Per molto tempo Monte San Nicola è stato tenuto in debita considerazione per il fatto di esser ammantato di mistero, per via della presenza di una grotta di difficile esplorazione che, da piccoli, consideravamo abitata da spiriti, demoni e tesori, il tutto dovuto ai racconti dei nostri nonni. Il monte è stato sempre bistrattato e superficialmente considerato a livello storico visto lo scarso rispetto nei tempi a seguire salvo qualche approfondimento recente da parte di Bruno Sardella.
Nel 1848 i fratelli Saverio e Domenico Cremonese segnalarono la presenza sul Monte della Macchia (com'era allora denominato) i resti di un oratorio, di «mura in opera poligonale terminanti ad est in una struttura semicircolare» e frammenti di ceramica comune e scorie di fusione.
Nel 1904 Antonio De Nino relazionò la presenza di frammenti di tegoloni e di grossi e piccoli vasi di terracotta, con la denominazione del santo barese che «è poi certa prova che una qualche chiesuola sorgesse in quel culmine e di cui resta fra le macerie un'acquasantiera spezzata».
Nel 1931 Luigi Campanelli individuò la presenza di tombe:
Osservando dall'alto la configurazione delle mura lungo il pendio sottostante, come ne son restate le vestigia, mi parve di scorgere in esse degli ampi recinti per raccolta di bestiame ovino, anziché resti di abitazioni umane. Queste probabilmente si trovavano sulla sommità stessa del Colle di S. Nicola dove mi vennero innanzi delle sepolture scoperchiate ed ossa umane che le bagna la pioggia e muove il vento! Triste spettacolo!
Nel 1992 purtroppo il sito archeologico subì la quasi totale distruzione per effetto dei lavori di posa del metanodotto della Rete Nazionale!
Dove c'è vita inevitabilmente c'è acqua, ed ecco che da questo punto di vista il Monte San Nicola può ben dirsi fortunato perché è circondato da innumerevoli sorgenti di vita: la Fonte la Gravara, la Fonte del Forno, la Fonte di S. Giovanni, la Fonte Cannavina, la Fonte dei Castrati e più giù, a mezzogiorno, c'erano l'Ariente e la sorgente Scannese.
Nel 1969, in occasione della festa triennale della Madonna, a don Geremia Carugno venne l'idea, innovativa quanto geniale, della prima Olimpiade Lauretana: col supporto del prof. Michele Potena "la Salaròla" e dell'ing. Giuseppe Sammarone "la Furnàra" fu difatti organizzata la cosiddetta Maraton-Gita.
Lunga circa 16 km. e con partenza dalla piazza principale, la corsa si snodava per tutto il territorio orientale con la maggior parte del percorso allo scoperto, senza nemmeno la presenza di alberi, "circumnavigando" Monte San Nicola e toccando quasi tutte le fontane summenzionate.
I gruppi erano sedici, costituiti da cinque concorrenti l'uno, fra cui era d'obbligo la presenza di una donna, che terminava la sua corsa nei pressi della Fonte del Forno. Posso confermare che per molti quella esperienza fu massacrante, forse perché ne avevano sottovalutato l'arditezza: di certo chi non aveva preso sul serio quella maratona fra rovi e sentieri non battuti andò incontro a crampi e distorsioni, senza contare che la gara si svolse in un giornata d'agosto sotto un sole battente e un caldo asfissiante.
Ogni volta che ci avvicinavamo a qualcuna di quelle fontane ci sentivamo come dei cammelli nel deserto; trangugiavamo un illimitato quantitativo delle diverse e freschissime acque messe a disposizione da madre natura, con l'unico desiderio di arrivare quanto prima al traguardo, l'agognata meta dei cammellieri che vedono sbocciare nel mezzo del deserto il raro fiore rosso di Palestina: il miral...
Filippo Di Tella