Con Filippo Di Tella ho due cose in comune. Innanzitutto proveniamo dal medesimo ramo familiare, re Culieàngele, ossia i discendenti di Nicolangelo Di Tella: si dice che chi appartenga a questa razza non si spaventa del lavoro manuale ma, d'altronde, presenta pure un solo grande difetto: la testardaggine.
La seconda cosa che sento di avere in comune con Filippo è qualcosa di non misurabile ed è l'amore per Capracotta.
Sono anni che Filippo lavora a questo libro e, assieme, abbiamo rivisto ogni scritto affinché il racconto personale assumesse carattere collettivo, com'è giusto che sia per i ricordi legati a una piccola comunità. In realtà la nostra comunità proprio piccola non è, giacché andrebbe considerata la natura transnazionale della gente capracottese, sparsa ai quattro angoli del pianeta ed ancor oggi legatissima a quella piccola, lontana, patria avita.
Nel suo libro Filippo Di Tella ci racconta che "C'era una volta Capracotta" e, per far ciò, passa in rassegna 100 fonti sparpagliate sul nostro territorio.
Questo libro, insomma, gronda acqua e memoria.
A ben vedere Capracotta è una riserva d'acqua per tutti i paesi di valle - tanti i toponimi legati alla lama (avvallamento acquitrinoso) - ed infatti il suo terreno, dove non vi son pietre, appare spugnoso - Spogna si chiama la più antica tra le sue sorgenti. L'acqua di Capracotta, poi, sa prendere la forma della neve quando le stagioni s'imbufaliscono e le fonti ghiacciano, cristallizzando il ciclo vitale della natura, finché tornano nuovamente a sprigionare in primavera il loro getto dirompente.
Tra le righe di Filippo Di Tella vi sono le storie di pastori, di carbonai e di contadini in cui rivedo i miei nonni, vi sono le avventure giovanili del secondo dopoguerra che mi ricollegano a mio padre, vi è insomma tutto il brulichio di chi ci ha preceduto.
Il bello è che chi conosce poco la campagna capracottese scoprirà in questo libro fonti di cui nemmeno immaginava l'esistenza. Tante altre, ahimé, sono scomparse dal territorio e dalla memoria. Il maestro Domenico D'Andrea, a suo tempo, denunciava che «per le mutate condizioni di vita e di lavoro, gli interessi sono rivolti altrove e i nomi delle sorgive di campagna sono andati in disuso. Alcune di esse si sono disseccate o disperse. I piloni per l'abbeverata, di cui molte erano dotate, sono in frantumi. Le cannelle dell'acqua, rotte o scomparse. Non c'è più interesse a mantenerle in vita. L'oblio le sta ricoprendo. Forse un giorno, quando l'amore per la montagna e le sue nascoste bellezze prodigiosamente rifiorirà, ci si riprenderà cura delle vecchie fonti campestri e boschive».
Prendiamo ad esempio la Fonte del Duca, un "nobile" fontanile, tra i più distanti dall'abitato di Capracotta, il cui nome è dovuto al fatto che si trovava all'interno dei possedimenti del Duca di Capracotta: quella bellissima fonte è oggi in avanzato stato di abbandono e, nel vederla così, duole il cuore.
Ma il giorno prefigurato dal maestro D'Andrea sta forse per venire.
Grazie al lavoro di ricerca portato avanti in questi anni ho scoperto, su alcune piante topografiche del 31 ottobre 1812, alcune fonti di cui si ignorava l'esistenza, come la Fonte dello Iaccio del Bove, la Fonte del Lupo, la Fonte del Meluccio, la Fonte di S. Maria, la Fonte del Trocco di Lemme, la Fonte della Veticara, tutte localizzate nella contrada di Macchia. Stessa sorprendente scoperta ho fatta circa le aree di Monteforte e dell'Ospedaletto, dove un tempo vi erano la Fonte del Padulone, la Fonte della Parchesana, la Fonte di Pietra Campanile, la Fonte di Pietra Pomponio, la Fonte della Pignatara, la Fonte di S. Simmaco o la Fonte Vecchia.
È legittimo pensare che alcune di queste fonti esistano ancora e che magari abbiano solo cambiato nome, com'è già accaduto per la Fonte Ariente (registrata Fonte d'Argenzio) o per la Fonte Cupello (un tempo Fonte delle Cupelle, dal latino cupella, piccolo vaso). È altrettanto legittimo organizzare quanto prima delle spedizioni per rintracciare queste antiche fonti che - giova ricordarlo ancora una volta - rappresentano la memoria dei lavoratori capracottesi.
Il libro di Filippo Di Tella, insomma, è sì un esercizio di memoria ma è anche e soprattutto uno sprone a riscoprire con maggior consapevolezza quest'amata Capracotta, la terra dei nostri padri.
Francesco Mendozzi
Fonte: F. Di Tella, C'era una volta Capracotta con le sue 100 fontane, con i suoi 942 nomignoli, con i miei evanescenti ricordi, Capracotta 2022.