dei nostri bagagli, lasciando loro tutto ciò che può andare a male ma cercando di custodirci almeno quei pochi indumenti, non avendo niente altro che quello che indossiamo.
Una volta venuti a conoscenza della destinazione avremmo cercato di recarci a recuperarli.
Rimasti liberi fuori dalla stazione, e prima che scattasse il coprifuoco, riusciamo a farci indicare la casa della famiglia Carnevale, conosciutissima e stimatissima a Lucera. Giunti presso questa famiglia troviamo ammassati in diversi locali molti paesani sfuggiti a quel viaggio. Tra di loro, tutti i nostri familiari in ansia per me e Fiore.
Un grido di gioia al nostro arrivo e tanta rassegnazione per non aver potuto portare nulla del nostro bagaglio. Papà è contento di aver portato almeno i ferri del mestiere che lo avrebbero messo in condizione di lavorare.
Nonna ha un nipote anche a Lucera, zio Giacomo di Mamma Nenna, che è massaro presso la famiglia di don Antonio [...]. Saputa la notizia del nostro arrivo, viene a prelevarla per farle trascorrere una notte decente a casa sua. I Carnevale, a tutti quei presenti in casa loro, non fanno mancare un buon piatto di minestra.
La notte la trascorriamo su giacigli di fortuna e improvvisati. È solo la stanchezza che ci fa, di tanto in tanto, schiacciare un pisolino. Nei momenti di veglia discutiamo di quello che faremo il mattino dopo. Dove andremo? Zio Serafino vanta buone conoscenze e amicizie a San Severo ed è sicuro che in quel paese, dove risiedono molti capracottesi, commercianti di carbone, potremmo in qualche modo sistemarci. Alcuni componenti di queste famiglie si trovano insieme a noi, essendo rimasti coinvolti a Capracotta nella triste vicenda della distruzione e dell'esodo. Con il nuovo giorno sarebbero ripartiti alla volta di San Severo consigliandoci di seguirli e dove, per la solidarietà tra paesani, avremmo trovato sicuro rifugio e possibilità di lavoro.
Affidandoci principalmente alla energica decisione di zio Serafino, decidiamo di partire per San Severo.
10 dicembre.
Appena mattina, ci alziamo dagli improvvisati giacigli e, a gruppi, programmiamo il viaggio di quelli che hanno deciso di recarsi a San Severo. I Carnevale, proprietari, per la loro attività di industria boschiva e commercio di carbone e legnami, di diversi carretti e di 30 cavalli, hanno già organizzato il tutto mettendo a nostra disposizione i carretti e i cavalli.
Per San Severo partono tre carretti sui quali prendono posto coloro che hanno scelto quella località. Altri carretti partono per Biccari, Torremaggiore, S. Paolo di Civitate, Serracapriola.
Arriviamo a San Severo nel pomeriggio e veniamo scaricati, per desiderio degli stessi, presso la famiglia di Giacomo Carfagna, dove restiamo per qualche giorno. Il fratello di Giacomo, Raffaele, abitante in quello stesso quartiere, ci offre un suo locale in via S. Martino, metà del quale è adibito a deposito di carbone e carbonella. Noi occupiamo la parte anteriore, dove esiste un camino e un gabinetto senza porta: per porta adattiamo una tenda e lascio immaginare in che maniera si può usare in presenza di altre persone, anche se facenti parte della stessa famiglia.
Presso il Comune vengono formati gli elenchi degli sfollati per la consegna di indumenti da parte delle organizzazioni preposte al soccorso. Qualche buona famiglia del vicinato ci offre reti, una lettiera e un paio di brandine, riuscendo così a mettere su dei letti, adattandoci a dormire un po' ammucchiati.
Per il vitto non esistono molti problemi, anche se c'è il razionamento. Pane e farina si trovano in abbondanza: sono i generi di prima necessità che ti danno la possibilità di non soffrire la fame. Non parliamo delle verdure, che si sprecano, e del vino, che aiuta a dimenticare un po' le sofferenze. I primi giorni li trascorriamo a sistemare il locale, dopodiché ci mettiamo alla ricerca di un posto di lavoro.
Papà, avendo salvato la cassetta degli attrezzi da barbiere, trova lavoro al campo di aviazione americano di Torre dei Giunchi. Zio Serafino, esperto nel commercio del carbone e conoscendo la zona, per essere vissuto molti anni a Serracapriola, riprende a fare quella attività in compagnia di qualche altro commerciante. Fiore e Filuccio, essendo giovanissimi, trovano facilmente lavoro presso la cucina di una caserma americana.
A casa, quindi, non mancano i soldi, né mancano carne e pesce che, anche se in scatola, papà, Fiore e Filuccio riescono a portare dal campo di aviazione e dalla cucina dove lavorano.
Il mio problema è invece diverso. Sono un soldato sbandato dell'8 settembre; in Puglia non c'è stato sbandamento, per cui tutti i comandi militari sono rimasti in piedi. I tedeschi non hanno occupato la Puglia, che invece è stata occupata subito dagli inglesi e dagli americani. È stato questo il motivo per cui il Re e la sua famiglia, con il maresciallo Badoglio, si sono rifugiati a Brindisi, scappando da Roma e imbarcandosi a Pescara. Il comando militare italiano ha fatto affiggere nei comuni pugliesi il manifesto con il quale i militari sbandati erano obbligati a ripresentarsi al comando più vicino alla loro residenza per essere rinviati ai centri di raccolta, dando ordine alle forze dell'ordine (carabinieri) di procedere al fermo, anche per strada, dei giovani soggetti al servizio militare.
Tale stato di cose non mi consente di essere libero e di cercarmi un lavoro, per cui sono arivato alla conclusione di ripresentarmi alle armi, anche per ottenere il corredo che mi dia la possibilità di avere un cambio di biancheria personale, avendo addosso solo quella che avevo al momento dello sfollamento da Capracotta.
Mi ripresento quindi al Distretto militare di Foggia con sede a San Severo. Vengo presentato al Colonnello Comandante Morrone da un maestro di San Severo, conosciuto a Capracotta dove era venuto in villeggiatura, e il Colonnello, comprendendo la situazione, mi autorizza a rimanere, in qualità di scrivano, presso gli uffici di quel Distretto e mi assegna all'ufficio Mobilitazione. Ricomincio quindi la vita militare, ma in effetti di militare ho solo la divisa, e ogni tanto vengo assegnato al servizio di guardia presso il portone principale del Distretto, a pranzo mangio il rancio e la sera sono autorizzato a dormire a casa, e meno male...
In caserma, a causa della scarsità degli oggetti di casermaggio - coperte e pagliericci nei quali la paglia viene cambiata solo quando quella contenuta diventa polvere - e nonosante la disinfestazione effettuata con il D.D.T., portato in Italia dalle truppe americane, la fanno da padroni pidocchi e cimici.
Le giornate le trascorro come un impiegato.
Giuseppe Trotta
(a cura di Enza Trotta)