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C'era una volta la Torre


Torre di Capracotta

Ritengo qui opportuno, anzi doveroso, esporre la storia dell'abbattimento della Torre dell'orologio che si era appena conclusa. Un argomento che da logistico, paesaggistico, strutturale, diventò vicenda di bassa disputa politica con risvolti di particolari interessi personali.

Non esiste capracottese che, ovunque risieda, non abbia esposta in casa una fotografia della torre millenaria che era situata nel punto di convergenza di via Carfagna e di via Roma con la piazza Stanislao Falconi, là dove oggi sorge un'attraente fontana ideata dall'architetto Salvatore Santilli con accanto una miniatura della torre riprodotta dal sarto "la Parrocchia". La torre, dai più giudicata di epoca medioevale, viene da molti ritenuta una costruzione preromana per la suggestiva contemporanea esistenza dei numerosi reperti archeologici rinvenuti in tutto il comprensorio, tra cui le mura ciclopiche, Macchia Strinata ed anzitutto la Tavola Osca. La Torre, insieme ad un'altra torre documentata dalla residua torretta privata tuttora esistente, era situata all'ingresso nord-ovest della Terra Vecchia, un'autentica fortezza a difesa del primo insediamento della comunità capracottese di razza sicuramente sannita. Si presuma che un altro ingresso si trovasse a sud-est della fortezza, presso la Chiesa Madre verso San Rocco.

Alla base della Torre, in un'epoca successiva, venne collocata, in un'apposita nicchia, la fontana da cui attingevano l'acqua tutti gli abitanti della Terra Vecchia.

Nel XVI-XVII secolo venne installato l'orologio a pendolo con la campana posta sulla vetta della Torre e da lì i rintocchi si diffondevano per tutto il paese, che dalla Terra Vecchia era andato man mano estendendosi.

Non sono in grado di affermare che ci siano mai state, negli anni dei miei ricordi, attenzioni di sorta circa la manutenzione della Torre; era strutturalmente solida e si sviluppava dalla base verso la vetta con una forma tronco-conica moderata che ne garantiva la massima stabilità. Durante la Seconda guerra mondiale, quando il paese era stato direttamente coinvolto dagli eserciti e fortemente scosso dalle cannonate sparate verso la sponda nord del Sangro, contro i Tedeschi in ritirata, comparvero sulle mura della Torre, in prossimità della nicchia della fontana, le prime crepe che, da lì, si sono col tempo allargate verso l'alto, fino all'altezza dell'orologio, minacciando il crollo della parete esterna del muro, già in parte diroccato. Finalmente negli anni Cinquanta si decise di correre ai ripari con l'intento, vanificato, di restaurarla. Alla fine dei lavori, rimosse le impalcature, ecco lo spettacolo.

La Torre era stata letteralmente, irrimediabilmente cancellata da una murata di bolognini (bugne) e da intonaci di cemento. Il tetto a lisce era stato rimosso e sostituito da un terrazzo in cemento armato, recintato da una ringhiera in ferro. In concreto la Torre, la testimonianza delle origini e di secoli di storia della nostra comunità, era stata distrutta nell'assoluta incoscienza e nella totale irresponsabilità degli amministratori. Nessuno, prima di eseguire i lavori, si era minimamente preoccupato di ricercare sul vocabolario il significato della parola "restauro".

La ditta appaltatrice, nell'eseguire i lavori, aveva adoperato tutti i bolognini elaborati nei cantieri della disoccupazione ed ammucchiati in prossimità del campo sportivo, veri diamanti! Altri che quelli di Ferrara. Ogni bolognino era costato giorni, anche settimane, di scalpello per lavorarlo; a quei cantieri avevano partecipato tutti i disoccupati del paese: operai, sarti, calzolai, pittori; immaginarsi un sarto passare dall'ago e filo allo scalpello, oppure il calzolaio dalla lesina e lo spago al piccone, il pittore alla pala e la carriola.

Unanime fu la condanna della popolazione, ad eccezione del sindaco pro tempore e degli altri amministratori, i quali, poco a poco, riuscirono ad accrescere consensi, trasformando la controversia in disputa di bassa politica. Ne conseguì una spaccatura tra sostenitori ed oppositori. Con i sostenitori si schierarono, è ovvio, la ditta che aveva fatto i lavori e colui che li aveva voluti.

A questo punto intervenne Noè Ciccorelli, che elaborò un progetto che prevedeva l'abbattimento della Torre e delle abitazioni retrostanti, con l'intento di creare un lungo camminamento rettilineo che, dalla Chiesa di Sant'Antonio, attraverso il Corso, la piazza del Municipio e via Carfagna, avrebbe raggiunto la Chiesa Madre. Durante i lavori della demolizione i proprietari delle abitazioni attaccate alla Torre ottennero la sospensione giudiziaria dei lavori, con lo scopo di salvare l'abbattimento delle loro case. Ne seguì un falso compromesso che consentì la demolizione della Torre salvando dall'abbattimento le abitazioni retrostanti. In definitiva, con l'intervento del cosiddetto "restauro", venne distrutta la Torre; col secondo intervento non fu realizzato il lungo corso. Lo spettacolo che si scorge oggi si può definire con una parola unica: brutto.


Antonio Di Nardo

 

Fonte: A. Di Nardo, Sfogliando le memorie, Mancini, Tivoli, 2005.

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