Nota del dott. G. Albo
Su, su in alto, in mezzo ai boschi, al di sopra dei mille metri sul mare, ove il fremito della foresta e lo scroscio dei torrenti sono le voci più comuni; ove le vie, non ampie non frequentate, attraversano boschi e burroni e s'inerpicano su, quasi a perpendicolo, per raggiungere le maggiori altezze; ove l'aria è pura e semplice la vita; ove il fascino della montagna si esercita singolare sull'animo umano, quivi i pensieri nascono più elevati, quivi si sente più forte il piacere della salute e della vita.
Scrivendo queste linee, ho nella mente Pescopennataro e Capracotta, due borgatelle del Molise sperdute tra foreste di abeti e di faggi secolari, alle falde di Monte Campo e di Monte Capraro. E ricordo con un senso di profonda nostalgia i magnifici boschi ove passai varie ore ed i monti più alti ed i burroni profondi e precipiti da me visitati.
Come muta la scena da valle a valle, da salita a salita: il paesaggio botanico si rinnova continuamente; le specie vegetali che nella pianura hanno maturato i loro frutti, quassù non sono ancora fiorite, e quelle che sono in fiore mutano i colori delle corolle da monte a monte, e coi colori mutano le forme e le proporzioni del loro corpo.
Le specie che vivono in pianura hanno caratteri profondamente diversi dalle specie che vivono sui monti. Eppure la differenza, spesso assai marcata, tra gli individui di una stessa specie, di cui alcuni vivono in montagna ed altri giù nel piano, non è ereditaria secondo l'affermazione di molti autori.
Intanto, se non sono ereditarie le variazioni notevoli dovute all'influenza dell'altitudine, del clima, dell'ambiente così diverso tra i monti e il piano, e se l'idioplasma specifico per tali fattori neppur esso subisce modificazione di sorta, le differenze somatiche che notiamo negli organismi, debbono considerarsi come variazioni semplicemente individuali, almeno nella loro massima parte. E se ciò ammettiamo, dovremo anche ammettere che l'inizio di nuove specie non dipenderà da condizioni esterne, ma da cause interne a noi sconosciute, contrariamente a tutte le teorie evolutive di tanti naturalisti di grande valore, da Lamark a Naegelis, da Atanasio Kirker a Darwin, da Weismann a De Wries.
Ora, considerando la specie vegetale in mezzo ai boschi foltissimi, sulle rupi più alte e più brulle, e nelle valli più profonde e coperte di verde e di fiori; considerando il polimorfismo più o meno accentuato per ogni specie, le forme e le varietà in confronto con le piante corrispondenti dei luoghi ubertosi del piano, abbracciando col pensiero chiaroveggente tutti i lati dell'argomento importantissimo, l'evoluzione della specie spicca con evidenza singolare e, senza dubbi di sorta, s'impone allo spirito degli studiosi.
Ma, quando poniamo questa verità in confronto con le varie teorie evolutive che tentano di spiegarne il meccanismo, la quistione si aggroviglia, direi quasi si abbuia: certamente lo spirito non resta pago delle spiegazioni che si danno della filogenesi, per quanto tra le varie teorie quella dell'Ologenesi sembri fra le più accettabili.
E poiché ho anch'io qualche cosa da dire in proposito, è mia intenzione tornare con più comodo sull'argomento ed intanto ripiglio l'ascensione sui monti di Capracotta.
Giacomo Albo
Fonte: G. Albo, Un'escursione in montagna: Pescopennataro-Capracotta, Maltese Abela, Modica 1919.