Voglio menzionare queste dimore signorili, certo non patrizie come quelle romane o napoletane, per ricordare non tanto l'agiatezza di chi le ha commissionate, ma l'arte, la maestria e le fatiche di chi le ha costruite. Quando si parla di storia, soprattutto di architettura, non si possono non menzionare le famiglie più ricche, perché loro commissionavano le opere maggiori ed erano loro ad erigere atti su cui oggi si basa la storia, per non dire che il padre curato proveniva quasi sempre da queste.
Commissionavano non la solita casetta, disegnata e costruita dal mastro muratore, ma fabbriche più grandi, palazzi, dove ci voleva il disegno e l'opera dell'architetto, di cui alcuni erano costruiti con la pietra locale finemente lavorata ed erano ricoperti con lastre di calcare, le lìsce. Erano molto tipici e caratteristici, come lo era tutto il paese, unica vera località di alta quota. Purtroppo i nazisti ne bruciarono buona parte, l'80% circa, ma fu tra i primi ad essere ricostruito. Le politiche, poi, che non si indirizzavano sul restauro, la conservazione e la valorizzazione, ma solo sull'ammodernamento, hanno prodotto l'eccellente risultato di non far giungere fino a noi la vecchia Crapacotta castrum. Quelle pietre rimosse erano collocate lì dai mastri fabbricatori e fondatori del paese, pietre sacre ed intoccabili che solo il tedesco nazista propagatore di odio e violenza poté profanare.
La casa baronale, o palazzo fortezza, oggi palazzo comunale è l’edificio maggiore del paese, edificato nei primi anni del XVI sec. dai signori Gualtieri-Budone, anche se in quel periodo i baroni di Capracotta erano i d'Evoli, rimaneggiato a metà del XVIII dal duca Capece-Piscicelli. La posizione impervia e la presenza agli angoli di due torri (una fu demolita per aprire via Santa Maria delle Grazie) lo rendeva protetto da incursioni nemiche. La facciata, dove sono presenti due cornici in pietra di portoni finemente sagomati, dà sulla piazza principale che doveva fungere già allora da piazza del mercato, punto di incontro; difatti nel borgo fortificato della Terra Vecchia non era presente nessuna piazza, eccetto uno slargo di fronte la chiesa.
La facciata retrostante, senza elementi di rilievo, affaccia su una rupe che a nord delimita l'abitato, i fronti laterali sono contigui ad altre fabbriche.
Il palazzo ha una struttura rettangolare suddivisa in tre piani (originariamente due) ed è stato rialzato, così come quasi tutte le case che si affacciano sulla Piazza. La casa tra il Corso e il Colle era più bassa ed aveva due spioventi come le case successive. Ora ne ha tre. Il cambio di volumetrie cambia lo spazio, le atmosfere, le dimensioni: perché un'ambiente che è stato così concepito e rimasto tale per secoli deve cambiare in poco tempo ed in questo modo drastico? Non a caso il primo a muoversi irregolarmente è stato proprio il Comune: è sempre lui a dare il buon esempio. Perché le giunte che si sono succedute hanno sempre prodotto uno sviluppo indirizzato all'ammodernamento del paese e non al restauro e conservazione, che ci avrebbe reso unici non solo nella nostra regione ma nell'Italia intera?
Il primo piano della casa baronale presenta tre balconi e due finestre sormontate da un timpano lineare, il secondo, recente, ha cinque finestre. In pratica il palazzo inizia dalla torre superstite e finisce all'angolo opposto, accanto alla farmacia, dove ce n'era un'altra demolita per collegare la Piazza al Colle, con al centro il portone dello Sci Club. Il motivo per cui oggi per la metà è privato risiede nel fatto che la moglie di uno degli ultimi duchi del paese, la contessa di Carpinone, rimasta vedova, alla sua morte lasciò in eredità quasi la metà del palazzo ad un suo amante, un certo Di Ciò: questo lo avrà poi lottizzato come oggi si presenta.
Fernando Comegna
Fonte: F. Comegna, Capracotta, dalle origini ai giorni nostri, Kaos, Tivoli 2013.