Il primo anniversario della morte di don Orlando invita a ricordare e fare memoria della sua figura di prete a "tutto tondo", ripercorrendo in rapida sintesi le "coordinate" della sua vita sacerdotale e del suo ministero pastorale. C'è una distinzione tra ricordo e memoria che potrebbe tornare utile. Il ricordo è una duplicazione della vita, la memoria è fedeltà a ciò che è accaduto.
Don Orlando viene ricordato (= riportato al cuore) per la chiara testimonianza della sua vita e per il valore delle sue scelte. Se la sua perdita ha impoverito il presbiterio diocesano, dal quale si è congedato il 26 agosto 2014, siamo sicuri che il Regno di Dio si è arricchito di un degno rappresentante. La sorella Doretta, i fratelli Michele e Alfredo, i nipoti, i parenti, i parrocchiani di Pietracupa, gli amici e i paesani capracottesi hanno avvertito la sua scomparsa con profondo cordoglio e vivo rimpianto.
Ottanta anni compiuti (1934-2014): alta figura, larghe spalle squadrate, sorriso spontaneo, voce profonda e calda, mani ampie e accoglienti, incedere lento e sicuro creavano in chi lo ha avvicinato un’atmosfera di intimità. “Il passo fermo, lo sguardo fiero, la mano forte, sursum corda sempre!”, così lo definiva una sua parrocchiana. Colpiva soprattutto la passione che vibrava nelle sue parole, passione che aiutava non solo a scoprire i problemi, ma a viverli, soffrirli e risolverli. La sua parola arrivava efficace sia alla gente umile che alle persone colte, tracciando solchi profondi, seminando con larghezza semi fecondi. Passione per lo studio, per la Sacra Scrittura e la teologia, unita a rigore morale senza sconti, qualificavano il suo stile sacerdotale. Prete dallo scheletro robusto, richiamava “la stirpe degli asceti del Sirente e del Morrone, dei candidi ma saldi Angelerio” (papa Celestino).
Ho conosciuto Don Orlando fin dalla preadolescenza, quando i primi segni di vocazione sbocciano nel cuore di un ragazzo e crescono in famiglia, in Parrocchia, nei giochi di quartiere. Il quartiere di San Giovanni (quartiere nobile, si dice con sottile ironia a Capracotta) era ricco di spunti ricreativi, di tanta umanità e di ricche relazioni. Poi, dopo un lento e severo “cammino di discernimento vocazionale” è stato accolto nel Seminario diocesano di Trivento. Ho incrociato con lui tutti i passi della formazione umana, culturale e sacerdotale, condividendo sacrifici, sofferenze, rinunce e piccole gioie, temprate sempre dalla fiducia e dalla speranza di raggiungere la meta agognata del Sacerdozio. Eravamo 48 ragazzi che iniziavano l’erta dura e lunga di questo cammino. Soltanto 8 sono diventati preti, 4 nati a Capracotta: Don Michele D’Andrea, Don Michelino Di Lorenzo, Don Orlando Di Tella, Don Antonio Di Lorenzo (il più piccolo della squadra!). “Figlio di panettiere, Pasqualino “ru’ furnare” – ripeteva spesso con crudo realismo – non mi sono saziato di pane”. Alludeva alle privazioni, sacrifici e rinunce nel Seminario.
Preghiera e studio, coltivati nel silenzio, nell’attesa e nell’attenzione, erano i punti di riferimento di una formazione permanente strutturata come proposta sistematica di contenuti che si snoda per tappe e si riveste di modalità precise, curando la circolarità e la integrazione tra fede e vita, tra teoria e pratica. Fede e intelligenza ben coniugate con saggezza alla scuola severa del dovere e svincolate dal formulario della grammatica di sacrestia, hanno facilitato la risposta alla chiamata di Dio. Poi... il lungo cammino di 13 anni di formazione nei Seminari di Trivento e Chieti. Quando si è avuto la grazia di rispondere ad una chiamata, di camminare sorretti da validi formatori e di amare intensamente il proprio ideale, si spende tutta la vita a cercare di nuovo quell’ardore e quella luce.
Per Don Orlando non è mai bastata un’attrezzatura teologica (pur necessaria e insostituibile) sostenuta da uno studio serio, paziente, duraturo e senza soste. Ha ritenuto indispensabile una gestazione lunga di preghiera, di pensieri, di affetti, per far risuonare la parola divina nell’orizzonte aperto del cuore e dell’anima, in un intenso ascolto interiore. Per non divenire un arido esecutore di gesti sacri si è sempre dimostrato uomo di preghiera, di studio e di meditazione, con affinata capacità di ascolto e di contemplazione del volto di Dio come si è manifestato in Cristo. Ha “rimodellato” la sua preparazione secondo le esigenze dei tempi, i nuovi linguaggi e il cammino di fede della sua comunità parrocchiale. Con uno stile chiaro e coerente ha risposto all’esigenza di testimoniare efficacemente il Vangelo agli uomini del nostro tempo. Preparato e coraggioso, senza timori e ambizioni, convinto della verità del Vangelo, sempre pronto a chinarsi sulle sofferenze umane, era capace di coinvolgere e far sentire coinvolti i suoi fedeli nell’opera dell’evangelizzazione. Partiva dalla preghiera, piccola e fragile, e lasciava farsi condurre dalla preghiera nelle difficoltà e nel servizio pastorale. La complessità del ministero trasformava la preghiera e la rendeva simile a quella di un “pellegrino”, ritmata sui passi, fatta per la strada, custodita nel cuore. La sua preghiera, come la sua vita, si riempieva di incontri, di esperienze, di volti per i quali egli viveva e con i quali era “annodato” nell’amicizia umana e sacerdotale. La sorgente della preghiera, la ritrovava continuamente nell’Eucarestia e nella devozione alla Madonna. Preghiera sentita come gratitudine per infondere speranza e rinvigorire i cuori spenti. Gratitudine grande e bisogno di consegna, nella percezione del senso di peccato, di limite, di fragilità, con la sorpresa di trovarsi davanti a Dio che rinnova sempre la sua fiducia.
Carattere forte e volontà tenace, nella piena fedeltà alla vocazione sacerdotale, ha saputo infondere in coloro che lo hanno avvicinato la sete di Dio, intuendo nella contemplazione e nella riflessione teologica la chiamata alla santità, che è la vocazione fondamentale dell’uomo. La sollecitudine per un “apostolato della vita interiore”, il cui nocciolo è il “restare umani”, che non è una raccomandazione ovvia, ma essenziale e fondamentale, perché non indica fuga dall’impegno ma traduce viva partecipazione, spiritualità intensa e generosa disponibilità agli altri. Un filo conduttore si è snodato lungo questo percorso: la sua figura di sacerdote, il modo di esprimere nel quotidiano la sua identità incarnata, nella fedeltà a Dio che lo ha chiamato e all’uomo di oggi, al quale Dio lo ha mandato.
Convinto che non servono preti clericali, né preti funzionari, aveva lo sguardo fisso su ciò che davvero è essenziale per rinnovare il suo “sì” al dono ricevuto, lasciandosi conformare al Buon Pastore per ritrovare unità, forza e pace nell’obbedienza del servizio. Pastore attento al quotidiano come luogo di salvezza, Don Orlando avvertiva questa dimensione delicata e discreta, proprio per questo altamente preziosa, perché sentiva forte l’esigenza di vivere conforme a Cristo. In questa presenza trovava l’ispirazione vera, anche se non facile e talora molto sofferta, per una interpretazione della vita alla luce del Maestro che per primo è vissuto immerso nella quotidianità. Proporre questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria, calata nella esistenza concreta di tutti i giorni, per sentire e gustare le vie che il Signore riserva, era uno dei punti essenziali della sua spiritualità e della sua interiorità. Sapienza di vita e del cuore che derivava, oltre che dallo studio attento e aggiornato della filosofia e della teologia, soprattutto dalla capacità di “vedere dentro” (essere “dioretico”, come dicevano i Padri greci), di guardare profondamente il quotidiano per vederne le opportunità di ascolto, di compassione, di condivisione, imitando Colui che è passato tra la gente amando, guarendo, sorridendo, dando la propria vita.
Pastore che ha avuto una esperienza viva di Cristo, avendolo ”udito, visto e toccato” ha liberamente creduto al suo amore gratuito ed ha avvertito la necessità, direi quasi l’urgenza, di comunicare e trasmettere agli altri ciò che ha sperimentato in prima persona. La motivazione derivava dal sentirsi sollecitato dai tempi nuovi e dal cambiamento del quadro culturale complessivo. Nel cuore di chi ha aderito totalmente a Cristo nasce prepotente il desiderio di condividere il dono ricevuto e di “aprire ad una conoscenza esperienziale e amorosa” le persone che lo hanno avvicinato. Ha annunciato e testimoniato ciò di cui per primo ha fatto esperienza viva nella sua esistenza. Ha implicato tutto se stesso nell’ascolto, nel confronto, nel lasciarsi coinvolgere, nel suo incarnarsi nell’oggi, nel suo donarsi gratuitamente.
Quando il Signore vuol trarre qualcosa di buono lo fa con due elementi, che sono un pò la “logica di Dio” : ti schiaccia e ti attrae. Fa fare l’esperienza che da solo non stai in piedi, e attrae, facendo sentire un profondo bisogno di Lui, attirando a sé nella preghiera e nella comunione profonda. Don Orlando ha fatto sua questa semplice intuizione e l’ha sperimentata, nel ministero della confessione, negli incontri formativi e nei colloqui di direzione spirituale. Condividere per trasformare e per edificare la civiltà dell’amore: sono la trilogia della spiritualità del prete, i tre pilastri della spiritualità dell’incarnazione.
Nei numerosi colloqui personali, camminando lungo le splendide faggete di Prato Gentile, a Capracotta, ricordava spesso questa “logica di Dio” (ti schiaccia e ti attrae!) e descriveva “gli incubi notturni” che da adulto ancora avvertiva, nel ricordo vivo di un educatore che a volte “schiacciava” con il suo lucido autoritarismo e dava poco spazio alla libertà e alla spontaneità personale, nella crescita vocazionale.
Aveva ben compreso che il luogo dove Dio e l’uomo si toccano e si incontrano è il cuore di ogni persona, la fonte di tutte le energie fisiche, emozionali, intellettuali, volitive e morali. Il “cuore” : l’organo centrale e unificante che determina la personalità e, di conseguenza, è il luogo dove abita Dio.
Un pezzo della sua vita l’ha dedicata anche allo sport (calcio e volley), animando con la sua presenza i gruppi giovanili che seguivano i suoi insegnamenti, educandoli a vivere lo sport come festa ed esperienza associativa.
La devozione profonda alla Madonna, (guida spirituale fidata in numerosi pellegrinaggi nei Santuari Mariani), lo ha aiutato a superare ogni incertezza a compromettersi per Cristo, senza protagonismi da copertina, per divenire gioioso testimone del Vangelo fuori dalle sacrestie e indicare a tutti con entusiasmo un cammino di speranza. Ha fatto avvertire a chi lo ha incontrato che il rosso di sera non si è ancora scolorito.
Osman Antonio Di Lorenzo
Fonte: https://www.diocesitrivento.it/, 15 gennaio 2015.