Lo stereotipo dell'antico predicatore è quello del gesuita di nero vestito, del domenicano in veste bianca o del cappuccino francescano coperto da un rozzo saio, in ogni caso quello di un prete che si sbraccia, ammonisce la folla per i peccati del mondo ed annuncia la gloria del mondo che verrà.
In realtà la predicazione è stato il mezzo più efficace per diffondere il Vangelo, anche se, dopo la grande crisi religiosa del XVI secolo e le conseguenti guerre di religione, la predicazione assunse, dal Seicento in poi, un valore strumentale.
Per le funzioni solenni, ad esempio le prediche dell'Avvento e della Quaresima, occorrevano spazi vasti, capaci di accogliere folle numerose o almeno la totalità dei fedeli di quel dato luogo. Una predicazione gesticolante ed ampollosa, unita alla ricerca di effetti visivi e drammatici, rappresentavano così il modo più semplice per far colpo sul pubblico, quasi sempre analfabeta.
I temi tipici dell'omiletica (arte della predicazione) settecentesca erano rivolti a far intravedere delle realtà ottimistiche, come la felicità eterna e la vita nell'aldilà. Nelle prediche si preferiva percorrere il cammino verso il paradiso associando al pensiero della beatitudine celeste quello dell'inferno. Nei sermoni non mancavano elementi spettacolari, come quando, «verso la fine della predica spesso [il predicatore] si calcava in testa una corona di spine e sulle spalle nude con una disciplina di ferro cominciava a pestarsi la carne. Non contento, con un sughero rotondo incassato in una scatola di latta, armato di spille e di aghi, si batteva forte il petto, facendosi uscire il sangue in gran copia davanti a tutto un popolo che piangeva e implorava misericordia».
Gli effetti erano strepitosi: confessioni di massa, conversioni a fiotti, paci tra famiglie in guerra, tra paese e paese, bando del gioco e delle canzonette oscene.
Il predicatore, dal canto suo, doveva padroneggiare il latino, il greco, l'ebraico e l'italiano. Ma soprattutto era necessario conoscere la dottrina. L'ascendente sociale del predicatore derivava in gran parte dalla sua effettiva capacità di rimproverare gli ascoltatori e di richiamarli all'adempimento dei loro doveri: compito particolarmente delicato quando si trattava di notabili e ricchi proprietari, gente che teneva sotto scacco la popolazione.
La predicazione, insomma, era presente in quasi tutte le situazioni della vita collettiva di allora e persino l'aspra e montagnosa Capracotta non sfuggiva a tale consuetudine. In realtà, più che di consuetudine, trattavasi di obbligo per la comunità locale di sostentare il predicatore di turno. E questi, a loro volta, sulla base del loro talento e del successo, avevano dei cachet più o meno alti da corrispondere.
Gli eccessi del periodo barocco portarono, nel 1743, il Regno di Napoli ad emettere un «dispaccio per l'affare dei predicatori», col quale si intendeva fissare la contribuzione dell'elemosina da parte della università del Regno. Con quel provvedimento il sovrano Carlo di Borbone intervenne per regolamentare e uniformare le procedure di nomina dei predicatori di Avvento e Quaresima, richiamando vescovi ed amministratori all'osservanza dei rispettivi obblighi. Michele Mancino ipotizza che «fu forse a seguito di queste e di altre misure che cominciarono a manifestarsi più frequentemente, nelle comunità del Meridione, i segni di una progressiva disaffezione nei confronti della prassi secolare dei cicli di predicazione annuale».
Grazie agli atti dei processi della Delegazione della Real Giurisdizione, conservati presso l'Archivio di Stato di Napoli, sappiamo che quella disaffezione portò ad esempio gli amministratori di Capracotta, nel 1785, a chiedere ufficialmente al vescovo Gioacchino Paglione la facoltà di venire esentati dall'obbligo di provvedere al predicatore. Quell'anno, insomma, Capracotta fece la sua piccola Rivoluzione francese, quattro anni prima degli Stati generali che daranno il via al più grande stravolgimento della storia occidentale.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
A. Caruso, La Delegazione della Reale Giurisdizione e il suo archivio, in «Archivi», VII:2-3, Roma 1940;
Delegazione della Real Giurisdizione. Processi, vol. III, b. 1550, Archivio di Stato di Napoli;
M. Mancino, Il costo della predicazione nell'Italia moderna: criteri di finanziamento e dinamiche conflittuali, in U. Dovere (a cura di), Chiesa e denaro tra Cinquecento e Settecento. Possesso, uso, immagine, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004;
C. De Frede, Benedetto Croce e l'Archivio di Stato di Napoli, in AA.VV., Per la storia del Mezzogiorno medievale e moderno. Studi in memoria di Jole Mazzoleni, vol. I, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma 1998;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016.