Capracotta, novembre.
Il pomeriggio dell'8 settembre 1943 a Capracotta fu momento di gioire per tutti, grandi e piccoli: la Radio Nazionale rese noto l'Armistizio, dichiarò la fine della Guerra e inosservate le condizioni imposteci dagli Anglo-Americani, tanto il desiderio di pace.
Nel pomeriggio di quell'8 settembre i capracottesi, festanti, si riversarono in processione alla Madonna. Si voleva ad ogni costo riprendere, per ringraziamento alla Madonna, la ricorrenza che sta a cuore ad ogni capracottese. Ci furono animate discussioni con le forze dell'ordine: alla fine fu deciso di portare la statua della Madonna dalla cappella al paese il giorno stesso e di riportarla il 10 alla cappella. Così avvenne con la partecipazione di tutto il paese.
Mentre si svolgevano i festeggiamenti della Madonna, stormi di aerei Anglo-Americani passavano su Capracotta con il loro carico micidiale. Non si sapeva, né si poteva supporre, che quel carico fosse destinato alla città di Isernia. Quattromila vittime civili di quella sfortunata città molisana. Anche qualche capracottese vi trovò la morte. Vi lasciò la vita un militare di questo nostro paese mentre tornava in famiglia.
Era il giorno della festa quando una macchina di militari tedeschi di passaggio per Capracotta si fermò nei pressi di una casa. I Tedeschi scesero per chiedere l'acqua e chiesero la strada per Bomba, in provincia di Chieti. Vi fu un malinteso: girò voce che i Tedeschi avrebbero sparato.
Vi fu subito un fuggi-fuggi generale. Molta gente, pur ignorando cosa succedesse, sol perché vedeva altri fuggire, fuggiva anch'essa. La località preferita di raccolta (almeno per quanti si trovavano in Piazza o per il Corso) fu la piazzetta dietro i "Grilli". Anche i cavalli fuggivano e correvano all'impazzata ancora con nastri, merletti e coperte di seta. Quindi si poté constatare che le intenzioni dei militari germanici erano tutt'altro che bellicose e tutti uscirono dal nascondiglio. Nei giorni successivi rientrarono a Capracotta quasi tutti i nostri militari sbandati a seguito dell'Armistizio. Verso la metà di ottobre i nazisti occuparono anche Capracotta. Il palazzo delle scuole fu adibito ad ospedale. L'arredamento scolastico fu gettato dalle finestre. Le piante furono tagliate per mascherare gli automezzi. Pure allora cominciò la razzia del bestiame, migliaia di pecore furono razziate.
Vaccine e maiali seguivano la stessa sorte.
Il rilevante patrimonio zootecnico di Capracotta, unica vera risorsa e ricchezza di questo paese venne così distrutto in poco tempo.
Giornalmente si assisteva al rientro di pastori senza il gregge. Tornavano con la sola parròcca e molte lacrime. All'ovile, intanto, centinaia di agnelli belavano e aspettavano la poppata: non sapevano che uomini malvagi avevano ad essi tolto madre e nutrimento.
Fu, quello, un tristissimo spettacolo che ancora oggi, nel ricordo, intenerisce e rattrista.
Qualche pastore riuscì a salvare parte del gregge, ma a prezzo di fortunati duri sacrifici: rimanendo cioè per qualche mese (ed era d'inverno) nascosto tra grotte, boschi e burroni, spostandosi ad ogni allarme.
Gli occupanti affissero per il paese un manifesto. Era scritto: "Si avvertono i cittadini che è severamente proibito dare asilo a prigionieri Anglo-Americani. I trasgressori saranno puniti con la pena di morte". Si sapeva che la zona di Capracotta era piena di Inglesi fuggiti dal campo di concentramento di Sulmona. La popolazione capracottese, subito dopo l'Armistizio, fu molto ospitale con questi prigionieri. Ma, dopo, la prudenza consigliava di starne lontano o di essere alquanto circospetti. Un giorno un uomo (era italiano e spia dei Tedeschi) si presentò nella masseria dei fratelli Fiadino. E per indagare se i Fiadino avessero dei prigionieri nascosti, disse che faceva passare il fronte a molti Inglesi prigionieri, ricevendo rilevante compenso. I Fiadino, convinti dal ragionare semplice, umano e pratico di quell'uomo, gli dissero che anch'essi avevano dei prigionieri nascosti nel bosco vicino. Fu la loro rovina.
La stessa notte di quel giorno la spia si ripresentò ai Fiadino insieme ai militari tedeschi.
Sotto la minaccia delle armi costoro si fecero accompagnare là dove i prigionieri inglesi erano tenuti nascosti. Tutti vennero caricati su un camion che ripartì subito. I Fiadino avevano aiutato i prigionieri inglesi per un atto di umana solidarietà e nulla sapevano del divieto tedesco. Dopo un sommario processo i tre Fiadino, Alberto, Rodolfo e Gasperino, furono condannati a morte e ricondotti a Capracotta per l'esecuzione della condanna.
Durante il ritorno Alberto esortò i fratelli a saltare dal camion in corsa e a darsi alla fuga: si trattava di giocare l'ultima carta, visto che la loro condanna a morte avrebbe avuto imminente esecuzione. I fratelli esitarono ma egli, con eccezionale prontezza, fu giù sulla strada e nel bosco vicino. Fu impossibile ai soldati ritrovarlo.
Corrado D'Andrea
Fonte: C. D'Andrea, La distruzione di Capracotta, in «Momento-Sera», XI:5, Roma, 5-6 gennaio 1956.