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La favola triste di Iacogol


Petrovic Dradi Iacovone
Zelico Petrovic, Stefano Dradi ed Erasmo Iacovone.

Non aveva certo un nome da centravanti, Erasmo. Come lui si chiamavano il vescovo di Formia, vissuto nel terzo secolo dopo Cristo e patrono dei pescatori del Mediterraneo e il celebre teologo dell'Umanesimo cristiano, Erasmo da Rotterdam, autore dell'Elogio della follia. Erasmo Iacovone invece era nato nel 1952 a Capracotta, un piccolo centro del Molise in provincia di Isernia imbiancato dalla neve per gran parte dell'anno, ed era cresciuto a Bagni di Tivoli. Il padre faceva il portalettere, e quando Erasmo aveva due anni aveva deciso di trasferirsi con tutta la famiglia alle porte della Capitale per dare un futuro migliore ai suoi figli. Iacovone aveva mosso i primi passi nell'Albula, quindi aveva debuttato in D nel 1971 a soli 19 anni con l'Omi Roma. Dopo un'esperienza poco felice a Trieste era esploso a Carpi, dove aveva trascinato con 13 reti i compagni verso la promozione in C. I dirigenti del Mantova lo avevano prontamente acquistato nell'estate del 1974. A Taranto era arrivato verso la fine dell'autunno del 1976. Il presidente Giovanni Fico, un commerciante di carni che partendo dal basso si era trasformato in importatore e poi addirittura in un industriale rilevando un'azienda metalmeccanica in cattive acque, lo aveva preso in comproprietà per centotrenta milioni in contanti più la metà di Scalcon. La compagine pugliese navigava in serie B con l'unico obiettivo di salvarsi, anche all'ultima giornata. Il colpo di mercato, inizialmente accolto con diffidenza nonostante la buona media realizzativa di Erasmo a Mantova, si rivelò presto un autentico affare per il vulcanico patron, per il mister Gianni Seghedoni e per il suo secondo Tommaso De Pietri che aveva conosciuto l'attaccante a Carpi e ne aveva caldeggiato a più riprese l'ingaggio.

Tra Iacovone e i tifosi rossoblù era stato amore a prima vista fin dall'esordio, il 31 ottobre in quel di Novara. Il Taranto era andato subito sotto dopo sei minuti a causa di un gol di Guidetti. Verso la metà del secondo tempo era stato Erasmo a rimettere le cose a posto, e lo aveva fatto con il suo marchio di fabbrica, il colpo di testa, sfruttando un cross di Gori. Si era alzato quasi in cielo, in mezzo ai difensori piemontesi, e aveva battuto il portiere avversario Buso con uno stacco perentorio, fissando la partita sul risultato di 1-1. Quell'anno Iaco-gol andò a segno otto volte e le sue prodezze, tutte di testa e senza battere neanche un calcio di rigore, contribuirono alla salvezza della squadra. Aveva i baffetti vispi, un sorriso gentile e un fisico tracagnotto, ma con il pallone ci sapeva fare sul serio.

Nell'estate del 1977 Fico decise di tenersi stretto il bomber e rilevò dal Mantova l'altra parte del cartellino. L'operazione in totale costò circa 400 milioni, uno sproposito. In panchina Tom Rosati rilevò Seghedoni e l'undici rossoblù cominciò inaspettatamente a volare. Ai primi di novembre il Taranto condivideva incredibilmente con l'Avellino la seconda posizione, dietro l'Ascoli dei record. La Città dei due Mari era impazzita di gioia. Iacovone era l'idolo incontrastato dello stadio Salinella, un impianto vetusto di legno e tungsteno che, mai come in quel momento, sognava la serie A. Erasmo si era integrato alla perfezione nel gruppo. Con Spadino Selvaggi, futuro campione del mondo nel 1982 in Spagna con la Nazionale di Bearzot, formava una coppia di tutto rispetto. Taranto non gli stava stretta, anzi amava le bellezze di quel lembo di terra così lontano dal Molise: l'isola del Borgo Antico e la penisola del Borgo Nuovo, il ponte girevole, il castello Aragonese, l'Arsenale della Marina Militare, il Mar Grande e il Mar Piccolo, la zona vecchia. Il lungomare poi era un incanto, specialmente quando il vento spirava nella direzione giusta e spazzava via l'odore acre dell'acciaieria.

In quel momento storico Taranto era un centro in grande espansione, anche grazie all'Ilva, e Iacovone rappresentava l'immagine positiva di una città che reclamava a gran voce un posto di primo piano nel panorama del calcio italiano. Mentre in campo era il classico rapinatore delle aree di rigore, una volta spente le luci dei riflettori, tra le pareti domestiche Erasmo si trasformava e si dedicava completamente alla moglie Paola. Si erano conosciuti a Carpi ed era scattata la scintilla. Iaco-gol era un pantofolaio, non amava la vita tutta lustrini, locali e bellezze da capogiro cara alla maggior parte dei calciatori. Preferiva stare in casa, ascoltare un disco di Mina o di Drupi, vedere in tv un film western o al cinema una pellicola con Monica Vitti e Nino Manfredi, cucinare una buona pasta al pomodoro, leggere un quotidiano o divertirsi con le parole crociate. I compagni e la gente stravedevano per la sua bontà e per la sua semplicità.

Tra l'altro, rispetto al primo campionato in rossoblù, Iacovone era anche migliorato tecnicamente. Si era tirato a lucido, e se all'inizio appariva alle volte macchinoso, ora era dimagrito e riusciva a sgusciare via con maggiore facilità. Aveva iniziato a segnare non soltanto di testa e i grandi club avevano cominciato a chiedere informazioni su di lui. Si erano fatti avanti il Pescara, la Fiorentina, la Roma e l'Inter, ma il presidente Fico aveva nicchiato. Il vecchio macellaio si coccolava il ragazzo di Capracotta, gli voleva bene come un figlio. Con le reti di quel goleador pagato a peso d'oro ogni traguardo sembrava a portata di mano.

All'undicesima giornata, il 20 novembre 1977, il Salinella si vestì a festa per il derby con il Bari. Allo stadio accorsero più di venticinquemila spettatori, ai botteghini si registrò un incasso di circa ottantadue milioni. Il Taranto rivelazione scese in campo con Petrovic, Giovannone, Cimenti, Panizza, Dradi, Nardello, Gori, Fanti, Iacovone, Selvaggi, Caputi. Lo spauracchio nel Bari era l'attaccante Pellegrini, che contendeva a Iaco-gol il trono di capocannoniere insieme a Palanca del Catanzaro. La gara fu maschia e molto combattuta, come era facile prevedere. La risolse a un quarto d'ora dalla fine proprio Iacovone con un delizioso pallonetto che superò De Luca e fece esplodere il Salinella. Il boato risuonò per tutta Taranto. I galletti tornarono a casa con le pive nel sacco, i rossoblù facevano sul serio. L'Ascoli, l'Avellino, il Catanzaro e le altre pretendenti erano avvisate. La sera, fu festa grande a base di cozze in ogni quartiere. Si stapparono migliaia di bottiglie di spumante e di birra Raffo, la bibita tarantina per eccellenza.

Purtroppo la sorte era in agguato, e quella che sembrava una meravigliosa favola con il classico lieto fine si trasformò ben presto in un incubo. Il 5 febbraio 1978 al Salinella si presentò la Cremonese in lotta per non retrocedere. La partita fu a senso unico. Il Taranto chiuse i grigiorossi nella propria metà campo per tutti i novanta minuti. Iacovone, capocannoniere della serie B con nove centri, bombardò a ripetizione il povero portiere ospite Ginulfi, esperto numero uno con trascorsi importanti nella Roma e nella Fiorentina. Ginulfi non era affatto uno sprovveduto. Una volta, quando giocava nella Roma, aveva parato un rigore a sua maestà Pelè. Alla fine dell'amichevole tra i giallorossi e il Santos, O' Rey gli aveva regalato la maglietta e si era congratulato con lui. Quel maledetto 5 febbraio del 1978 l'estremo difensore fu letteralmente strepitoso. Volava da un palo all'altro della porta, sembrava avesse le molle al posto dei tacchetti. Erasmo ci provò in ogni modo: di testa, di collo, di destro, di sinistro, ma non ci fu nulla da fare. L'incontro si chiuse sullo 0-0, ma il pubblico applaudì lo stesso.

La sera Iacovone si recò con la sua Dyane 6 targata Modena al ristorante La Masseria di San Giorgio Jonico per assistere a uno spettacolo di Oreste Lionello che poi non andò in scena perché il locale era quasi vuoto. Poco dopo la mezzanotte, mentre si stava immettendo sulla statale in direzione Taranto, venne centrato in pieno da un pregiudicato, Marcello Friuli, che viaggiava a fari spenti inseguito dalla polizia a oltre 180 chilometri orari con un'Alfa Romeo GT 2000 rubata al noto chirurgo romano Giulio Bernardini. Erasmo fu sbalzato fuori dall'abitacolo. Il suo corpo fu ritrovato su una cunetta ad una cinquantina di metri dall'impatto. Fu trasportato d'urgenza all'Ospedale SS. Annunziata, ma fu tutto inutile. Iacovone era morto sul colpo, con la catenina d'oro che portava di solito al collo stretta tra le labbra. I compagni di squadra, sconvolti, arrivarono uno alla volta al nosocomio insieme a una moltitudine indescrivibile di tifosi. Il portiere croato Zelico Petrovic, dopo aver cercato di aggredire Friuli, passò la notte accanto a Erasmo. Taranto si risvegliò in un tristissimo lunedì mattina di inizio febbraio senza più il suo bomber con i baffi. Non aveva neanche ventisei anni. Il giorno dei funerali, una folla immensa accompagnò il feretro prima nella Chiesa di San Roberto Bellarmino, poi al Salinella per l'ultimo saluto. La moglie Paola, al quarto mese di gravidanza, rimase a Carpi, straziata dal dolore. Cinque mesi dopo sarebbe nata la piccola Maria Rosaria. Sotto la pioggia, davanti a quindicimila spettatori in lacrime, il presidente Giovanni Fico promise che lo stadio avrebbe portato il suo nome. In appena quarantotto ore l'impianto venne ribattezzato "Erasmo Iacovone".

Senza di lui, il Taranto.


Fabrizio Prisco

 

Fonte: F. Prisco, Campioni per sempre. Storie e miti di eroi immortali del calcio, Ultra Sport, Roma 2016.

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