Capracotta, 13 febbraio.
Da sei giorni tutta la loro speranza era concentrata su quel tozzo mostro d'acciaio azionato da un motore poderoso e munito d'una prua lucida e tagliente. Senza lo spartineve ricevuto in dono dagli emigranti d'America oggi i cinquemila abitanti di Capracotta sarebbero tuttora prigionieri della morsa di ghiaccio e neve che da domenica scorsa si era chiusa sulla montagna. Se fosse passato ancora un giorno la situazione si sarebbe trasformata da critica in drammatica. Uno scambio di parole che poteva significare molte cose: scarsità di rifornimenti alimentari, impossibilità di trasportare all'ospedale gli ammalati gravi e un'opprimente sensazione di angoscia di chi, di ora in ora, si sentiva sempre più tagliato fuori dal resto del mondo. A Capracotta, situata a quota 1.450, sull'estremo sperone roccioso della montagna che domina la vallata del fiume Sangro, non c'è da sperare in un miracoloso atterraggio di un elicottero. L'impresa di ripristinare i collegamenti è stata invece portata a termine, ancora una volta, dallo speciale spartineve giunto dall'America. Ha cominciato a vibrare da lunedì colpi su colpi contro la barriera alta fino a tre metri, e ieri ha vinto la battaglia, una battaglia tatticamente studiata con un lungo anticipo e condotta poi con lo stesso slancio disperato di una vicenda militare che non ammette vie di scampo per chi perde. E anche questa volta ha avuto i suoi protagonisti di prima linea, quelli che in silenzio hanno rischiato più di ogni altro e in silenzio sono poi rientrati nei ranghi.
Alle porte del paese c'era la neve più alta e lì si sarebbe decisa la lotta. Se i cantonieri si fossero fermati anche per poco, allora la tormenta avrebbe in un momento rinchiuso il passaggio ed il fresaneve - che seguiva a breve intervallo il primo mezzo - non avrebbe più potuto avanzare e completare il lavoro.
Sulle strade del Molise coperte da una densa coltre bianca, dove agisce la più numerosa e attrezzata sezione di mezzi dell'ANAS abbiamo visto come si lotta contro la neve per riattivare il traffico: lo spartineve ha il ruolo dell'urto iniziale, segue il fresaneve che con la sua ruota vorticosa allarga e spiana le pareti di ghiaccio ai bordi della carreggiata; irrompe poi lo spazzaneve che sgrombra definitivamente la sede stradale spianandola con la sua grande spatola.
A Capracotta il lavoro è stato completato dal fresaneve giunto da Castel di Sangro; ma ai capracottesi, isolati da cinque interminabili giorni, il tracciato scavato dal loro spartineve era già apparso come la più importante meta realizzata. Quelli di Capracotta, andati oltre Oceano a cercar lavoro, ricordano assai bene l'amara esperienza dell'assedio provocato dalla neve. Hanno perciò raccolto danaro e così, invece della solita preziosa campana e del solito asilo che gli emigranti, invariabilmente, donano al loro paese, i capracottesi di Brooklin e di Pittsburg hanno progettato e fatto costruire il loro formidabile spartineve.
Abbiamo raggiunto Capracotta alle ore 18 di ieri risalendo un tracciato somigliante ad una pista di bob, sbalzati con l'auto da un lato all'altro come su un mare in tempesta. Più di un'ora per percorrere sedici chilometri, intervallati da frequenti soste per sgombrare le piccole valanghe che si erano addensate sulla strada.
Il paese, oltre lo sbarramento di foschia, è apparso all'improvviso nel suo allucinante aspetto siberiano. Nelle prime case del borghetto Santa Lucia la neve raggiunge le finestre dei primi piani. Gallerie alte cinquanta centimetri collegano attraverso una rete di cunicoli una casa all'altra.
In tutto il paese non si vede in giro una persona. Impossibile affacciarsi fuori dell'uscio di casa per la tormenta accecante che crea mulinelli nelle strade: Capracotta è avvolta da un vento gelido che flagella le abitazioni e le cime degli alberi affioranti fra tre, quattro e anche cinque metri di neve. Quando la bufera a tarda sera si placa qualcuno si avventura all'aperto, per necessità. Un ragazzo con un secchio si arrampica sulla candida collinetta che soffoca la facciata di una casa, bussa sul vetro di una finestra del primo piano e consegna il latte ad una donna. Poco oltre, un'altra donna raccoglie la neve dentro una pentola dal davanzale del balcone: in questo modo si provvede all'approvvigionamento idrico nelle zone dove sono scoppiate le condotture.
Qui la fanghiglia imperante di Campobasso e Isernia è meno che un ricordo lontano. A Capracotta l'inverno è tragico ma è anche pieno di nobiltà e purezza. Per secolare consuetudine d'inverno le case qui sbarrano gli ingressi prima dell'Ave Maria e nessuno che non sia il medico e il prete può facilmente superarli. Qui la cronaca può indugiare solo nel club degli sciatori che si raggiunge slittando attraverso un cunicolo di cinque-sei metri. Sembra quasi di penetrare in una catacomba e invece il locale, oltre i due pesanti portoni, si rivela affollato e luminoso; il più forte contrasto con la silenziosa opacità che pesa sul resto del paese. Si è sparsa la voce che Capracotta non è più isolata e tutti hanno una domanda pronta. Dalla strada si sfiorano poi una infinità di argomenti: per diverso tempo è mancata la luce e da una settimana niente giornali. Il Sindaco dottor Carmine Di Ianni stenta a credere che la critica vicenda del suo comune bloccato dalla neve abbia suscitato tanto interesse su tutti i giornali. Basterebbe rettificare la strada e condurre a termine i lavori per la sciovia - dice il Sindaco - e buona parte dei nostri problemi sarebbero risolti. L'impianto della sciovia costa cinque milioni, per ora ne hanno raccolti solamente tre.
Durante i cinque giorni di isolamento e di bufera la vita è stata difficile per tutti gli abitanti e in particolare per il medico, dottor Di Nardo, che si è dovuto spostare spesso per tutta la notte sotto la tormenta, anche quando la temperatura era scesa a meno dodici. Il suo mezzo fondamentale di locomozione? Lo sci: «Per fare il medico da queste parti – dice il dottor Di Nardo – occorrono buona salute, una grande volontà e, soprattutto, essere quasi campioni di sci».
E con gli sci è corso mercoledì alle tre e mezzo di notte in casa di Giuseppina Riccio, trenta anni, prossima a divenire madre per la quarta volta. Quando è giunto il medico in casa non c'era nessuno perché il marito si trova a lavorare in Calabria e i tre figli erano stati affidati ad una vicina. Il parto si presentava difficilissimo e non c'era nessuna possibilità di trasportare, con la bufera, la donna all'ospedale neanche per mezzo di una slitta.
Il dottor Di Nardo è dovuto intervenire senza indugio ed operare al lume di una candela. È venuta alla luce una bambina che rischiava di morire per asfissia pallida, il più temibile tipo di asfissia che possa seguire una nascita. Fino alle sette il medico si è adoperato per strappare la bimba alla morte. «La natura è provvida ed ogni tanto la madre quanto la bambina stanno bene», afferma il dottor Di Nardo.
Il giorno successivo, sempre con gli sci, si è recato a soccorrere i passeggeri di un pullman rimasto bloccato per molte ore a dieci chilometri da Capracotta. Una comitiva di gitanti a bordo del pullman che ha scoperto, attraverso questa brutta esperienza, come la montagna da piacevole amica possa trasformarsi all'improvviso in terribile nemica.
Mario Scacciavillani
Fonte: M. Scacciavillani, Sfondato dopo sei giorni il "muro bianco", in «Il Giornale d'Italia», Roma, 14 febbraio 1965.