top of page

Don Carmine Sciullo, missionario senza frontiere



Si è detto che la nostra Congregazione è nata da un sogno. Ma anche la storia di ogni uomo ubbidisce a un sogno. Come quella di don Carmelo. A don Bosco è capitato così. E per un figlio di don Bosco? Il DNA è lo stesso: andare da sogno a sogno. Così successe per il nostro Carmelo. Sognò di studiare. Sognò di voler fare il salesiano come don Bosco. Sognò di imparare tante cose che servissero nell'incontro con i giovani. Per questo si impegnò ad imparare lo spagnolo, era colto e preparato in teologia, la sua predicazione era ricercata e suadente. Riusciva a piegare le difficoltà con la sua forza di volontà e con la costanza nell'impegno. Bisogna riconoscerlo: era tenace. Tenace, ma non amava mettersi in mostra, non amava mettere in mostra le doti e le conquiste raggiunte. Era pienamente convinto che non si può essere credenti attivi, senza sogni e senza desideri. Come don Bosco, fu inventore di molte piccole cose quotidiane, che servivano a rendere più lieta la giornata e più efficace l'intervento da educatore e da evangelizzatore. Fu ammirevole per la forza di volontà. Sapeva rinunciare a momenti di distensione e di riposo pur di riuscire negli intenti programmati. La felicità verso cui tutti tendiamo non dissipa la vita nella ricerca vana, affannosa, incerta. Erano chiare di fronte a don Carmelo le cose che voleva e che voleva realizzare. Sogni sì, ma anche ricerca voluta.

 

La realizzazione di un sogno: missionario in Argentina

Dopo una lunga insistenza ottiene il permesso di partire per l'Argentina il 21 settembre 1976. La sua destinazione era la provincia di Formosa, nel nord dell'Argentina, dove la comunità salesiana ha una solida presenza. Inizia così un compito arduo che si estenderà per un periodo di 15 anni. Quindici anni di passione e d'amore, passata attraverso le gambe e le mani. Un amore montanaro. Del resto ogni amore è montanaro, o non è; ogni amore tende all'alto, al profondo, alle altezze; di più, tende all'oltre. Lui ha usato le gambe ogni giorno per "salire" a trovare i suoi poveri, a correre per trovare aiuti per loro, a scuotere le coscienze, a raccogliere i giovani per dare loro un futuro.

«Comincio ad ammalarmi per questa terra, comincio ad amarla, comincia ad entrarmi nel cuore, negli occhi, nei sogni, – così scriveva qualche mese dopo l'arrivo in Argentina ad un suo ex allievo –. Sento che non potrei più vivere lontano da essa, piangerei a lasciarla, più di quanto ho pianto la mia terra. Comincio ad amare questa gente e questa realtà prima sconosciuta. Io sto vivendo i giorni più belli della mia vita. Qui non è necessario essere poeti o sentimentali. Basta avere un po' di cuore, un briciolo di fantasia e di grazia di Dio, per vivere felici questa vita di intense emozioni e superare tutte le fatiche. Fatiche ce ne sono, ma sono la moneta con cui paghiamo a Dio la nostra felicità». «Quando morirò – scriveva ai familiari – non importa l'età, vorrei essere seppellito qui a Formosa, là dove riposano i miei fratelli formosani. È il luogo dove ho intensamente vissuto e che amo di più, come Capracotta!». Ma come viveva in Argentina? Stralciamo da una lettera inviata ad un suo compaesano.

Carissimo Vincenzo, sono ancora vivo anche se ho quasi dimenticato da quanto tempo sono qui. Non c'è molto tempo per pensare ad altro. C'è sempre qualche cosa da fare. Ogni giorno c'è sempre una cosa nuova da imparare e non bisogna mai meravigliarsi. Qui non c'è il consumismo come in Italia, quasi quasi non ti accorgi che è festa. Ho imparato prima di tutto a semplificare la vita, a convivere con le cose più semplici, come il silenzio o le conversazioni elementari con gli altri. Insomma, la semplicità in tutti gli aspetti della vita: nel vestire, nel mangiare, nel discutere, nel pensare. La semplicità del vivere: nei rapporti umani, nella gioia e nella serenità della vita, nello spendere i soldi come nello scegliere un lavoro. Io cerco di copiare da loro questa semplicità, perché mi fa bene. A me non manca nulla. Ho raccolto le cose essenziali per vivere e sono felice di essere accanto a queste persone che ti amano, ti cercano, ti considerano uno di loro, perché parli la loro lingua, ti interessi delle loro difficoltà, perché porti loro il lieto annunzio dell'Evangelo.

L'Argentina è per don Carmelo la terra di missione e, allo stesso tempo, di passione. Da subito se ne affeziona al punto tale da considerarla sua seconda patria. Lavora con i settori emarginati, nella cura delle famiglie più bisognose, soprattutto negli aspetti spirituali, ma anche per quanto riguarda i servizi sanitari e sociali.


Dedica molto tempo per lavorare con gli uomini e le donne dei popoli indigeni, in particolare il gruppo etnico Toba: è riuscito a formare gruppi di giovani con i quali ha lavorato soprattutto nella formazione umana. Insieme alle suore della Congregazione religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha creato un centro di formazione lavoro, il cui obiettivo è quello di sviluppare le varie forme in artigianato (fabbro, carpenteria, confezione dei vestiti, lavorazione dei tessuti), uomini e donne che dopo il periodo di formazione professionale sono riusciti ad inserirsi nel mondo lavorativo. Lavora con tanto impegno in tutte le comunità parrocchiali: Pilar, Santa Rosa de Lima, Vergine di Caacupé, Santo Domingo Sabio, Vergine del Rosario e San Juan Bautista. Inoltre ricopre posti di grande responsabilità nella diocesi: è presidente della Caritas diocesana durante il periodo 1982-1987, in cui la provincia ha subìto uno dei periodi più difficili della sua storia, con un numero crescente di persone in gravi situazioni lavorative ed economiche. È assistente di Azione Cattolica, membro del Tribunale ecclesiastico, direttore spirituale del Seminario diocesano, vicario episcopale della Diocesi, compito in cui eccelleva come un fratello competente e comprensivo. In molte occasioni ha sostituito egregiamente il vescovo durante i periodi di assenza della diocesi. In campo civile si batte per le comunità aborigene, contribuendo in modo determinante nella promulgazione della Legge Aborigena n. 426 del 1985 il cui obiettivo principale è la conservazione sociale e culturale delle comunità aborigene, difendere il loro patrimonio e le tradizioni, migliorare le loro condizioni economiche, la loro effettiva partecipazione al processo di sviluppo nazionale e provinciale; e l'accesso a un sistema giuridico che garantisce la proprietà di terreni e altre risorse produttive sulla parità di diritti con gli altri cittadini. Il governo provinciale argentino ha voluto sottolineare il compito pastorale e civile svolto da don Carmelo a Formosa per 15 anni, dove ha lasciato un incancellabile ricordo nel cuore di quella popolazione, e nel 2008 ha intitolato un «Museo storico intitolato a don Carmelo Sciullo, sacerdote salesiano di Capracotta (Italia)». Il museo è stato allestito presso la parrocchia di Nostra Signora del Rosario nell'omonimo quartiere della città di Formosa. Ha iniziato le proprie attività su iniziativa di un gruppo di giovani per custodire gli oggetti di quegli uomini e donne che hanno segnato la storia del quartiere sotto l'aspetto civile e religioso. In particolare, nel suo percorso espositivo, mostra l'arrivo delle prime famiglie nel quartiere della città di Formosa con i loro usi e costumi a partire dall'anno 1967; contiene anche oggetti liturgici dei salesiani sin dal loro arrivo nella città di Formosa nel 1949, inginocchiatoi, leggii, libri liturgici in latino e oggetti personali di don Carmelo Sciullo.

In occasione del suo decimo anno di permanenza a Formosa, nel corso di una cerimonia ufficiale, il governatore della provincia, dottor Gildo Insfran, lo nomina «figlio adottivo di Formosa»: riceve la cittadinanza onoraria della città con la consegna della bandiera della provincia di Formosa. Il vescovo di Formosa Dante Sandrelli così si esprime:

Parlavamo a lungo, quando andavo a trovarlo. Ogni volta quasi una confessione anche per me. Parlavamo di Dio, della gente povera che bussava alla porta della missione. Viveva con quelle umili persone che da lui attingevano la fiducia nella vita e ricevevano un aiuto concreto nelle necessità quotidiane. Nei suoi discorsi generosi e nel sorriso innocente c'era una scintilla di eternità: era il missionario che cercava Dio. Non pensava neppure di ritornare in Italia: in lui si era spenta, quasi, anche la nostalgia. Ho incontrato un uomo felice, in pace con se stesso e con gli uomini: in questo contatto con la semplicità della natura e degli uomini ha trovato Dio. «Ho ripensato così alla mia idea di necessario – mi disse una volta –; tutte le cose che ritenevo indispensabili qui perdono molto della loro importanza, viste nella prospettiva giusta. E le cose che sprecavo ogni giorno come l'acqua, il cibo, qui acquistano ben altro significato». Sul suo viso non si leggeva alcuna solitudine, alcun rimpianto per quello che aveva lasciato dall'altra parte dell'oceano.
 

La rinascita di Vietri sul Mare

Un'esplosione di rinascita invade Vietri sul Mare quando arriva don Carmelo. I ragazzi si passano la voce per frequentare l'oratorio, dove nascono le più suggestive manifestazioni. Ognuno si sente considerato e accolto come unico e importante. Don Carmelo apre la città all'incontro con il nuovo oratorio. Sport e catechismo, gruppi di preghiera e impegno sociale, ascolto e allegria. Nasce la nuova vita salesiana dell'oratorio: musica, recitazione, calcio, spettacoli sono la fonte dell'animazione della gioventù vietrese: il Grest, l'oratorio che durante l'estate non va in vacanza, ma esce all'aperto nelle piazze e nei parchi della città; il M.A.O., Movimento Anti Ozio; gli incontri di calcio di genitori e figli, le scuole di musica, le gite, le attività teatrali. I gruppi associativi, le pratiche religiose e il catechismo. Un suo allievo ricorda: «C'erano una vivacità culturale e un fermento fino allora sconosciuti. Don Carmelo ha profuso a piene mani da quella riserva di energia umana e spirituale che sembrava infinita». Sapeva parlare agli adolescenti come pochi altri, don Carmelo. Riusciva meglio di tanti genitori a penetrare nel cuore dei ragazzi, specie i più diseredati. Ad amarli con l'intensità emotiva ma anche con il rigore morale che gli avevano insegnato la vita e l'apostolato di don Bosco. Il suo tempio era l'oratorio, il luogo di aggregazione per eccellenza, dove tante generazioni proprio là, nei cortili, hanno imparato a crescere, ad accettare le diversità, ad essere tolleranti e solidali.

Carismatico, coraggioso fin dai primi anni della sua missione sacerdotale, un vulcano di idee. «L'educazione è cosa di cuore e solo Dio ne è il padrone»: don Carmelo realizzò l'esperienza stessa di don Bosco con l'affetto e la simpatia viva e appassionata; sapeva intessere legami di vera amicizia, amava ciò che amavano i giovani. «Raccoglievi le nostre lacrime per trasformarle subito dopo in grandi sorrisi, con parole di conforto e coraggio». Amico, maestro e padre. Questo era don Bosco per i suoi ragazzi. «Questo è stato don Carmelo per noi».

 

"L'angelo del fango" dell'alluvione del 1954

«A chi mi domanda cosa rappresenta il distintivo tricolore che porto sul petto, che mi è stato appuntato quando mi è stata data la medaglia d'argento al valor civile, io rispondo sempre: è Vietri sul Mare, che porto sempre nel cuore!». Lo ha dichiarato commosso don Carmine Sciullo che, dal 1954 al 1959, è stato direttore dell'Oratorio salesiano di Vietri, ubicato all'interno di Villa Carosino, ospite d'onore della serata organizzata domenica 13 ottobre del 2012 al Teatro Don Bosco di Vietri; in occasione delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della tragedia dell'alluvione del '54. Il sindaco Francesco Benincasa, gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

«Don Carmine Sciullo, sprezzante del pericolo, cui coscientemente si esponeva, riusciva a condurre in salvo gran parte dei malcapitati al di là di un torrente in piena in condizioni estremamente difficili, anche per l'abito talare che indossava; attraversava a guado l'impetuosa corrente, organizzando il trasporto dei feriti ed il recupero delle salme»... Così recita la motivazione della medaglia d'argento concessa dal governo italiano il 6 dicembre del 1956, ripresa trent'anni dopo, nel 1985, per il conferimento della medaglia d'oro al valor civile. Salito sul palco ha raccontato quello che accadde in quella tragica notte del 24 ottobre 1954:

Intorno alla mezzanotte sentii bussare alla porta del mia abitazione che era ubicata sopra l'oratorio: era il mio amico Giovanni Zampa che mi avvertiva che alcune persone erano rimaste bloccate all'interno di Palazzo Caiafa che, travolto dalla marea fangosa, minacciava di crollare. Scesi subito. La strada era coperta da fango e detriti di ogni natura. Chiedemmo aiuto ai giovani e ai militari di Vietri e con le scale aiutammo molte persone a scendere dal palazzo e mettersi in salvo. Scesi poi a Marina di Vietri: alcune persone erano rimaste bloccate al di là del fiume Bonea, e nonostante indossassi l'abito talare, che mi impediva nei movimenti, attraversai il fiume in piena per salvarle. Al mattino, mi recai poi a Molina, dove entrai in chiesa per mettere in salvo il Santissimo Sacramento.

Don Sciullo organizzò anche il recupero delle salme e collaborò alla sistemazione dei sopravvissuti nelle scuole di Vietri: «A loro diedi delle coperte per la notte, del cibo, delle caramelle per i bambini ed anche alcune sigarette agli uomini».

 

Volontario della Liberazione nell'Alto Molise nel 1943-44

Don Sciullo, ormai sacerdote, viene inviato a Portici e, dopo qualche mese, nominato direttore. Durante il secondo conflitto mondiale, dopo lo sbarco di Salerno del 9 settembre del 1943, Capracotta in provincia di Isernia, fu bombardata e distrutta dall'esercito tedesco in ritirata, da giovane sacerdote salesiano si mette a disposizione della chiesa locale perché i pochi sacerdoti della zona erano sfollati in altre località. Gli abitanti sono sfollati in Puglia. Don Carmelo sente che il suo posto è lì tra la sua gente bisognosa di conforto. Preziosa fu la sua opera nell'assistenza alla popolazione, sia in loco, che nelle località più lontane e di collegamento tra le famiglie che erano rimaste divise. È un prete, per questo nel dicembre 1943 ottenne dal town major inglese di Capracotta il permesso di circolazione per la campagna e nelle ore di coprifuoco, uno dei pochi lasciapassare che gli alleati concedono, il numero 70, oggi ingiallito ma custodito tra i suoi ricordi più cari. Con gli sci ai piedi percorre lunghi chilometri tra le montagne di Prato Gentile per portare la posta, per dir messa in luoghi di fortuna, confortare chi ha perso tutto ed essere l'unico anello di collegamento tra familiari divisi. «Arriva don Carmelo», così lo chiamano ancora oggi i paesani. "Arriva don Carmelo" è stato l'unico sussulto di gioia risuonato in quegli anni. E don Carmelo non si è risparmiato. Lo stesso Comando alleato segnala quel «giovane prete che si è distinto nell'assistenza alla popolazione di Capracotta tra il 1943-44» (nota del Comando Alleato del 15 maggio 1944) e il Governo italiano il 28 settembre del 1945 riconosce a don Carmine Sciullo l'attestato di "Volontario della Liberazione nell'Alto Molise nel 1943-44".

 

Che cosa è rimasto...

Se volessimo cogliere la nota dominante, dovremmo dire che don Carmelo, più che uomo di entusiasmo, fu l'entusiasmo fatto persona. Egli faceva pensare a don Cagliero nel momento della sua significativa protesta: «Frate o non frate, io starò sempre con don Bosco». L'ebbrezza di vita e di lavoro non l'abbandonò un'ora sola. Entusiasmo e tenacia: due note che molto contribuirono al ruolo che più gli si addiceva, quello del leader. Gli studiosi di psicologia affermano che il leader è competente, attraente e trasparente: don Carmelo fu competente in salesianità, attraente per il suo carattere entusiasticamente felice, trasparente per la sua fermezza. Egli, pur essendo certamente un uomo che desiderava e cercava la pace, aveva indubbiamente la stoffa del combattente, era abituato cioè a lottare pacificamente, ma con tutte le proprie forze, per ottenere gli obiettivi che voleva raggiungere, per trasmettere quei valori evangelici che testimoniava innanzitutto con la vita. Anche negli ultimi anni, pur avendo piena consapevolezza della sua età e della sua salute, ha dimostrato sia una grande capacità di adattamento, sia una santa furbizia, che lo conduceva a percorrere tutte le strade possibili per ottenere quanto riteneva giusto e opportuno, al fine di aiutare qualcuno, indicare con discrezione e decisione che cosa si doveva fare per migliorare nelle virtù. Non gli mancò il dono della parola facile e trascinatrice. La fede caricava di entusiasmo il suo dire, per cui creava subito una profonda simpatia con l'uditorio. Gli si addiceva quello che potremmo chiamare: l'ingresso trionfale. La voce chiara, il gesto festoso ed il sorriso gioioso si facevano ala tra la folla ed aprivano immediatamente i cuori dei presenti. Era straordinariamente estroverso ed interamente proteso verso gli altri. L'amicizia per lui era l'ambiente vitale. Ogni persona, presto o tardi, doveva diventare suo amico. Ti conquistava...


Comunità Salesiana di Caserta

 

Fonte: http://www.salesianicaserta.com/, 20 aprile 2021.

bottom of page