Ernesto Di Tella è un altro intervistato. Subito dopo l'intervista si è ammalato.
Grazie a lui ho avuto molti dettagli sulla storia dell'emigrazione e sui problemi di integrazione. Ernesto è sposato con una donna olandese.
Anche lui, come Gino Scalzo e Gino Infosino, è stato presidente dell'Associazione Italiana di Delft.
A proposito di scambio culturale, mi ha raccontato che in casa si parlava olandese con i figli. Alla mia domanda su come si facesse a insegnare ai figli l'italiano, mi ha detto che durante la settimana non era possibile, lavorando fino a tardi la sera, passare molte ore con loro parlando italiano. Per questo motivo l'educazione era affidata alla donna, che naturalmente parlava con il proprio figlio la lingua madre. Era difficile per lui far mantenere la lingua italiana al figlio. Tuttavia colpiva molto questo particolare, confermato dagli altri italiani, che c'è proprio un Gevoel, «un sentimento» molto forte per la lingua e la cultura italiana da parte dei giovani della seconda generazione. Quindi è stato facile per loro andare in Italia, anche senza parlare la lingua, ed imparare subito a capirla e parlarla, a «sentirla la lingua». Per dirla all'olandese: il Taalgevoel, il sentimento per la lingua.
Il ruolo dei genitori italiani, soprattutto degli uomini, era quello di trasferire l'amore per l'Italia ai propri figli, attraverso racconti sulla famiglia, sul luogo in cui erano cresciuti, sul paese.
Ernesto mi ha raccontato con grande soddisfazione che suo figlio cerca una casa proprio a Capracotta, nel paese da cui la sua famiglia proviene.
A proposito delle descrizioni della famiglia e dell'Italia fatte dai genitori italiani ai propri figli, ecco un brano tratto dall'intervista a Ernesto, in cui racconta la capacità del figlio di riconoscere suo nonno, sebbene non l'avesse mai incontrato prima. Questo per me è significativo per capire cosa provano i giovani della seconda generazione nei confronti dell'Italia.
L. B.: «Ha trasmesso l'amore per l'Italia a suo figlio?».
E. D. T.: «È successo un fatto davvero strano quando lui aveva quattro anni. Dalla descrizione che gli avevo fatto io di mio padre è riuscito a riconoscerlo quando siamo andati insieme a Capracotta. Eravamo nella piazza. Da lontano vede scendere un signore con le vacche e lui comincia a urlare: "Nonno! Nonno!". Era un signore con le vacche, ed era mio padre. C'erano sulle montagne alcuni signori con le vacche, ma lui quello con il bastone, con il cappello lo aveva riconosciuto subito. Si mise a correre, e gli infilò la manina dentro la sua mano. Mio padre lo guardava sorpreso. Si diceva: "E chi è questo bambino, questo rosso?". Lui diceva "Daniel Daniel", l'altro "Nonno nonno" e si capirono. Mio figlio parlava olandese e mio padre capracottese. L'istinto di mio figlio in quell'occasione è stato incredibile».
Laura Briganti
Fonte: L. Briganti, I processi di integrazione di tre generazioni di italiani a Delft, in «Il Presente e la Storia», II:75, Ist. Storico della Resistenza, Cuneo, giugno 2009.