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La donna e la mosca


Mosca

Il romanzo "Il vecchio e il mare" di Hemingway è, come si sa, tutto un intreccio di astuzie e di intelligenze tra l'uomo e un simpatico pesce, che induce a svariate riflessioni.

Forse perciò pensavo al grande scrittore americano l'altra sera mentre mi gironzolava intorno una mosca che ha preso stanza nella mia casa in questi giorni in cui l'autunno si annuncia stemperando gli ultimi tepori settembrini con fresche bordate di pioggia.

Anche tra me, che vado sbrigando i soliti lavori donneschi, e questa bestiola si è instaurato un rapporto di incontro-scontro, un dialogo con un interlocutore muto che esprime con giri di danza e rapide volute quel che gli frulla nell'occhiuto capino.

Certamente quel punto nero che vaga nell'aria è in possesso di un radar infallibile tanto preciso e immediato è lo scatto al minimo sentore di pericolo.

Non direi gradita la coabitazione con quest'essere vagante.

Apparteniamo a civiltà diverse: il suo popolo non conosco l'uso del bagno.

La mia convivente lo visita sì, ma per curiosare, per zampettare sulle maioliche e, magari, testimoniare il suo passaggio autografandosi con un puntino nero.

Ed è un caso se identifica, almeno, la finalità del locale, perché generalmente, si comporta come i Romani antichi, prima che Vespasiano provvedesse alle necessità naturali.

Anzi la mia ospite va oltre: esce dal bagno balbettando e si posa qua e là su piatti e vivande e, per quanto io la preceda ponendo coperchi e chiudendo gli stipi, essa ha sempre l'abilità di eludere le mie precauzioni.

Eccola, piccolo punto mobile intorno alle luci di un lampadario, danzare forse al ritmo di sognate melodie, adagiarsi su un cristallo, scendere in picchiata e scomparire per ritrovarsi proprio lì sul cestino del pane or ora affettato.

Ma ora attendo che torni a posarsi su un mobile e, appena giunge, cerco di catturarla avvicinandole lentamente un morbido panno per mandarla, senza farle male, a compiere fuori di casa le sue piroette in più ampie volute.

Ma in un attimo mi sfugge e, libera, già si diverte a sciare su un piano inclinato.

Poi scompare, acquattandosi chissà dove e riappare flessuosa, ondeggiante, forse intonando un peana col suo impercettibile fiato.

Non è la prima volta che mi capita di ospitare in autunno una mosca che, come rondine tardiva, indugia nella mia casa e misegue di volta in volta appena accendo e spengo le luci da una stanza all'altra.

E, ogni anno, i soliti problemi.

Oggi ho ospiti e lei non capisce, mi sfugge attirata dallo scintillio dei cristalli e degli argenti, si posa sulla mensa imbandita, gironzola sui piatti e si ferma su un appena visibile granello di pane.

È troppo, deve andarsene: chiudo gli scuri in ogni stanza per deviarla verso una piccola striscia di luce nel vano di una finestra; la rinserro agitandole addosso la tenda, spalanco la finestra e - finalmente - esclamo vittorisa:

– È fuori.

Macché, dopo un po' rieccola, rivitalizzata da quella boccata di ossigeno, si dà, impazzita, a rivisitare le stanze planando sui mobili e raggiungendo in un batter d'occhi i soffitti.

Di lì tu spia per venirti a carezzare i capelli e ripartire per riprendere la sua carmagnola.

Di nuovo volteggia, s'ecclissa, ritorna, scende nel basso sul pavimento, si ferma ad analizzare possibili cibi e subito aleggia verso l'alto.

È la sua civiltà: il suo popolo non ama gli infimi strati: nutrirsi appena e volare, sempre volare su su ad esplorare gli spazi.

– Le mosche si uccidono, sono dannose – mi dice un'amica di cui non faccio il nome per evitarle le contumelie degli animalisti. – Non puoi emulare Tobia; erano altri tempi allora, altra civiltà. Oggi non siamo immunizzati; non siamo protetti da simili untori.

Mi convinco che ha ragione e torno a mettere in atto il mio morbido panno.

Lo avvicino pian piano, pian pianino in un raro momento di distrazione per lei e, infine, la chiudo dolcemente nel tessuto, la libero verso il cielo azzurrino e, infine, la vedo allontanarsi, sempre più piccola, ormai invisibile.

Annotta.

Lascio i lavori consueti e seguo su Raitre la serata d'onore di Giuseppe Verdi condotta dal prof. Mirabella.

Si affollanno nella mente i ricordi.

Il pensiero torna ad Hemingway, già, gli animali...

Ricordo un'altra sera di solitudine in ascolto di note verdiane.

L'eleganza festosa del celebre brindisi mi porta istintivamente a muovere le mani e le dita seguendo il Maestro d'orchestra e lei, riapparsa come uscita dal nulla, si dà a ritmare con me le fervide note del canto, lei, spirito dell'aria, elfo gioioso che ama la musica e si mescola tra gli uomini, lei, la volante, sublime, incantevole mistero tra gli infiniti misteri del cosmo.


Elvira Santilli

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