Lucio Anneo Seneca affermò che «è l'animo che ci rende nobili: da qualunque condizione sociale esso può sollevarsi al di sopra della propria fortuna». Questi nostri antenati, fossero o meno consapevoli di quanto scritto dall'illustre filosofo, possono essere considerati un esempio di concretizzazione di questo pensiero. Nel giro di qualche generazione i Falconi hanno modificato la loro posizione sociale raggiungendo elevate dignità ecclesiastiche, le più alte cariche istituzionali del Regno delle Due Sicilie, e del Regno d'Italia, giungendo ad essere trattati familiarmente dai sovrani borbonici. Sono stati addirittura nominati Pari del Regno, in persona di Stanislao Falconi.
La transizione della famiglia da una condizione ordinaria ad una illustre, passa attraverso l'esercizio della redditizia attività collegata all'istituzione della Regia Dogana. Quest'industria armentizia non disdegnata, grazie alla sua elevata redditività, dalle grandi casate nobiliari né da quelle cosiddette civili rappresentava una non indifferente fonte di guadagno per i cosiddetti "grandi locati", coloro cioè che possedevano un elevato numero di capi di bestiame, normalmente superiore alle duemila unità.
Nei documenti antecedenti il XIX secolo il nome della famiglia è indicato come Falcone, mentre nei registri di stato civile del 1800 viene trascritto come Falconi.
A partire dal XIX secolo, i Falconi esercitarono i diritti di jus patronato sugli altari dedicati alla Madonna del Rosario ed a S. Pietro Apostolo, all'interno della chiesa matrice.
Il legame genealogico tra chi scrive e la famiglia Falconi è rappresentato dalla mia trisava Maria Rubina Falconi. Dall'atto di nascita si evince che Maria Rubina nacque a Capracotta il 20 giugno del 1814 dalla signora Maria Illuminata di Ciò e dal signor Eustachio Falconi, di professione proprietario, nella casa posta in strada San Vincenzo. Si sposò all'età di trentaquattro anni con il notaio don Domenico Filippo Carugno, di ben diciotto anni più grande di lei. Nonostante l'età i coniugi generarono sei figli, alcuni dei quali deceduti in tenera età: Francesco Saverio (1850-1850), Teresa Emilia (n. 1851), Pietro (1852-1853), Maria Illuminata (n. 1853), Pietro (1855-1931), Saverio (n. 1858). Maria Rubina ebbe due illustri zii, fratelli del padre Eustachio: Stanislao e Giandomenico, la cui biografia è di seguito illustrata.
Stanislao Nazario Falconi nacque a Capracotta il 28 luglio del 1794, da don Martire Falconi e donna Maria Giuseppa Campanelli, e fu battezzato il 31 luglio nella Collegiata Chiesa sotto il titolo di S. Maria Assunta in Cielo del Comune di Capracotta, dal canonico don Filippo Carnevale. Studiò a Napoli dove si laureò in giurisprudenza per abbracciare, in seguito, la carriera giudiziaria. Nel 1836 dedicò un elogio funebre alla Beata Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, e ne pronunciò il relativo discorso. Nel 1848 era avvocato generale presso la Corte di Cassazione ed in tale qualità fu chiamato a far parte della commissione, istituita con R. D. 17 maggio 1848, che aveva il compito di «inquirere per tutti i reati contro la sicurezza interna dello Stato, e contro l'interesse pubblico, che sono stati commessi dal 1° maggio 1848, e che si potranno commettere fino a che dura lo stato d'assedio». La sua devozione al sovrano, in questo compito, fu premiata con la nomina a Pari del Regno, conferita con R. D. 26 giugno 1848. In realtà la Camera dei Pari non entrò mai in funzione, ma Stanislao ne era l'unico rappresentante per il Molise. Nel 1860, a seguito dei noti eventi che portarono alla caduta del Regno delle Due Sicilie ed alla proclamazione del Regno d'Italia, gli fu offerta la nomina a senatore, nonostante i suoi pregressi stretti rapporti con la casa reale di Borbone; Stanislao, tuttavia, in piena coscienza e perfetta coerenza con la sua posizione legittimista, rifiutò la nomina a senatore del Regno, e si ritirò a vita privata. Acquistò dai Piscicelli il palazzo ducale di Capracotta, in seguito ereditato dal figlio secondogenito Federico. Quest'ultimo ebbe come eredi i Greco che cedettero il palazzo al Comune di Capracotta, oggi sede del municipio, sul portone del quale campeggia lo stemma, scolpito nella pietra, della famiglia Falconi. A Stanislao è intitolata la piazza principale del paese natio.
Giandomenico Falconi (all'anagrafe Giovan Domenico Giuseppe), fratello minore di Stanislao, nacque a Capracotta il 4 agosto del 1810, nella casa paterna in via San Vincenzo. Abbracciò la vita ecclesiastica, si laureò anche lui in giurisprudenza (dottore in utroque iuris) e fu nominato arciprete di Acquaviva delle Fonti. Il 16 agosto del 1848, su sollecitazione del sovrano Ferdinando II, S. S. Pio IX emanò la bolla "Si aliquando" con la quale unì aeque principaliter le due chiese nullius (cioè non soggette ad alcuna diocesi, esercitando il prelato una giurisdizione quasi episcopale) e nominando arciprete di entrambe mons. Giandomenico. Il canonico Ciccimarra restituisce una testimonianza dell'attività svolta in quel periodo dallo "zio Vescovo": «Mons. Falconi fu senza dubbio un prelato di energia e di grandi idee: quegli che fondò il grandioso Seminario e che restaurò completamente la Cattedrale [...]. Fu allo inizio del suo governo che, ad accrescere più lustro alla Chiesa di Altamura, furono creati i due uffici di Penitenziere e di Teologo, ai sensi del Tridentino». Nel seminario accolse non solo i clerici ma anche tutti i giovani volenterosi di apprendere, e mons. Giandomenico fu «un vero protettore della gioventù studiosa [...] chiamò all'insegnamento valenti professori ed arricchì il Laboratorio di un gabinetto di chimica». In seguito (1858) fu nominato vescovo titolare di Eumenia in partibus infidelium. Altre testimonianze circa la persona di Giandomenico Falconi lo descrivono «sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei conviti, nelle abitudini. Alto e vigoroso della persona», nonché «abbastanza colto nel Latino e nel Francese, energico e intraprendente».
All'interno del palazzo diocesano di Altamura vi è la cappella privata di mons. Giandomenico: l'ambiente con volte a crociera decorate con stucchi, accoglie un altare in marmo policromo, sul quale è posta l'immagine di san Giuseppe con Gesù Bambino. Ai lati dell'altare (direzione di chi guarda) sulla destra lo stemma di mons. Falconi, sulla sinistra lo stemma reale di Ferdinando II di Borbone. Una sincera amicizia legò il prelato al sovrano, devozione che gli dimostrò in diverse circostanze; così, ad esempio, in occasione dell‟inaugurazione del mezzo busto in marmo di S. M. Ferdinando II, all'interno della Regia Palatina Chiesa di Acquaviva delle Fonti, avvenuta il 6 marzo 1853, commissionò appositamente al maestro Nicola de Giosa una cantata da eseguirsi nel corso della cerimonia. Ma la fedeltà ed il sentimento di amicizia emerge ancora di più in un passo dell'elogio funebre recitato nella chiesa di Acquaviva, in occasione dei solenni funerali (1859) per la morte del sovrano: «Salve dunque, anima bella: accogli in cambio il mio supremo vale, ultimo omaggio dell'amor mio; e sappi che l'altare che t'alzai nel mio cuore, no, non si spegne colla tua morte: ché se non varrà a spingere sino a Te il profumo de' suoi timiami, infinita essendo la distanza che n'intercede, saprà dirigerlo ad altro come Te. Arderà pel Figlio nel modo stesso che arse pel Padre». E tanto affetto fraterno era ricambiato dal sovrano, come testimoniano i numerosi riconoscimenti tributati al prelato ed anche l'atteggiamento di re Ferdindando che, ad esempio, durante il viaggio in Puglia del 1859, per onorare mons. Giandomenico volle «pernottare in Acquaviva ad ogni costo, nel palazzo dell'arciprete» e non in altre sedi più indicate dall'etichetta.
Nei documenti ufficiali apparivano, come di consueto, tutti i titoli del soggetto da cui l'atto promanava; nel caso di mons. Giandomenico l'elenco dei titoli accademici, ecclesiastici e civili, era il seguente: dottore in ambo i diritti ed in sacra teologia, vescovo di Eumenia, real prelato ordinario delle Reali Palatine Chiese e Città nullius di Altamura e Acquaviva delle Fonti, abate di S. Maria de Mena, S. Maria de Padula, S. Martino e S. Rosalia, barone di Ventauro e regio consigliere a latere, ed infine cavaliere di prima classe del Real Ordine di Francesco I.
Il giuramento di fedeltà al sovrano, secondo il concordato siglato nel 1818 tra la Santa Sede ed il Regno delle Due Sicilie, veniva reso da tutti i vescovi in quanto i presuli erano chiamati a svolgere anche importanti funzioni statali, come ad esempio l'istruzione scolastica. A seguito dell'invasione piemontese del Regno delle Due Sicilie, su un totale di sessantacinque vescovi, soltanto undici non furono messi al bando dagli invasori avendo, probabilmente, deciso di appoggiare il "nuovo ordine". Monsignor Falconi, ovviamente, non era tra questi ultimi, per cui fu perseguitato in quanto ritenuto "nemico" del governo e, costretto ad abbandonare la sede di Acquaviva, tornò nel paese natio. Qui morì nella notte tra il 24 ed il 25 dicembre del 1862 mentre, seduto nella sagrestia della Chiesa Madre di Capracotta, era in attesa di concelebrare la funzione con l'arciprete Agostino Bonanotte. Fu sepolto nella stessa Chiesa; attorno al 1960 la sua tomba fu aperta per eseguire dei lavori all'interno dell'edificio sacro, e il suo corpo fu ritrovato incorrotto e in posizione seduta. L'epitaffio posto sulla lapide sepolcrale, visibile all'interno della chiesa madre di Capracotta, così recita (trad. dal latino):
Qui è sepolto / Giovanni Domenico Falconi / Prelato Ordinario di Altamura e Acquaviva / Creato da Pio IX, Pontefice Massimo, Vescovo di Eumenia sette giorni prima della calende di luglio 1858 / In Dio pietoso verso tutti esimio di umanità e di beneficenza verso i poveri / e per l'abbondanza delle parole esimio nelle divine e umane conoscenze / e ancora dotto nella conoscenza di svariate lingue / E per la salvezza delle anime e con le parole e con gli esempi fu eccellente / costruì il seminario di Altamura e lo arricchì di scuole e di costume ecclesiastico / Molto esattamente sull'esempio di Cristo subì accuse dagli ingrati / né temendo di unirsi ai vescovi del mondo cattolico per generale giudizio attaccati al Romano Pontefice / con sapientissimi scritti confutò i peggiori nemici della Chiesa. / Visse 52 anni 4 mesi e 18 giorni. / Capracotta / diede a lui di nascere nell'anno 1810 sette giorni prima delle idi di agosto e di morire il 1862 / nel giorno e nell'ora in cui la salvezza fu ricostruita / Questa lapide in testimonianza di dolore e vindice della dimenticanza / i consanguinei posero.
In aggiunta ai predetti famosi zii paterni, Maria Rubina ebbe anche un illustre cugino, Nicola Falconi. Nicola, o più precisamente Ortensio Nicola, nacque a Capracotta il 6 dicembre del 1834, da donna Carmela Conti e don Bernardo Falconi, di professione legale (Bernardo era fratello di Eustachio, padre di Maria Rubina). Ricevette l'educazione presso il seminario di Acquaviva, fatto costruire dallo zio mons. Giandomenico Falconi, in seguito si laureò in giurisprudenza a Napoli ed a soli ventun anni (1855) entrò in magistratura. La carriera giudiziaria, iniziata sotto l'egida dei sovrani borbonici, proseguì anche in seguito alla proclamazione del Regno d'Italia. Nel 1861 fu trasferito a Benevento, e successivamente, quale procuratore del re, a Melfi, Taranto, Chieti e Catanzaro. In seguito fu consigliere di corte d'appello a L'Aquila, Napoli, Milano, quindi consigliere di Corte di Cassazione a Roma, ed infine presidente di sezione della Corte d'Appello di Roma. Nel novembre del 1909 fu collocato a riposo per raggiunti limiti d'età col titolo e grado di presidente di Corte di Cassazione; «amministrò giustizia sapientemente e specchiatamente, lasciando nome integro ed amato ovunque risiedé». Alla carriera giudiziaria affiancò quella politica che iniziò nel 1872 quale rappresentante per Capracotta al Consiglio provinciale, del quale ricoprì ininterrottamente la presidenza dal 1882 al 1900, circostanza che gli fruttò, da parte del Gianturco, lo scherzoso appellativo di "Czar della Provincia". Diresse «il consiglio con plauso, con accortezza, con avvedutezza straordinaria». Ma la sua attività politica non si arrestò in ambito locale: nel 1876 fu eletto deputato al Parlamento, ufficio che ricoprì ininterrottamente dalla XIII alla XXII legislatura (1876-1909). In questo periodo presentò cinque progetti di legge quale primo firmatario, e fu sottosegretario del ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti, nel governo Pelloux. Al termine del mandato, nel 1909, fu nominato senatore del Regno. Nel corso della sua vita fu insignito di varie onorificenze, tra cui le maggiori furono quelle di grande ufficiale dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (conferito il 15 gennaio 1914) e di Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia (conferito il 2 dicembre 1909).
Si spense a Roma, all'età di 82 anni, il 28 dicembre del 1916; per sua espressa volontà fu sepolto a Capracotta. Non ebbe discendenti in quanto celibe. Il paese natio lo ricorda nella toponomastica, avendogli intitolato una delle principali vie cittadine.
Una descrizione del magistrato e del politico, ci perviene dal ricordo di chi gli fu amico e collega: «Con Nicola Falconi è scomparsa una di quelle rare modeste figure di schietto galantuomo, che, ancora più che nella memoria, rimangono incancellabilmente impresse nel cuore di quanti ebbero la ventura di incontrarlo su la loro via. Sortito da quella nobile regione del Molise, che a schiere ha dato all'Italia uomini insigni in tutti i rami del pensiero e dell'azione [...] Così pure avendo il Falconi sincere e ferme convinzioni religiose non si ristette mai dal praticarne i doveri, senza vistose ostentazioni, ma anche senza pavidi riguardi, incurante delle intolleranze, dei giudizi e pregiudizi partigiani che non fanno torto che a chi se ne fa banditore, accusando in essi un falso concetto della libertà, della quale la religiosa è parte sì essenziale. [...] La perdita dell'uomo giusto e del cittadino benemerito, che tutta la sua lunga vita spese servendo sempre modestamente, sempre nobilmente e serenamente sempre, il suo paese da lui tanto amato».
Altri ne hanno sottolineato i tratti personali: «Animo buono, carattere leale, modesto, servizievole. Io qui non posso particolareggiare: altri lo farà in altro tempo; dirò soltanto che tutti gl'immegliamenti materiali e morali che si sono verificati nel suo collegio elettorale da quarant‟anni in qua portano l'impronta dell‟attività del Falconi, e anche il contributo del suo peculio particolare, che, me lo permetta l'illustre oratore che mi ha preceduto, non era largo, il che accresce il merito del Falconi. La prova della gratitudine, che tutti hanno sentito, per Nicola Falconi, prova irrefragabile, sincera, spontanea l'ha data tutta la cittadinanza quando le spoglie mortali di lui furono condotte alla tomba di famiglia in Capracotta».
Altro illustre personaggio, cugino di secondo grado di Maria Rubina fu Alfonso Falconi (Capracotta 4 marzo 1859, Firenze 1920), figlio di don Giangregorio, proprietario, e donna Luisa Conti, studiò al Regio Liceo Musicale "S. Pietro a Majella" di Napoli dove ebbe come insegnante di pianoforte, Beniamino Cesi, e maestro di composizione Paolo Serrao. Si trasferì a Firenze per insegnare solfeggio e dettato musicale presso il Regio Istituto Musicale. Nel 1906 ottenne la cattedra di teoria e solfeggio presso il Regio Conservatorio "S. Pietro a Majella" di Napoli. Nonostante quest'impegno, tuttavia, non abbandonò i suoi allievi toscani. Fu redattore e compositore de "La Nuova Musica", rivista fiorentina d'avanguardia. Fondò una casa editrice musicale, dedicata alla musica contemporanea, che distinse con l'anagramma del suo nome e cognome "Nicola Salonoff". La sua produzione musicale riguardò soprattutto il pianoforte. Fu anche autore di un'operetta, “Guerra alle donne”. Le forme musicali a cui si ispirava erano le musiche e le danze popolari molisane, abruzzesi e napoletane. L'opera didattica e teoretica comprende trattati di grammatica musicale, solfeggio e teoria musicale, armonia. Fu autore del "Metodo per la divisione", sussidio didattico ancora oggi adottato e reperibile.
Altri zii (fratelli e sorelle del padre) di Maria Rubina, oltre i già citati Stanislao e Giandomenico, furono Angelarosa (1795-1836), Amalia (1798-1837), Bernardo Giovanni Battista, legale (1799-1874), don Bonaventura, canonico (1801-1846), Filomena (n. 1808), Michelangelo e Giuseppe.
I fratelli germani di Maria Rubina furono: Colomba, nubile (1812-1874), Martire, proprietario, celibe (1816-1894) e Giacinta Nunziarosa, nubile (1818-1862). I fratelli consanguinei, invece furono: Giocondino (1825-1888), Mariannina, nubile (1828-1891), Francesco Paolo (1829-1888). Da quanto appare, dunque, solo Maria Rubina contrasse matrimonio, mentre gli altri fratelli e sorelle rimasero celibi o nubili. Sarebbe interessante capire i motivi di questa "ritrosia" ad accasarsi.
La genealogia ascendente della nostra antenata prosegue sia sul lato paterno che su quello materno fino a raggiungere, in alcuni casi, altre sei precedenti generazioni. Dovendo contenere i risultati della ricerca all'interno del filo patrilineare, ed omettendo anche i dati relativi ai parenti collaterali di tale linea, ci limiteremo a ricordare solo i cognomi delle famiglie dei vari nonni, bisnonni, ecc. di Maria Rubina, che risultano essere i seguenti: Campanelli, di Ciò, Mosca, di Loreto, Camelonti, de Massis, Ianiro, Pizzella, di Tella, di Lorenzo, del Vecchio, Fiadino, Rosa, Pollice, de Iuliis, Verrone, Marracino, d'Onofrio, Castiglione, Potena, di Ianno.
Seguono, più nel dettaglio, i dati relativi agli ascendenti paterni di Maria Rubina Falconi:
- genitori: Eustachio, proprietario, cancelliere (ca. 1788-1843) e Maria Illuminata di Ciò, civile (ca. 1790-1820);
- nonni: Martire, proprietario, locato della Regia Dogana, ricevitore del Regio Bollo (ca. 1760-1821) e Maria Giuseppa Campanelli, civile (ca. 1767-1836);
- bisnonni: Leonardo Antonio, proprietario, locato della Regia Dogana (ca. 1720-1802) e Lucia di Loreto (n. 1727 ca.);
- trisnonni: Martire, massaro al governo delle pecore (n. 1691 ca.) e Preziosa Ianiro (n. 1700 ca.);
- quartavi: Domenico (deceduto prima del 1743) e Caterina Fiadino (n. 1657 ca.).
Piacque alla divina Provvidenza fornire la famiglia Falconi di tanti doni, virtù e carismi, che la portarono ad ascendere, dall'umile e genuina condizione di pastori, fino ai più alti gradi civili ed ecclesiastici; o per dirla ancora una volta con il filosofo «Animus facit nobilem, cui ex quacumque condicione supra fortunam licet surgere».
Lo stemma dei Falconi di Capracotta, si blasona come segue: d'azzurro alla torre al naturale, merlata alla guelfa, terrazzata di verde, accompagnata in capo da un falco di nero ad ali spiegate tenente un cuore di rosso trafitto da una freccia d'argento, sopra il tutto due stelle d'oro ad otto punte.
Alfonso Di Sanza d'Alena
Fonte: https://www.casadalena.it/.