Prima della realizzazione della strada carrabile Capracotta-Guado Liscia esisteva un'altra mulattiera-autostradale molto trafficata che si snodava nel territorio a nord-est di Capracotta. Partiva dall'ex mattatoio e toccava le zone indicate come Lamatura, Macere, Morrone Alto, Orto Ianiro, Colle Meluccia e La Macchia, posizionate a quote che variano dai 1.300 ai 1.400 metri.
Durante il suo percorso ci si imbatteva in due fontane: quella del Procuoio Vecchio e quella dei Pezzenti. Appena dopo la prima fontana, salvo piccole eccezioni, il territorio adiacente alla mulattiera era quasi interamente "foderato" di pietre che spuntavano come funghi appena si smuoveva il terreno per l'aratura, effetto dovuto tanto alla vòria quanto all'erosione delle acque dilavanti.
Basta dare un'occhiata al numero degli abitanti di allora per capire la necessità di aumentare il margine di sopravvivenza alimentare con la coltivazione di un qualsiasi appezzamento di terreno: 5.231 ab. nel 1900, 4.706 ab. nel 1920, 3.934 ab. nel 1936.
Si cercava di coltivare qualsiasi cosa pur di portare a casa qualcosa da mettere sotto i denti e, per questo motivo, quegli aspri territori battuti dal vento gelido, furono dissodati, arati e coltivati per decenni pur sapendo che l'inclemenza del tempo era dietro l'angolo.
Non tutti potevano permettersi di acquistare terreni fertili, posizionati a una quota più bassa; buona parte del popolo coltivava in mezzadria, col rischio di concretizzare dei miseri raccolti che li rendevano ancor più bisognosi, nonostante tutti gli sforzi e i tentativi per cavare il ragno dal buco. Insomma, da queste disgrazie c'era sempre qualcuno che ne approfittava.
Tutte le pietre e i piccoli massi che spuntavano venivano costantemente ammucchiati lungo il confine dei terreni fino a ottenere dei muri di separazione alti fino a 2 metri e larghi 1, tanto da farli assomigliare al Vallo di Adriano, un lavoro immane che comportava un dispendio enorme di tempo, di forze e di energie.
Il Vallo di Adriano era una fortificazione in pietra, fatta costruire dall'imperatore romano Adriano nella prima metà del II secolo, che segnava il confine tra la provincia romana occupata della Britannia e la Caledonia: il nome viene ancor oggi utilizzato per indicare il confine tra Scozia e Inghilterra.
Tutti questi muri servivano per difendersi, quello messo in opera dai Romani per difendersi dall'invasione nemica, gli altri per evitare l'incursione degli animali che pascolavano allo stato brado allo Iaccio dell'Orso e alle Cimalte e per proteggersi - per quel che valeva - dai venti polari.
Ecco che nacque, da parte di qualche buontempone, l'immorale idea di chiamare "dei Pezzenti" quella fonte, che sta lì a ricordare l'immenso sacrificio speso per estrarre da quei terreni pietrosi qualcosa di buono e che pertanto merita rispetto. La Fonte dei Pezzenti rappresenta le nostre radici e la nostra storia contadina.
Conoscendo le peculiarità dell'uomo capracottese, tutto gli si poteva togliere tranne l'irreprensibilità e la dignità del "pezzente", di colui che si alzava ogni mattina anche per un altro scopo: coltivare e raccogliere su quelle terre la pianta che attecchiva meglio, la mìccola, ossia la lenticchia autoctona di Capracotta.
Filippo Di Tella