Capracotta per me era il posto più bello al mondo. Ci andavo spesso insieme alla mamma ed alle mie sorelle tutte le estati. Ed era molto bello ritrovarsi tutti insieme nella grande casa di famiglia. Lì ritrovavo i miei numerosi cugini, di tutte le età, gli zii ed il grande capo incontrastato capace di incutere rispetto ed obbedienza a tutti dai più grandi ai più piccoli: mia nonna, la mitica Mamma Rosa.
Mamma Rosa era alta, magra, viso scavato, zigomi sporgenti e lineamenti resi ancor più duri da un’espressione sempre corrucciata ed accigliata che sembrava voler esprimere disappunto e malumore perenni e, cosa ancor più sinistra, vestiva di nero con delle ampie gonnone che le conferivano un aspetto ancor più austero. Penso di non averla mai vista sorridere, quando parlava era solo per riprendere o per emettere giudizi critici ai danni di qualcuno, o per impartire insegnamenti inappellabili che io non condividevo ma che nessuno mai si permetteva di contraddire, neppure i figli più anziani.
Tra i nipoti prediligeva i figli dei figli maschi ed io, essendo figlio di una figlia, ne ero fuori. Questa palese ingiustizia mi inquietava ma mi guardavo bene dal manifestarlo anche perché ad essere un suo prediletto non è che si guadagnasse molto, forse qualche rimprovero in meno ma niente di più, quella donna era totalmente incapace di donare affetto e dolcezza, almeno in apparenza. Per fortuna il rapporto con i cugini e gli zii era tutt’altra cosa. In quel casermone, nonna a parte, c’era sempre una gran caciara ed un’atmosfera lieta e serena, si faceva tutto insieme e si condivideva tutto.
Ma Capracotta è stato soprattutto il luogo dove ho fatto le mie prime dolci ed indimenticabili esperienze adolescenziali. Lì ho conosciuto i miei primi fantastici amori giovanili, amori tanto intensi quanto di breve durata. Questo bellissimo paese di montagna in estate si popolava di giovani provenienti da tutta Italia, soprattutto da Roma, figli di capracottesi che per ragioni di lavoro erano andati via ma che immancabilmente tutti gli anni ad agosto tornavano nel luogo di origine con l’intera famiglia. Il paese era piccolo e noi adolescenti la mattina ci ritrovavamo tutti in villa dove ci si conosceva, si scambiavano esperienze, si parlava, si scherzava, si ascoltava la musica ed immancabilmente nascevano forti amicizie, simpatie ed amori estivi. La sera, invece, ci si ritrovava da qualche parte a ballare.
Io Laura la notai subito perché era molto carina ed aveva sempre intorno a sé un codazzo di ragazzi che le facevano la corte. La considerai subito un frutto proibito, un qualcosa di inaccessibile non solo per la mia insicurezza che mi faceva sentire inadeguato ad una ragazza così bella, ma anche perché era una sedicenne, aveva un anno più di me ed a quell’età era già un problema corteggiare le coetanee che pareva avessero tutte una certa predilezione per i ragazzi più grandi, una ragazza un po' più grande, poi, ne ero certo, non mi avrebbe nemmeno calcolato. Nonostante ciò, io non potevo esimermi dal lanciarle sguardi continui. Quando arrivava in villa, io sentivo imbarazzo perché mi imponevo di fingere indifferenza però finivo sempre col volgere lo sguardo verso di lei, era più forte di me.
Un giorno inaspettatamente ci ritrovammo a parlare insieme, da soli, e quando arrivò l’ora di pranzo, visto che abitavamo vicino, tornammo insieme a casa e così avvenne nei giorni seguenti. Nacque così una bella amicizia ma non provavo nemmeno ad andare oltre perché avevo paura di rovinare tutto, anche quella piacevole simpatia reciproca. I giorni passavano ed io andavo avanti con quel rapporto così bello ma che, ovviamente, non mi soddisfaceva del tutto. Un giorno verso la fine di agosto mi feci coraggio e decisi che non potevo continuare in quella incertezza e con un mio amico combinai che, quella sera, appena avessi cominciato un ballo con la mia amica, lui avrebbe spento le luci. Questo era un espediente che usavamo spesso con gli amici quando qualcuno ci voleva provare con una ragazza. Il ballo iniziò, come convenuto le luci si spensero, ma io non riuscivo proprio a fare la prima mossa. Ad un certo punto però sentii stringermi forte, sentii il seno della ragazza premere con forza contro il mio petto e subito dopo la bocca di lei che si faceva strada fra le mie labbra ed una sensazione di infinita dolcezza quando avvertii la sua lingua all’interno della mia bocca.
Una sensazione così forte non l'avevo mai provata, non mi era mai successo con le mie coetanee di sentire un abbraccio così forte ed un bacio così appassionato e coinvolgente, finora avevo provato solo l'ebbrezza di baci sfuggenti e balli guancia a guancia, niente di più, ed era questo che io, se avessi avuto coraggio, avrei provato a fare allo spegnersi delle luci.
Dopo un primo momento di completo smarrimento cercai di riprendermi ma ero completamente dominato e sopraffatto dalla intraprendenza della ragazza che invece dimostrava molta padronanza e sicurezza di sé. Era tutto molto bello ma mi sentivo completamente soggiogato in una situazione che mi vedeva totalmente in balia della mia amica. Pregai che le luci si riaccendessero al più presto ed anche grazie alle lamentele di alcune ragazze il mio desiderio fu esaudito.
A luci accese ripresi il controllo, la mia amica si ricompose e fu dolcissima con me per il resto della serata. Due giorni dopo lei ripartì e ci separammo con la promessa di ritrovarci l'anno dopo ma non fu così. Io Laura non l'ho più rivista ma mi è rimasto forte il ricordo di quella esperienza così bella e coinvolgente.
Pasquale Terreri
Fonte: P. Terreri, La polvere dentro, Keplero, Termoli 2020.